La Corte costituzionale dichiara illegittime alcune disposizioni legislative della Regione Basilicata in materia di autorizzazione di impianti da fonti rinnovabili
Corte Costituzionale, sentenza 5 giugno 2020, n. 106
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 106 pubblicata il 5 giugno 2020, ha dichiarato illegittime alcune disposizioni della Legge della Regione Basilicata n. 4 del 13 marzo 2019 (recante “Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori d’intervento della Regione Basilicata”), e segnatamente gli artt. 9, 10, 12 e 13, co. 3, concernenti l’iter di autorizzazione alla realizzazione di impianti di energia da fonti rinnovabili, censurati in relazione ai parametri costituzionali di cui agli artt. 3, 41, 97 e 117, cc. 1, 2 lett. s) e 3 della Costituzione.
In via preliminare, occorre precisare che tutti i suddetti articoli regionali, impugnati con ricorso proposto in via principale dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al momento della decisione risultavano già espressamente abrogati dalla stessa Regione Basilicata con la Legge 6 novembre 2019, n. 22. Nondimeno, la Consulta ha deciso di esaminare comunque le censure della Presidenza del Consiglio, non potendosi escludere che le disposizioni ivi contenute, in quanto rimaste in vigore per più di sei mesi, abbiano trovato medio tempore applicazione.
Inoltre, le disposizioni impugnate avevano differenti oggetti e sono state censurate in riferimento a parametri costituzionali diversi. La Corte Costituzionale, pertanto, ha proceduto ad un esame separato delle singole questioni proposte.
In particolare, gli artt. 9 e 10 cit. sono stati censurati in quanto fissavano, fra i requisiti di sicurezza inderogabili per l’avvio dell’iter di autorizzazione alla realizzazione di un impianto eolico, il rispetto di distanze minime fra tali impianti, le abitazioni e le strade comunali, non previste dalla legislazione statale.
Dal canto suo, la Consulta ha riconosciuto che, proprio nello stabilire in via generale ed astratta, senza una previa istruttoria e valutazione in concreto in sede procedimentale, distanze minime non previste dalla legislazione statale, tali norme regionali non garantirebbero il rispetto dei principi fondamentali in materia di “produzione, trasporto e distribuzione dell’energia” stabiliti dal Legislatore statale ai sensi dell’art. 117, co. 3, Cost. e, in specie, contenuti nell’art. 12, co. 10, del d.lgs. n. 387/2003 e nelle “Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”, di cui al DM 10 settembre 2010.
Il che si traduce, nella sostanza, nella violazione del divieto gravante sulle Ragioni di porre
“limiti generali inderogabili, valevoli sull’intero territorio regionale, specie nella forma di distanze minime, [e] ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell’Unione europea”.
Secondo la Corte, infatti, le Regioni possono solo individuare aree e siti non idonei alla localizzazione degli impianti e devono farlo caso per caso e comunque nel rispetto degli specifici principi e criteri stabiliti dal paragrafo 17.1 dell’All. 3 alle Linee guida. Una tale valutazione, inoltre, deve essere espressa ad esito di un’apposita istruttoria, da realizzarsi in seno ad un procedimento amministrativo, la cui struttura
“rende possibili l’emersione [di tutti gli interessi coinvolti], la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei princìpi di cui all’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241”.
L’art. 12 della legge regionale prevedeva, invece, la possibile proroga, per un periodo massimo di 60 giorni, del termine per la presentazione della documentazione prescritta dal Piano di Indirizzo Energetico Ambientale Regionale – PIEAR ai fini dell’autorizzazione regionale di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, su istanza dell’interessato e per motivi indipendenti dalla volontà di quest’ultimo.
A tal proposito, la Consulta, sul presupposto che già il d.lgs. n. 152/2006 (il c.d. Codice dell’ambiente) consente tale sospensione, seppure nella fase antecedente alla convocazione della Conferenza di Servizi e non anche in quella successiva, ha quindi riconosciuto che un’ulteriore proroga, qual è quella stabilita dal Legislatore regionale, è da ritenersi costituzionalmente illegittima in quanto
“finisce con l’aggiungere un ulteriore irragionevole anello alla già lunga catena di adempimenti previsti dal legislatore statale, determinando un aggravamento del procedimento autorizzativo, lesivo, ad un tempo del principio del buon andamento della pubblica amministrazione e dello standard di tutela dell’ambiente fissato dal legislatore statale”.
Da ultimo, il vaglio di costituzionalità ha riguardato l’art. 13, co. 3, della legge regionale, il quale, nelle more dell’adozione della nuova pianificazione energetica ambientale della Regione, fissava un tetto all’aumento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, ai fini del rilascio dell’autorizzazione unica di cui all’art. 12 d.lgs. n. 387/2003.
La Consulta ne ha rilevato l’illegittimità proprio là dove, nell’attribuire al superamento del tetto l’effetto di precludere l’avvio o di sospendere la conclusione di procedimenti preordinati al rilascio di nuove autorizzazioni, si rivela incompatibile con quanto stabilito dal paragrafo 14.5 delle citate Linee guida nazionali, valevole quale principio fondamentale nella materia della “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”.
Al riguardo, la Corte ha avuto inoltre la premura di precisare che la suddetta violazione, causata dall’indebito effetto preclusivo, non potrebbe essere esclusa neppure strumentalizzando quanto previsto dall’art. 3, co. 6, del DM 15 marzo 2012, nella parte in cui autorizza le Regioni a porre “limiti massimi alla produzione di energia per singola fonte rinnovabile in misura non inferiore a 1,5 volte gli obiettivi previsti nei rispettivi strumenti di pianificazione energetica per la medesima fonte”. La sentenza chiarisce infatti che tale previsione costituisce un mero corollario della facoltà di identificare aree non idonee – per motivi di tutela paesaggistica o ambientale – alla localizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, riconosciuta alle Regioni dalle stesse Linee guida nazionali, al paragrafo 17.2. Tale individuazione, tra l’altro, a differenza di quanto fatto dal Legislatore lucano, deve sempre essere basata su apposite istruttorie e verifiche puntuali e concrete.