Tardivo pagamento delle accise: le Commissioni di merito si allineano all’orientamento della Cassazione e sanciscono l’incompatibilità della sanzione per ritardato versamento con l’indennità di mora prevista dall’art. 3, comma 4, TUA
le sentenze n. 313 del 12 dicembre 2019 della CTP di Como e n. 6 del 7 gennaio 2020 della CTP di Vicenza si conformano ai principi giurisprudenziali espressi dalla Corte di Cassazione con le pronunce n. 30034 del 21 novembre 2018 e n. 1969 del 24 gennaio 2019
Attraverso le sentenze n. 313 del 12 dicembre 2019 della CTP di Como e n. 6 del 7 gennaio 2020 della CTP di Vicenza le Commissioni di merito dimostrano di conformarsi pienamente ai più recenti principi giurisprudenziali espressi dalla Corte di Cassazione con le pronunce n. 30034 del 21 novembre 2018 e n. 1969 del 24 gennaio 2019, le quali – discostandosi sensibilmente dai precedenti di legittimità intervenuti sul punto – hanno sancito l’incompatibilità della sanzione irrogata ai sensi dell’art. 13 del DLgs. 471/97 con il pagamento dell’indennità di mora prevista dall’art. 3 comma 4 del D.lgs. 504/95 (c.d. TUA) nelle ipotesi di tardivo versamento delle accise.
Il tema trattato non giunge certo nuovo alla cognizione della Suprema Corte e riguarda la prassi degli Uffici dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di notificare atti di contestazione attraverso i quali, laddove all’esito dell’attività di verifica ed accertamento venga riscontrato il ritardato pagamento dell’imposta sui consumi, è applicata:
- sia la sanzione prevista dall’art. 13 del D.lgs. 471/97 per i ritardati od omessi versamenti diretti, pari al 30% dell’imposta dovuta;
- sia la richiesta dell’accisa, degli interessi e dell’indennità di mora di cui all’art. 3 comma 4 del TUA, ai sensi del quale, infatti, “in caso di ritardo si applica l’indennità di mora del 6 per cento, riducibile al 2 per cento se il pagamento avviene entro 5 giorni dalla data di scadenza, e sono, inoltre, dovuti gli interessi in misura pari al tasso stabilito per il pagamento differito di diritti doganali”.
L’adozione cumulativa delle due misure ha dato origine a numerosi contenziosi, instaurati dagli operatori del settore al fine di contestarne e vedere, così, annullata la simultanea irrogazione, ritenuta, sostanzialmente, una duplicazione del trattamento punitivo.
La questione è stata, negli anni, risolta dalla Corte in senso diametralmente opposto rispetto al più recente ed innovativo approdo giurisprudenziale delineato dalle decisioni sopra richiamate. Il precedente orientamento giurisprudenziale di legittimità − da ritenersi, ormai, superato – ammetteva, infatti, la piena compatibilità tra la sanzione prevista dall’art. 13 del D.lgs. 471/97 ed il pagamento dell’indennità di mora di cui all’art. 3 comma 4 del TUA sulla base di due specifiche considerazioni.
Innanzitutto, in materia di sanzioni amministrative tributarie il D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 detterebbe una disciplina destinata a valere, in generale, per tutti i tributi, e ad essere semplicemente integrata dalle disposizioni normative speciali di imposta (con riferimento alle accise, dal D.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504).
In secondo luogo, nel caso di omesso pagamento dell’accisa, la contemporanea applicazione sia dell’art. 13 del D.lgs. n. 471/97, che prevede il pagamento di una somma a titolo di sanzione amministrativa, sia dell’art. 3, comma 4, del D.lgs. n. 504/95, che prevede un’indennità di mora dovuta per il ritardato pagamento, sarebbe giustificata e non realizzerebbe un cumulo di sanzioni in ragione della diversità funzionale ascrivibile alle due norme richiamate: afflittiva, con riferimento alla sanzione amministrativa, e reintegrativa del patrimonio leso, con riguardo all’indennità di mora.
Tale impostazione è stata, però, integralmente rivisitata e disattesa dalle sentenze n. 30034 del 21 novembre 2018 e n. 1969 del 24 gennaio 2019 della Corte di Cassazione, le quali, molto chiaramente, hanno individuato le ragioni per cui alla suddetta indennità di mora, per la sua struttura, non possa essere attribuita la natura di accessorio naturale del tributo, avente come tale funzione di risarcimento del danno causato dal fatto obiettivo del ritardo nel pagamento.
Plurimi, infatti, sono gli elementi indiziari che, secondo la Corte di Cassazione, deporrebbero invece a favore di una ratio afflittiva sottesa all’indennità di mora e che ne impedirebbero l’applicabilità cumulativa con la sanzione dell’art. 13 del citato D.lgs. n. 471/97.
Tali indici possono essere sinteticamente così enucleati:
- in primo luogo, l’ammontare dell’indennità di mora non è commisurato all’entità del ritardo nell’adempimento, ma è predeterminato come frazione percentuale (6%) del tributo non pagato;
- in secondo luogo, essa non dipende dalla prova dell’entità del danno effettivo subito dall’erario per il ritardo nell’adempimento, ma è determinata in misura percentuale dell’accisa non versata esattamente come avviene per le sanzioni;
- inoltre, anche la previsione di cui all’art. 3, comma 4, TUA, secondo cui l’ammontare della indennità di mora è ridotto al 2% in caso di pagamento lievemente tardivo, trova una corrispondente similare simmetria nell’art. 13 del D.lgs. n. 471/97, secondo cui la sanzione è ridotta progressivamente in proporzione al ritardo maturato;
- depone ulteriormente a favore della ricostruzione operata dal Supremo Collegio il fatto che, all’interno della medesima disposizione di cui di cui all’art. 3, comma 4, TUA, sia prevista nel caso di tardivo versamento dell’imposta la corresponsione anche degli interessi moratori, i quali attualizzano l’entità del debito impositivo pagato oltre la scadenza e già assolvono ad una funzione risarcitoria;
- l’ennesimo indice a sostegno della natura non risarcitoria della indennità di mora lo si trae, anche, dall’art. 14, comma 2, del TUA nella sua recedente formulazione, che, nel disciplinare il rimborso dell’accisa indebitamente pagata, prevedeva la corresponsione dei soli interessi nella misura prevista dal comma 4 dell’art. 3, cit;
- infine, l’interpretazione proposta trova riscontro nell’art. 6 del D.lgs. n. 1286/1947 – disposizione normativa che ha sancito la sostituzione delle “penalità di mora in materia di imposta di fabbricazione” con “le indennità di mora” previste e determinate dal medesimo articolo nella misura del 6% – la stessa di cui all’art. 3, comma 4, del TUA. Verrebbe così, confermata la natura di “penalità” (e quindi punitiva) dell’indennità di mora, volta ad assolvere una funzione sanzionatoria e di coercizione indiretta all’adempimento che colpisce l’inerzia di chi non provveda ad un puntuale pagamento del tributo entro il termine stabilito.
Tutte le richiamate considerazioni inducono il Collegio giudicante a ritenere illegittima l’applicazione della sanzione di cui all’art. 13 del D.lgs. 471/97 per duplicazione del trattamento punitivo, anche in virtù di quanto previsto dall’art. 9 della L. n. 689/81, ai sensi del quale “quando uno stesso fatto è punito (…) da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale”.
E’ proprio in base al generale principio di specialità, quindi, che, una volta appurata la natura afflittiva dell’indennità di mora prevista dall’art. 3, comma 4, TUA, viene sancita l’irrogazione esclusiva di tale misura sanzionatoria e non anche di quella contemplata dal citato articolo 13.
Nell’ottica di voler procedere ad un coordinamento tra il sistema delle sanzioni amministrative tributarie di cui al D.lgs. n. 471/97 e le normative speciali di imposta − tra cui, con riferimento alle accise, il D.lgs. n. 504/95 − viene infatti ravvisato tra l’indennità di mora e la sanzione per omesso/tardivo versamento un rapporto di genus ad speciem, per effetto del quale la disposizione speciale, prevista dall’art. 3, comma 4, TUA, è destinata a prevalere su quella di carattere generale enucleata all’art. 13 del D.lgs. n. 471/1997.
La ricostruzione interpretativa descritta, afferente la non cumulabilità delle due sanzioni, appare, infine, coerente secondo la Cassazione con gli ulteriori fondamentali principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità e ciò per due ordini di motivi.
Diversamente opinando, il tardivo versamento di accise, risulterebbe, innanzitutto, sanzionato in maniera più gravosa rispetto a quello delle altre imposte (per le quali operano la sanzione del 30% e gli interessi) senza che un tale aggravio di sanzioni possa trovare giustificazione in una maggiore offensività della violazione o in un maggiore pregiudizio per l’erario.
Inoltre, l’applicazione di più sanzioni, aventi medesima funzione punitiva a seguito del ritardato adempimento, contrasterebbe con il principio di proporzionalità così come costantemente interpretato dalla Corte di giustizia secondo cui, pur essendo legittimo che ciascuno Stato adotti tutti i provvedimenti necessari per preservare i propri diritti nel modo più efficace possibile, tali misure non possono eccedere quanto è necessario a tale fine.
Viene quindi affermato il seguente principio di diritto secondo cui:
“Nel caso di tardivo versamento dell’imposta di consumo sul gas trova applicazione il D.Lgs. n. 504, art. 3, comma 4, e non anche il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, dato che l’art. 3, comma 4, nel suo secondo periodo del testo originario e nel suo quinto periodo nel testo vigente nel 2001 a seguito delle modifiche introdotte dal D.L. 1 ottobre 2001, n. 356, art. 8-bis, conv. in L. 30 novembre 2001, n. 418, prevede la corresponsione oltre agli interessi, in misura pari al tasso stabilito per il pagamento differito di diritti doganali, con funzione reintegrativa del patrimonio leso, di un’indennità di mora, del 6 per cento, riducibile al 2 per cento se il pagamento avviene entro 5 giorni dalla data di scadenza, con funzione sanzionatoria, che colpisce l’inerzia del contribuente, quando questi non provveda a pagare il tributo entro il termine stabilito nel pubblico interesse”.
Come anticipato, le conclusioni rassegnate dalle richiamate sentenze sono state pedissequamente condivise anche dalle Commissioni di merito che in epoca più recente si sono occupate della medesima questione.
Se, da un lato, la CTP comasca, attraverso la sentenza n. 313 del 12 dicembre 2019 della CTP, appare più asettica nella misura in cui, conformandosi al precedente di Cassazione n. 1969 del 24 gennaio 2019, si limita nel proprio decisum a ritrascriverne quasi integralmente il testo in modo acritico, meglio argomentata si rivela la sentenza n. 6 del 7 gennaio 2020 emessa dalla CTP vicentina, che nel muovere le premesse dalla pronuncia di Cassazione n. 30034 del 21 novembre 2018 ne rielabora i contenuti in modo più sintetico e funzionale alla risoluzione della controversia esaminata.
Chiamata a decidere nel merito di un ricorso interposto dal contribuente per contrastare l’atto di irrogazione della sanzioni amministrative e tributarie, emesso dall’Amministrazione delle Dogane all’esito di un controllo dal quale emergeva l’omesso versamento dell’accisa dovuta a titolo di rate di acconto e dell’accisa dovuta a titolo di conguaglio a debito risultante dalla dichiarazione di consumo, la Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza invoca la specialità, l’uguaglianza, la ragionevolezza e la proporzionalità quali principi cardini alla luce dei quali ritenere la contemporanea applicazione della sanzione di cui all’art. 13 del D.lgs. n. 471/97 e dell’indennità di mora di cui all’art. 3, comma 4, TUA una irragionevole duplicazione dell’obbligo risarcitorio a favore dell’Erario.
Ciò precisato, l’adita CTP si conforma alle statuizioni di legittimità che, secondo la stessa Commissione,
“non lasciano spazio a dubbi o residui interpretativi e costituiscono uno «ius receptum», al quale il Giudice di merito si deve adeguare nel rispetto dei principi di nomofilachia”.
A parere di chi scrive, la soluzione offerta dalla più attuale giurisprudenza di legittimità appare del tutto condivisibile sotto plurimi profili.
Essa, innanzitutto, si dimostra coerente con un’interpretazione sistematica dei decreti della riforma del sistema sanzionatorio tributario non penale, dalla quale emerge, in ogni caso, che la previsione di cui all’art. 13 del D.Lgs. 471/1997 possa e debba trovare applicazione unicamente in relazione ai tributi dallo stesso decreto considerati e cioè in relazione ad IVA ed imposte dirette.
L’inapplicabilità cumulativa delle due misure, inoltre, è idonea a prevenire una palese ed illogica disparità di trattamento che verrebbe a verificarsi tra il trasgressore nel pagamento delle accise e quello nel pagamento delle imposte sui redditi e dell’IVA laddove − diversamente opinando − il primo sarebbe costretto a pagare l’indennità di mora, gli interessi di mora e la sanzione amministrativa per il tardivo pagamento; il secondo, invece, sarebbe obbligato a corrispondere soltanto gli interessi e la sanzione per il tardivo versamento dell’imposta.
La rilevata disparità di trattamento si perpetuerebbe, poi, proprio nel campo delle accise, laddove colui che versa in ritardo sarebbe sanzionato più gravemente di colui che evade, in considerazione del fatto che a quest’ultimo non sarebbe applicabile l’indennità di mora perché prevista specificamente per la sola ipotesi di tardivo pagamento, cosicché sarebbe punito esclusivamente con l’irrogazione della sanzione amministrativa del 30%. Manifestamente irrazionale, tuttavia, si rivelerebbe un sistema tributario che vada a premiare la condotta evasiva rispetto a quella di ritardato versamento delle imposte.