27/04/2020

La Commissione Regionale di Milano, non ritenendo documentalmente dimostrata – tanto sotto il profilo qualitativo che quantitativo – la connessione dell’attività di produzione di energia da fonte fotovoltaica con l’attività agricola principale, svolta dalla società appellante, ha confermato la pronuncia di primo grado, con la quale era stata negata la sussistenza del diritto al rimborso delle somme trattenute dal GSE, a titolo di ritenuta d’acconto, in sede di erogazione degli incentivi del c.d. conto energia .

La vicenda trae origine dall’opera di installazione, da parte di una società agricola di persone (due fratelli), di impianti fotovoltaici sui propri immobili, a seguito della quale la società aveva beneficiato dell’erogazione dei relativi incentivi, per il triennio 2013-2015, da parte del Gestore dei Servizi Energetici (GSE, società interamente controllata dal MEF). Gli incentivi, come previsto dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 46 del 19 luglio 2007, erano stati assoggettati a ritenuta d’acconto nella misura del 4%.

La società, ritenendo che tali erogazioni dovessero rientrare nel regime forfetario di tassazione del reddito agrario, presentava distinte istanze di rimborso al fine di ottenere la restituzione delle somme indebitamente trattenute, istanze che l’Ufficio rigettava in quanto non riteneva provati né la natura dell’attività connessa, né il quantitativo di energia prodotto.

La Commissione Provinciale di Sondrio, per le medesime ragioni esposte dagli Uffici, rigettava i ricorsi della contribuente.

La decisione di prime cure, come si è anticipato, è stata confermata anche dalla Commissione Regionale della Lombardia. I Giudici, in particolare, nella decisione richiamano non solo i requisiti di “connessione” e “prevalenza”, ma colgono altresì l’occasione per ribadire due principi ormai granitici, nella giurisprudenza tributaria di legittimità e di merito, con riferimento all’onere della prova gravante sul contribuente.

La CTR ricorda, anzitutto, che per poter beneficiare dell’esenzione, gli incentivi erogati dal GSE devono essere ricompresi nel novero delle attività connesse all’attività agricola. A tale proposito sottolinea che, in particolare, affinché la produzione di energia da fonte fotovoltaica possa ricomprendersi fra le attività connesse di cui all’art. 2135 co. 3 c.c. – e, per l’effetto, beneficiare del relativo regime impositivo (sia consentito rinviare, per ulteriori approfondimenti sul tema, ad altro contributo su questo sito) – , la normativa e la prassi richiedono il rispetto di requisiti qualitativi e quantitativi. Segnatamente, si prevede che:

  • la produzione di energia elettrica da fonti fotovoltaiche, se esercitata da un imprenditore agricolo, entro i primi 260.000 kWh all’anno si considera sempre connessa con l’attività agricola e, dunque, produttiva di reddito agrario (art. 1, co. 423, L. n. 266/2005 e succ. mod.);
  • la quantità di energia prodotta in eccesso, si considera connessa se, alternativamente (cfr. circolare n. 32/E/2009): i) sussiste un legame con il fondo, ossia vi è integrazione/realizzazione degli impianti sulle strutture agrarie preesistenti; ii) il volume d’affari dell’attività principale (agricola) è superiore al volume d’affari derivante dalla produzione di energia (oltre la soglia di 260.000 kWh); iii) per ogni 10Kw di potenza installata, l’imprenditore deve dimostrare di coltivare 1 ettaro di terreno (entro il limite di 1MW).

Nel caso in esame, tuttavia, tali requisiti non risultano soddisfatti.

Ciò in quanto la società non ha prodotto tempestivamente (in sede di ricorso alla CTP di Sondrio avverso i dinieghi di rimborso) né la documentazione atta a dimostrare che si trattava effettivamente di produzione di energia da fonti fotovoltaiche (o, per usare le parole della CTR, la “natura” dell’attività connessa); né il quantitativo di energia prodotta (e non, come erroneamente sostenuto dalla società, il quantitativo ceduto a terzi) nel triennio, necessario al fine di valutare la prevalenza, nei singoli periodi d’imposta, dell’attività agricola sulle attività connesse.

Le argomentazioni svolte dalla CTR Lombardia, a ben vedere, si fanno portatrici di due principi di diritto – per la verità, ormai consolidati nella giurisprudenza della Suprema Corte, così come in quella di merito – in materia di ripartizione dell’onere probatorio tra contribuente ed Amministrazione finanziaria. La CTR, in particolare

  1. sottolinea, anzitutto, che grava sempre sul contribuente, il quale intenda godere di speciali disposizioni agevolative in deroga al regime ordinario di imposizione, l’onere di provare la sussistenza dei relativi presupposti (si veda, da ultimo, Cass., sez. trib., ord. n. 19792/2019);
  2. infine, ribadisce che

    “quando oggetto del giudizio è una richiesta di rimborso, il contribuente è sempre attore in senso sostanziale (ex multis, sentenza n. 10797/2010 Corte di cassazione), cosicché deve puntualmente attivarsi, rivestendo il ruolo di parte processuale attiva, per dimostrare i fatti che costituiscono il fondamento della pretesa ai sensi dell’art. 2697 c.c.” (cfr. altresì Cass., sez. trib., ord. n. 29981/2019).

Alla luce dei suesposti principi, nonché della normativa e della prassi disciplinanti la materia in esame, non sembrano dunque potersi ravvisare motivi di critica alla pronuncia dei Giudici milanesi.

Ti può interessare anche: