L’IMPi: il nuovo tributo sulle piattaforme petrolifere marine

Superate le tesi della Cassazione sull’assoggettamento ad ICI ed IMU delle piattaforme. Risolti tutti i dubbi?

Pubblicato su ilSole24Ore del 30 ottobre 2019.

L’art. 38 del d.l. 26 ottobre 2019, n. 124, pubblicato in pari data sulla Gazzetta Ufficiale, istituisce – a decorrere dal 2020 – un tributo volto a tassare il possesso di piattaforme di coltivazione di idrocarburi site nel mare territoriale, denominato “IMPi” (IMposta immobiliare sulle PIattaforme marine). L’IMPi presenta evidenti similitudini, ma anche sostanziali differenze, con l’IMU, un tributo che da circa un ventennio numerosi Comuni costieri cercano di applicare (con vicende di alterna fortuna in sede contenziosa) sulle medesime piattaforme.

Con l’IMPi, in particolare, il legislatore manifesta (per la prima volta, salva la parziale eccezione delle componenti abitative dei rigassificatori) la volontà di tassare beni posti al di fuori delle circoscrizioni comunali, non suscettibili di accatastamento, e finanche senza (o comunque di discussa) natura immobiliare, ossia privi dei caratteri tipici e necessari per l’applicazione dell’IMU. A tale scopo, si istituisce un nuovo presupposto di imposta (il possesso di una piattaforma marina che, in quanto non accatastabile, differisce dall’oggetto dell’IMU, che è “il possesso di un fabbricato suscettibile di accatastamento”); inoltre si interviene strutturalmente sulla titolarità del potere impositivo, stabilendo che lo stesso è in capo allo Stato, e non al Comune. Quest’ultimo si limita ad operare come longa manus dell’Erario in occasione della fase di accertamento tributario ed è destinatario in via di devoluzione di una parte minoritaria della ripartizione del gettito (similmente a quanto già previsto dalla disciplina della cd. “IMU sui capannoni” di cui all’art. 1, comma 380, lett. f, della “Legge di stabilità 2013”). Le innovazioni tecniche recate dall’articolo 38 sono il risultato di una duplice considerazione del Legislatore: da un lato, la volontà di tassare beni (le piattaforme off-shore) ritenuti in giurisprudenza, sotto taluni aspetti, simili  a impianti che, sulla terraferma, sarebbero considerati immobili accatastabili come opifici. Dall’altro, l’impossibilità – evidenziata dalla costante prassi degli Uffici dell’Agenzia del Territorio e del Ministero dell’Economia – di accatastare e tassare le piattaforme in base alla legislazione vigente in tema di IMU.

L’IMPi, definendosi “imposta immobiliare”, parifica le piattaforme ad immobili e, a prescindere dalla loro accatastabilità, conferisce ai Comuni (per il tramite di un futuro decreto ministeriale) una parte del gettito ed un potere di accertamento su di esse. In tale contesto, l’inciso recato dall’art. 38 per cui tale imposta è introdotta “in sostituzione di ogni altra imposizione immobiliare locale ordinaria sugli stessi manufatti” è quanto meno opportuno: in sua assenza, a partire dal 2020, i Comuni infatti avrebbero con ogni probabilità avuto la tentazione di applicare l’IMU sulle piattaforme, in aggiunta all’IMPi, mutuando da quest’ultima (non sappiamo quanto ragionevolmente) la parificazione delle piattaforme ad immobili.

È poi nient’affatto secondario che il decreto legge 124/2019 dal momento in cui dispone, in modo innovativo e per il futuro, la tassazione delle piattaforme,  si presta anche a fungere da chiave di lettura dei due principali aspetti tecnici  ancora controversi nei numerosi contenziosi sui tributi locali che oppongono i Comuni ai titolari di tali impianti: ci si riferisce al potere di un Comune di tassare beni siti in mare (la cd. “legittimazione attiva”), e al perimetro dell’oggetto e presupposto di imposta.

Con riferimento al primo profilo ora ricordato, i Comuni infatti affermano che le piattaforme marine si trovano sul loro territorio, o comunque che possono tassarle perché “antistanti “ ad esso. Per contro, i contribuenti accertati oppongono che sino ad oggi non esistono norme che conferiscono legittimazione attiva ai Comuni in relazione al mare, posto che la loro circoscrizione non ricomprende anche quest’ultimo; e che, d’altra parte, l’art. 4 del d. lgs. n. 504/1992 limita espressamente l’accertamento agli immobili siti, almeno in via prevalente, nel territorio del Comune che pretende di tassarli. Alcune sentenze di Cassazione supportano la tesi dei Comuni: tuttavia, queste non spiegano perché si possa prescindere dal testo degli Statuti Comunali, che limitano il territorio dell’Ente alla terraferma (tanto più in assenza di circostanze probatorie che in altri contesti la giurisprudenza ritiene necessari per provare che i confini sono diversi rispetto a quelli delineati dall’ultimo documento ufficiale noto). Né chiariscono perché il territorio Comunale si estende al mare solo quando si discute di piattaforme marine; e nemmeno perché si possa prescindere dal predetto art. 4, d. lgs. n. 504/1992. Nondimeno, in assenza di norme che correlino il potere di imposizione al mare, i Comuni, invece di astenersi dal tassare, moltiplicano il carico fiscale: sempre più spesso infatti si verifica il paradosso (peraltro, difficilmente districabile sotto il piano processuale) per cui due o più Enti, in modo tra loro indipendente, accertano la stessa piattaforma, dicendosi territorialmente competenti. O, addirittura, ci sono Comuni che assoggettano a tributo locale piattaforme site in acque extraterritoriali. Orbene, l’art. 38 oggi conferma la carenza del potere dei Comuni di imporre tributi locali su beni siti in mare: ciò è tanto vero che il Legislatore, considerata l’impossibilità o comunque l’inopportunità di istituire un “mare comunale” (il quale comporterebbe gravi problemi in primis ai Comuni, che dovrebbero farsi carico di tutti i compiti oggi svolti dalle Capitanerie di Porto, quali organi funzionali di plurimi Ministeri, e delle  relative responsabilità) al fine di permettere l’applicazione di un’imposta a carattere reale sui beni che vi insistono, introduce l’IMPi sulle piattaforme come un tributo erariale a gettito ripartito, coerente con i presupposti giuridici della sovranità dello Stato sul mare territoriale e dell’incompetenza dei Comuni al di fuori della loro circoscrizione. Conseguentemente, la ripartizione del gettito avverrà d’imperio, ossia sulla base di un decreto ministeriale che individuerà i singoli Comuni destinatari della quota di gettito assegnato, e aventi il compito di svolgere la funzione di accertamento (nell’IMU il potere di accertamento è originario e connesso al legame tra territorio ed immobile: ma in mare, dove tale legame manca, si rende necessaria una norma ad hoc).

Ancora più evidente, se possibile, è poi il chiarimento per il passato in tema di oggetto della tassazione. Quest’ultimo per l’IMU è dato dal combinato disposto degli artt. 1 e 2, d. lgs. n. 504/1992, e consiste nel fabbricato suscettibile di essere accatastato: e poiché il Catasto non ricomprende anche il mare, eventuali immobili ivi collocati non sono tassabili. Tre sentenze gemelle di Cassazione concernenti le piattaforme marine, nel 2016, hanno tuttavia affermato che il presupposto oggettivo è il possesso di un immobile a prescindere dal suo accatastamento (tale orientamento è un unicum, in contrasto con pronunce anteriori e successive); e che comunque le piattaforme marine sarebbero accatastabili in categoria D/7 (ma gli Ufficio del Territorio, supportati da Governo e Ministero dell’Economia, a tutt’oggi rifiutano di accatastare beni in mare). La relazione illustrativa all’originario schema di decreto al riguardo ribadisce che l’inventariazione catastale non ricomprende il mare, il quale è invece oggetto di rilievi (ancorché ad altri fini) da parte dell’Istituto idrografico della Marina. Non vi può quindi essere dubbio che, per tassare le piattaforme marine, sarebbe necessario rivoluzionare il Catasto con apposite norme, oppure più semplicemente introdurre un nuovo e diverso presupposto d’imposta, che prescinde dall’accatastabilità. L’odierna IMPi sceglie la seconda delle due vie ora ricordate (per cui si tassa la piattaforme in quanto tale, e non il fabbricato che deve essere accatastato come ai fini IMU), e pertanto implicitamente manifesta che prima del 2020 le piattaforme non rientravano nel capo dell’imposta municipale propria. Quindi le piattaforme non sono oggi accatastabili e non lo saranno in futuro, ma saranno tassate per similitudine ai fabbricati di categoria D/7, con base imponibile determinata sulla base del valore di libro di cui all’art. 5, comma 3, d. lgs. n. 504/1992 (salve le norme sui c.d. imbullonati, che escludono dal tributo macchinari e impianti, di cui sembra salvaguardata l’applicabilità anche all’IMPi dal rinvio alle norme generali sull’IMU contenuta nel comma 7 dell’art. 38 in analisi). ​

L’art. 38 in commento, quindi, si presenta come una norma innovativa che dispone per il futuro (istituisce, a decorrere dal periodo 2020, l’IMPi sulle piattaforme petrolifere), ma che al contempo si presta a fornire un indirizzo risolutivo agli interpreti e ai destinatari della attuale disciplina dei tributi locali, rimasti invischiati in un contenzioso ultraventennale.

 

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