25/07/2020

Con la sentenza  n. 5812, del 3 marzo 2020, la Corte di Cassazione, sez. V Tributaria, attraverso una rilettura sistematica e teleologica delle disposizioni di cui all’art. 4 del d.P.R. 277 del 2000 ha chiarito che l’Amministrazione doganale è legittimata ad esperire la propria attività di accertamento in tema di credito di imposta sul gasolio per autotrazione anche successivamente alla formazione del silenzio assenso con il quale la stessa aveva riconosciuto la sussistenza del credito  in favore dell’autotrasportatore.

Come noto, i contribuenti che svolgono attività di autotrasporto di merci per conto terzi o per conto proprio hanno diritto ad una serie di benefici fiscali, tra i quali il rimborso del maggior onere correlato all’aumento delle accise pagate sul gasolio utilizzato per autotrazione (c.d. “caro petrolio”); tale credito può essere utilizzato in compensazione o riconosciuto a rimborso. Al fine di ottenere il beneficio previsto dalla normativa in esame, gli esercenti le attività di trasporto sono tenuti a presentare un’apposita dichiarazione all’Ufficio delle dogane territorialmente competente, con l’osservanza delle modalità stabilite dal D.P.R. n. 277/2000.

Più in particolare, la procedura di liquidazione del credito per accise su gasolio per autotrazione avviene con le seguenti modalità: l’autotrasportatore presenta la dichiarazione relativa ai consumi effettuati negli ultimi tre mesi con la relativa documentazione a corredo e l’Ufficio ne verifica la regolarità entro trenta giorni. Nel caso in cui vengano riscontrate irregolarità potranno essere chieste integrazioni da produrre entro un termine massimo di quarantacinque giorni. Una volta esaurita la fase documentale, l’Ufficio avrà sessanta giorni di tempo per determinarsi, decorsi i quali, in assenza di osservazioni, sarà possibile, per gli esercenti l’attività di autotrasporto che ne abbiano fatto richiesta, utilizzare il credito in compensazione. La norma stessa precisa, però, che l’Ufficio conserva comunque la facoltà, decorso il termine previsto per la formazione del silenzio assenso all’utilizzo del credito, di

‘‘annullare, con provvedimento motivato, l’atto di assenso illegittimamente formato, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a sanare i vizi entro un termine prefissatogli dall’ufficio stesso’’ (art. 4, comma 2, ultimo periodo del d.p.r. 277/2000).

La sentenza in commento ripercorre le varie fasi della procedura sopra richiamata esaminando, da una parte, la natura della dichiarazione presentata dall’autotrasportatore, e, dall’altra, la tipologia di attività posta in essere  dall’Amministrazione doganale per giungere alla conclusione che sia perfettamente legittimo l’intervento dell’amministrazione che revochi, in tutto o in parte, l’agevolazione precedentemente concessa in esito alla formazione del silenzio assenso.

Ma si proceda con ordine.

La vicenda trae origine dalla richiesta di una società di utilizzare in compensazione il credito di imposta sul gasolio per l’attività di trasporto merci. L’ufficio decorso il termine di 60 giorni dal ricevimento della domanda non si era pronunciato e si era così formato il silenzio assenso che dava accesso all’utilizzo del  credito in compensazione.

In sede di controllo successivo, però, la Dogana aveva rilevato l’irregolarità di alcuni importi ed aveva recuperato le somme indebitamente utilizzate, “annullando” il precedente tacito assenso.

Al riguardo la Cassazione, dopo aver precisato che la dichiarazione dell’autotrasportatore ha natura negoziale e non di mera dichiarazione di scienza giacché manifesta a volontà di avvalersi del credito di imposta in presenza dei requisiti previsti dal legislatore, ha chiarito che

“l’inutile decorso del termine di 60 giorni e l’effetto della formazione del silenzio assenso a favore del contribuente non preclude la permanenza del potere dovere dell’Amministrazione di effettuare necessari accertamenti sul merito dell’istanza e, quindi, ove risultino delle irregolarità, di annullare con provvedimento motivato l’atto di assenso illegittimamente formato”.

Secondo la SC la scelta del legislatore riposa nel caso di specie su un duplice principio: da un lato, garantire che il contribuente non sia danneggiato dall’inutile decorso del termine senza poter fruire del credito maturato, ciò – non si dimentichi – perché la dichiarazione ha valore di autocertificazione, dall’altra, prevedere che il beneficio fiscale possa essere riconosciuto solo in presenza dei presupposti e dei requisiti di legge, in ossequio a superiori principi comunitari (cfr. direttiva 2003/96/CE  come interpretata dalla Corte di Giustizia nella sentenza 2 giugno 2016, causa C-418/14 richiamate nella sentenza della SC, a mente della quale i prodotti energetici devono essere tassati in relazione al loro effettivo utilizzo).

Passando ad analizzare la natura dell’attività posta in essere dall’Amministrazione dopo la formazione del silenzio assenso, la Cassazione ha chiarito che essa non è frutto di un autonomo e distinto potere di accertamento, ma promana dalla stessa attività istruttoria svolta prima del tacito assenso.

Al di là dell’infelice espressione usata dalla norma, infatti, che, parla di “annullamento” del silenzio assenso, il potere impositivo dell’Amministrazione è sempre lo stesso e si dilata oltre l’originario termine per consentire un esame più dettagliato della documentazione in origine esibita, che non si è potuto completare nel termine ordinario.

L’atto di disconoscimento del credito, quindi, conclude la Corte, non è altro che l’avviso di accertamento che doveva essere emesso sin da principio e può avere ad oggetto sia l’annullamento totale che l’annullamento parziale dell’originaria domanda.

In altre parole, conclude la Corte,

“l’istanza mira alla fruizione di una agevolazione per un complessivo importo, le cui componenti tuttavia sono autonome ed oggetto di specifica valutazione: solo ove la falsità riguardi un elemento costitutivo dell’istanza (ad es. la dichiarazione di essere impresa esercente attività di autotrasporto) l’intera richiesta resta travolta, mentre se riguarda specifiche voci (ad es. la falsa titolarità di una cisterna di stoccaggio), la valutazione mantiene un carattere frazionato. e non travolge necessariamente l’istanza nel suo complesso”.

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