I reati “senza soglia” in materia di accise. Sono legittimi?
Spunti dalla sentenza n. 95/2019 della Corte Costituzionale
La sentenza n. 95 del 18 aprile 2019 della Corte Costituzionale, in materia di IVA, dà lo spunto per alcune considerazioni sulla struttura e sulla legittimità dei reati “senza soglia” in materia di accise.
L’art. 40 TUA sanziona come delitti la sottrazione all’accertamento o al pagamento dell’accisa sui prodotti energetici. Si tratta, in particolare, della condotta di chi fabbrica o raffina clandestinamente i prodotti energetici, destina ad usi soggetti ad imposta o a maggiore imposta prodotti esenti o agevolati, detiene o utilizza prodotti ottenuti da fabbricazioni clandestine, ecc. E, soprattutto, è la condotta di chi “sottrae con qualsiasi mezzo i prodotti energetici, compreso il gas naturale, all’accertamento o al pagamento dell’accisa”. Fattispecie, quest’ultima, che ricomprende anche tutte quelle sopra specificate ed è di assai ampia portata, valendo a ricondurre alla fattispecie penale praticamente qualsiasi condotta da cui consegue il mancato pagamento dell’accisa, a prescindere non solo da qualsiasi particolare connotato fraudolento della condotta stessa (non è necessario che siano posti in essere “particolari artifizi, accorgimenti o macchinazioni” – così recentemente, tra le altre, Cass. n. 5809/2019), ma anche dal dolo, essendo sufficiente la mera colpa (Cass. n. 3098/2014). Inoltre, anche sotto il profilo della qualifica del reo la fattispecie si caratterizza per la particolare ampiezza (non è dunque un reato proprio), poiché risponde del reato in questione qualunque soggetto che si trovi in relazione oggettiva con i beni non assoggettati a tassazione (Cass. n. 11145/2006). Ed infine, a conferma dell’estremo rigore di questo sistema sanzionatorio, il tentativo è punito con la stessa pena prevista per il reato consumato.
Questa fattispecie di reato non prevede neanche soglie minime di rilevanza penale, e dunque anche la sottrazione al pagamento dell’accisa per somme insignificanti assume tale rilevanza, essendo semmai rimessa alla circostanza attenuante della speciale tenuità o alla graduazione della pena (costituita dalla reclusione da sei mesi a tre anni e dalla multa da due a dieci volte l’imposta evasa) la commisurazione della risposta punitiva alla gravità del fatto. Una soglia è configurabile solo con riferimento alla sottrazione o al pagamento dell’accisa sul gas naturale, fatti che, per quantitativi inferiori ai 5.000 mc, erano puniti solo con la multa, ora depenalizzata per effetto del d. lgs. n. 8/2016 in sanzione amministrativa (v. nota 51746/RU/2016 Ag. Dogane).
Questo gravoso sistema sanzionatorio “senza soglie” presenta, molto probabilmente, profili di illegittimità dal punto di vista del diritto UE, per violazione del generale principio di proporzionalità, secondo il quale la risposta sanzionatoria deve essere commisurata alla gravità del fatto. Ma ulteriori spunti di riflessione vengono dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 95/2019 citata in premessa, che si occupa del tema della ragionevolezza della disciplina sanzionatoria (e la ragionevolezza è un principio costituzionale che può, grosso modo, considerarsi equivalente al principio di proporzionalità di matrice comunitaria). Questa sentenza si riferisce ad un altro reato fiscale “senza soglia”, cioè l’utilizzo in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti, p. e p. dall’art. 2 d. lgs. n. 74/2000; il giudice remittente dubitava della conformità di tale disposizione al principio di ragionevolezza sancito dall’art. 3 Cost. proprio in ragione del fatto che – a differenza del reato di cui all’art. 3 dello stesso decreto, riguardante il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (diversi dall’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti) – non è prevista alcuna soglia minima quantitativa di rilevanza penale. Una analoga questione comparativa potrebbe venire in considerazione anche in materia di accise, in considerazione del fatto che soglie minime di rilevanza sono invece previste, come si è accennato, per la sottrazione all’accertamento o al pagamento dell’accisa per il solo gas naturale. Ma anche in termini assoluti, e cioè per quanto attiene le condizioni che legittimano il legislatore a prevedere reati fiscali senza soglia, emergono dalla sentenza dei profili di interesse.
La Corte afferma in primo luogo, sulla base della sua consolidata giurisprudenza, che la configurazione delle fattispecie criminose e la determinazione della pena rientrano nella discrezionalità del legislatore essendo “tipicamente politiche”: tale discrezionalità è perciò censurabile solo ove essa trasmodi nella irragionevolezza o nell’arbitrio. Ora – prosegue la Corte – “la fatturazione per operazioni inesistenti costituisce una condotta fraudolenta, che presenta uno spiccato coefficiente di ‘insidiosità’ per gli interessi dell’erario”. E la assenza di soglie minime di punibilità riflette l’intento del legislatore di contrastare con rigore il fenomeno, fenomeno che appare particolarmente lesivo del sistema di applicazione dell’IVA che appunto si basa sulla fattura. Ciò giustifica – in termini assoluti – la severità del regime sanzionatorio e – in termini relativi – il fatto che per tale reato non siano previste soglie minime di punibilità che sono invece previste per altri reati fiscali fraudolenti, ed in particolare per la presentazione della dichiarazione con uso di documenti falsi diversi dalla fattura.
Ora, se si applicano questi principi al reato qui in esame, emergono alcuni profili che possono far dubitare della ragionevolezza – e quindi della legittimità costituzionale – della disciplina.
In termini assoluti, infatti, il reato di “semplice” sottrazione al pagamento delle accise sui prodotti energetici non è necessariamente connotato dalla fraudolenza, né sembra essere di per sé dotato di un particolare indice di insidiosità (come conferma la giurisprudenza sopra citata): si può trattare, in effetti, del mero mancato pagamento dell’imposta, ed anche in via solo colposa (anche questo è affermato dalla giurisprudenza). In via comparativa, poi, difficilmente comprensibile – se non francamente irragionevole – è il fatto che per un solo tipo di prodotto cui si applica l’accisa in questione, e cioè per il solo gas naturale, siano previste soglie minime di punibilità, sotto le quali non si applica la sanzione penale, mentre per tutti gli altri prodotti energetici si applica “senza scampo” la sanzione penale.
Non mancano dunque, anche alla luce della sentenza della Corte in esame, spunti che potrebbero essere sottoposti al giudice delle leggi per far dichiarare la irragionevolezza della disciplina prevista dall’art. 40 TUA e quindi la sua illegittimità costituzionale.