28/05/2020

Con l’ordinanza del 5 marzo 2020, n. 6214, la Corte di Cassazione ha stabilito che un impianto fotovoltaico acquistato dalla società di leasing prima della sua ultimazione per essere concesso in locazione finanziaria non possa essere qualificato come un immobile ancora “in corso di costruzione”, in quanto la sua predestinazione al leasing ne implica la fuoriuscita dal circuito produttivo ed è, pertanto, una circostanza idonea ad attribuire natura “strumentale” al bene, in quanto tale riconducibile all’art. 10, comma 1, n. 8-ter) del D.P.R. n. 633/72 che disciplina, ai fini IVA, il regime di esenzione o imponibilità riservato a “le cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato strumentali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni”.

Conseguenza diretta del fatto che tale tipologia di cessione sia riconducibile al citato art. 10, comma 1, n. 8-ter) è − indipendentemente dall’assoggettamento ad IVA dell’operazione − l’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale e non fissa, rispettivamente del 3% e dell’1%, così come disposto dall’art. 1-bis Tariffa del D.lgs. n. 347/1990 (imposta ipotecaria) e dall’art. 10, comma 1, del D.lgs. n. 347/1990 (imposta catastale).

Tali norme, infatti:

  • per la trascrizione di atti che “importano trasferimento di proprietà  di beni immobili strumentali, di cui all’articolo 10, primo comma, numero 8-ter), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (art. 1-bis Tariffa del D.lgs. n. 347/1990, imposta ipotecaria) e
  • per le volture catastali sempre relative a “immobili strumentali […] di cui all’articolo 10, primo comma, numero  8-ter),  del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (art. 10, comma 1, del D.lgs. n. 347/1990, imposta catastale)

prevedono l’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale rispettivamente nelle richiamate misure proporzionali (del 3% + 1%), anche laddove tali trasferimenti siano “assoggettati all’imposta sul valore aggiunto”.

La vicenda trae origine dal contenzioso instaurato da una Società di leasing, la quale, come anticipato, acquistava la proprietà superficiaria di un impianto fotovoltaico non ancora ultimato per concederlo in locazione finanziaria, in forza di un contratto di leasing precedentemente sottoscritto con l’utilizzatore.

Poichè la cessione aveva ad oggetto un immobile “in corso di costruzione”, la contribuente riteneva che tale bene non potesse essere qualificabile come “strumentale” secondo la definizione di cui al n. 8-ter) dell’art. 10, comma 1, del D.P.R. n. 633/72 (che individua le operazioni esenti dall’imposta sul valore aggiunto) e, pertanto, la vendita veniva assoggettata ad IVA, con conseguente applicazione delle imposte ipotecaria e catastale calcolate in misura fissa, in base all’ordinario principio di alternatività previsto dall’art. 10, comma 2, del D.lgs. n. 347/1990.

L’Agenzia delle Entrate, invece, riteneva che la vendita contestata avesse ad oggetto un bene che, seppur non ultimato, doveva comunque qualificarsi come strumentale nel senso voluto dal richiamato n. 8-ter) dell’art. 10, comma 1, del D.P.R. n. 633/72, con la conseguenza che la cessione era da assoggettare ad imposta ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, rispettivamente, del 3% e dell’1%.

L’Ufficio, pertanto, procedeva al recupero delle suddette imposte.

Dirimente per la risoluzione della controversia sottoposta al vaglio della Corte è, quindi, la seguente valutazione: appurare se, nella fattispecie, un impianto fotovoltaico  acquistato da una Società di leasing quando ancora in corso di costruzione − e già destinato ad essere oggetto di un contratto di locazione finanziaria con un terzo utilizzatore − sia qualificabile come un immobile strumentale (da cui imposta ipotecaria e catastale in misura proporzionale),  ovvero non strumentale, poichè non ancora immesso nell’ordinario circuito di consumo (imposta ipotecaria e catastale in misura fissa).

La fattispecie costituisce sicuramente uno spunto interessante per ripercorrere, brevemente, i contributi sia di prassi che giurisprudenziali intervenuti sul punto, i quali hanno concorso, nel tempo, all’individuazione della nozione di “immobile in corso di costruzione” e ne hanno esaminato i non trascurabili riflessi dal punto di vista strettamente fiscale. Appare evidente, infatti, come l’attribuzione dello status di immobile in corso di costruzione sia destinato ad incidere sui criteri di tassazione dell’atto di trasferimento.

A tale riguardo, come non manca di evidenziare anche la Corte di Cassazione nella pronuncia in commento, è stata proprio l’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 12 del 1° marzo 2007 – alla quale, con tutta evidenza, la contribuente, nella fattispecie in esame, deve aver improntato il proprio comportamento fiscale − ad aver affermato, a suo tempo, che

“la cessione di un fabbricato effettuata da un soggetto passivo d’imposta in un momento anteriore alla data di ultimazione del medesimo […] sia esclusa dall’ambito applicativo dei richiamati 8 – bis) e 8- ter dell’articolo 10 del D.P.R. n. 633 del 1972 trattandosi di un bene ancora nel circuito produttivo, la cui cessione deve essere in ogni caso assoggettata ad Iva”,

con la conseguenza che, trovando applicazione il c.d. principio di alternatività, laddove l’operazione sia operata da un soggetto IVA e sia, quindi, imponibile, le imposte ipotecarie e catastali sono dovute in misura fissa.

Sempre il richiamato documento di prassi ha, poi, chiarito quando un fabbricato possa considerarsi ultimato, ritenendo – peraltro come già precisato con circolare n. 38/E del 12 agosto 2005 – che debba qualificarsi tale l’immobile:

  • per il quale sia intervenuta da parte del direttore dei lavori l’attestazione dell’ultimazione dei medesimi o
  • che sia concesso in uso a terzi, poiché lo stesso, pur in assenza della formale attestazione di ultimazione rilasciata dal tecnico competente, si presume che, essendo idoneo ad essere immesso in consumo, presenti tutte le caratteristiche fisiche idonee a far ritenere l’opera di costruzione o di ristrutturazione completata.

Se, quindi, la nozione di immobile in corso di costruzione offerta dalla prassi si basa su un parametro di “natura oggettiva” che, facendo riferimento allo stato fisico del fabbricato, prescinde completamente dalle caratteristiche e dalle finalità personali del soggetto che lo utilizzerà, altrettanto non può dirsi con riferimento alla posizione adottata sul punto dalla giurisprudenza di legittimità.

Ed infatti, la pronuncia in commento si innesta sul solco già tracciato da diversi precedenti giurisprudenziali – peraltro citati anche dalla stessa ordinanza Cass. n. 6214/2020 – che, nel correggere drasticamente la posizione assunta dalla prassi, hanno introdotto una prima deroga al principio secondo cui le cessioni di immobili non ancora ultimati risultano imponibili ai fini IVA, essendo escluse dall’ambito applicativo dell’art. 10, comma 1 n. 8-bis) e 8-ter) del D.P.R. n. 633/72, fondata proprio sulle caratteristiche di “natura soggettiva” del soggetto che acquista l’immobile in fase di costruzione.

Si tratta, in particolare, delle pronunce Cass. 18 novembre 2016, n. 23499 e Cass. 22 luglio 2017, n. 22138, le quali hanno precisato che la cessione di fabbricati in corso di costruzione ricade nell’art. 10 comma 1 n. 8-ter) del DPR 633/72  − con conseguente applicazione delle imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale del 3% + 1% −  se l’immobile non ultimato viene ceduto ad un “consumatore finale”.

Secondo la richiamata impostazione, infatti, tale circostanza è sufficiente per poter ritenere che l’immobile, anche se non ultimato, abbia natura di bene “strumentale”, in quanto siffatta destinazione è idonea a determinare, ex se, un’uscita del bene dal circuito produttivo.

Il giudice di legalità, pertanto, fa derivare tale nozione dalla “posizione soggettiva” dell’acquirente, prevedendo che, laddove esso sia un “privato” non imprenditore, l’avvenuta cessione determina l’interruzione del ciclo di produzione e porta a considerare il bene finito anche se materialmente non ultimato, con conseguente pagamento delle ipotecarie e catastali in misura proporzionale e non in misura fissa, attesa la riconducibilità dell’operazione all’art. 10, comma 1, n. 8–ter) del D.P.R. n. 633/1972.

Ebbene, le medesime considerazioni valgono anche laddove la vendita dell’immobile in corso di costruzione avvenga nei confronti di una Società di leasing che abbia già predestinato tale bene, ancorchè non ultimato, alla locazione finanziaria, tramite la stipula di un apposito contratto con un soggetto utilizzatore.

Questo è il principio contenuto nell’ordinanza della Corte di Cassazione del 5 marzo 2020, n. 6214 qui in commento, la quale − dando seguito al filone interpretativo appena descritto e spingendosi anche oltre − ha introdotto una seconda ed ulteriore eccezione di natura soggettiva, parimenti determinata dalle caratteristiche dell’acquirente finale, al principio di prassi secondo cui le cessioni di immobili non ancora ultimati risultano imponibili ai fini IVA, non rientrando nella definizione di cui all’art. 10, comma 1 n. 8-bis) e 8-ter) del D.P.R. n. 633/72.

Ed infatti, secondo la Corte, al pari di quanto avviene nell’ipotesi in cui l’immobile in corso di ultimazione sia acquistato da un soggetto privato, consumatore finale, anche l’acquisto da parte di una Società di leasing che abbia già destinato tale bene alla locazione finanziaria costituisce una circostanza idonea a determinarne la fuoriuscita dal circuito di produzione e a dimostrarne, così, la natura “strumentale”, fattispecie che, da un lato, impone l’applicazione dei principi (esenzione o imponibilità) enunciati dall’art. 10, comma 1 del DPR 633/72 e, dall’altro, comporta, per l’effetto, il pagamento delle imposte ipocatastali in misura proporzionale.

E’ stabilito, quindi, nell’ordinanza in commento che:

il giudice di merito ha affermato la natura strumentale dell’immobile in oggetto e tale qualificazione, con conseguente applicazione della disciplina impositiva più appropriata, deve ritenersi corretta. Risulta dagli atti di causa che i due contratti di vendita in questione facevano espressa menzione del fatto che l’acquisto da parte della società di leasing veniva effettuato allo scopo di concedere il bene in locazione finanziaria come da relativo contratto contestualmente sottoscritto […] Non sembrano dunque esserci dubbi sul fatto che l’immobile in questione, ancorchè non ultimato con il rilascio delle relative attestazioni, non potesse considerarsi ancora appartenente alla fase di produzione, in quanto già considerato dalle parti, ed obiettivamente rilevante, quale oggetto del collegato contratto di locazione finanziaria; e, pertanto, quale elemento del relativo mercato […] Da ciò ne consegue la correttezza dell’applicazione dell’imposta ipotecaria e catastale in misura proporzionale, non fissa”.

Occorre segnalare come tale orientamento abbia trovato, in seguito, piena conferma con la successiva e recente ordinanza Cass. 17 aprile del 2020, n. 7908, nella quale è stato parimenti ribadito che

“l’immobile si intende uscito dal circuito produttivo anche nell’ipotesi in cui l’acquisto venga effettuato da un “consumatore finale-impresa e non solo da un privato, a condizione che il bene sia utilizzato come bene strumentale e non destinato alla vendita”.

L’impostazione recentemente adottata dalla giurisprudenza di legittimità e sin qui esaminata presta sicuramente, ad avviso di chi scrive, il fianco a qualche profilo di critica, che consente di dubitare circa la correttezza delle conclusioni rassegnate dalla Corte di Cassazione.

Ed infatti, non può non evidenziarsi in questa sede come, nell’ottica della Corte, la disciplina fiscale applicabile alle vendite di beni in corso di costruzione (nello specifico impianti fotovoltaici) sia fortemente “condizionata” dalle modalità di impiego del bene acquistato.

Da siffatta impostazione derivano alcune considerazioni di tenore strettamente pratico, sia di ordine generale, sia di ordine specifico, con particolare riferimento al sistema operativo del leasing.

Innanzitutto, nel concreto, al momento dell’acquisto il notaio rogante non è in grado di verificare le intenzioni dell’acquirente, con la conseguenza che – se si volesse adottare un’impostazione rigoristica – il pubblico ufficiale dovrebbe acquisire una dichiarazione, in sede di rogito, circa l’immediata e futura destinazione del fabbricato.

Occorre poi considerare che, rispetto alla destinazione strumentale iniziale, anche se manifestata nell’atto notarile, l’acquirente potrebbe, in un momento immediatamente successivo, destinare nuovamente il fabbricato strumentale alla vendita.

Conseguentemente, collegare la natura del fabbricato (in lavorazione o ultimato) alla manifestazione di volontà e al comportamento concretamente assunto dall’acquirente/impresa, non appare un criterio idoneo a soddisfare le esigenze di certezza che devono caratterizzare la tassazione dei trasferimenti dei fabbricati.

Tale considerazione vale, a fortiori, come poco sopra premesso, con riferimento al contratto di leasing.

Ed infatti, proprio il contratto di leasing finanziario contempla, di norma (Legge n. 124/2017), l’opzione di riscatto da parte del soggetto utilizzatore, con la conseguenza che, guardando in prospettiva, non può escludersi con assoluta certezza che l’acquisto da parte della Società di leasing “non sia destinato alla vendita”.

Appare, pertanto, quanto mai opportuno un ulteriore intervento da parte del giudice di legittimità, finalizzato a meglio delimitare il perimetro delle eccezioni sin qui esaminate che, come dimostrato, si fondano su requisiti soggettivi dell’acquirente, per propria natura alquanto labili e non aprioristicamente determinabili con un sufficiente grado di certezza.

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