Il trattamento ai fini IVA del trasferimento di quote di emissione nell’ambito di un contratto di tolling: note critiche alla posizione espressa dall’Agenzia delle Entrate
Agenzia delle entrate, risposta a interpello n. 131 del 2 marzo 2021
1.- Nella risposta a interpello n. 131 del 2 marzo 2021, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che il trasferimento di quote di emissione nell’ambito di un contratto di tollingrelativo alla produzione di energia è soggetto ad IVA.
La fattispecie posta all’attenzione dell’Agenzia concerneva un soggetto (Alfa) che, a seguito di incorporazione, era subentrato in qualità di toller in un contratto di tolling nell’ambito del quale il tollee (Gamma) si impegnava a mettere a disposizione del toller, su base esclusiva, la capacità produttiva in ciascuna delle proprie unità di produzione, convertendo il combustibile fornito dal medesimo toller in energia elettrica.
Secondo lo schema negoziale in essere tra le parti, la proprietà del gas naturale necessario all’operatività degli impianti, così come la proprietà dell’energia elettrica prodotta dagli impianti successivamente immessa in rete, rimaneva in capo al toller Alfa, il quale si obbligava a corrispondere al tollee Gamma, quale corrispettivo dell’attività di produzione di energia elettrica appena descritta, una tolling fee.
Ai fini dell’effettuazione dell’attività di trasformazione di gas naturale svolta dal tollee, gli accordi contrattuali disciplinavano altresì l’approvvigionamento delle quote di emissione di gas a effetto serra necessarie allo stesso per ottemperare agli obblighi di legge imposti in materia ambientale (d.lgs. 13 marzo 2013, n. 30) e, in particolare, stabilivano che il toller si impegnava a rendere disponibile al tollee un numero di quote pari alle emissioni a consuntivo del toller stesso. Veniva espressamente previsto che la messa a disposizione di tali quote di emissione non aveva né carattere né natura né effetti traslativi e, pertanto, non prevedeva alcun corrispettivo.
Proprio sulla messa a disposizione delle quote di emissione nell’ambito del contratto di tolling l’istante ha chiesto chiarimenti all’Agenzia delle Entrate, con specifico riferimento ai profili IVA dell’operazione. La risposta a tale quesito ha richiesto un duplice approfondimento, concernente:
- la qualificazione ai fini IVA delle quote di emissione;
- il trattamento ai fini IVA della movimentazione di dette quote nell’ambito del contratto di tolling.
2. – Le quote di emissione di gas a effetto serra sono disciplinate dal d.lgs. 13 marzo 2013, n. 30, che ha attuato la direttiva 2009/29/CE di modifica della direttiva 2003/87/CE, al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra (European Emission Trading System, “EU ETS”, già descritto in altro contributo su questo sito). La Direttiva 2003/87/CE, in particolare, prevede che dal primo gennaio 2005 gli impianti grandi emettitori dell’Unione Europa non possano funzionare senza un’autorizzazione alle emissioni di gas serra. Ogni impianto autorizzato deve compensare annualmente le proprie emissioni con quote (European Union Allowances – EUA, equivalenti a 1 tonnellata di CO2eq) che possono essere comprate e vendute dai singoli operatori interessati. Gli impianti possono acquistare le quote nell’ambito di aste pubbliche europee o riceverne a titolo gratuito. In alternativa, possono approvvigionarsene sul mercato.
Con riferimento alla qualificazione giuridica delle quote di emissione, il citato d.lgs. 13 marzo 2013, n. 30, all’articolo 3, lett. pp), le definisce come
“il diritto di emettere una tonnellata di biossido di carbonio equivalente per un periodo determinato, valido unicamente per rispettare le disposizioni del presente decreto e cedibile conformemente al medesimo”.
Sotto il profilo civilistico, tali quote possono essere qualificate alla stregua di “beni immateriali” atteso che, secondo le più recenti teorie, il concetto di “bene” ricomprende al suo interno ogni entità materiale e immateriale che possa formare oggetto di diritti. Ai fini dell’IVA, invece, esse non possono essere qualificate come “beni” oggetto di cessione, risultando tale interpretazione contraria all’art. 14 della Direttiva 2006/112/CE, che riconduce a tale categoria solo i beni materiali, oltre a taluni beni immateriali e diritti espressamente previsti (artt. 15 e ss. della medesima direttiva) tra i quali tali quote di emissione non sono ricomprese. Sembra invece corretto qualificare le medesime come “prestazioni di servizi” essendo tali, in via residuale, le “cessioni (…) relative a diritti o beni similari ai precedenti” (art. 3, 2° co., n. 2, d.P.R. n. 633/72 e art. 25, 1° par., lett. a, della Direttiva 2006/112/CE). Sono infatti riconducibili a questa categoria i trasferimenti di beni immateriali, siano o meno incorporati in un titolo.
La qualificazione civilistica e fiscale appena illustrata è da lungo tempo condivisa anche dalla prassi, che si è espressa in tal senso con riferimento sia alle quote di emissione qui in esame, sia ai “certificati verdi” di cui si dirà meglio oltre (cfr. risoluzione n. 71/E del 20 marzo 2009).
L’Agenzia ritiene inoltre che la predetta qualificazione non venga meno per effetto della inclusione delle quote di emissione tra gli strumenti finanziari ai sensi dell’art. 1, lett. p), del D.Lgs. n. 129 del 3 agosto 2017 (che ha recepito la Direttiva 2014/65/UE, c.d. Direttiva MiFID II), poiché tale inclusione non ha finalità strictu sensu qualificatorie, ma è finalizzata a contrastare pratiche fraudolente che possono compromettere la fiducia nel sistema di scambio delle quote di emissione (cfr. anche precedente risposta n. 69/2018 dell’Agenzia delle Entrate).
Sulla qualificazione giuridica e fiscale delle quote di emissione, si rinvia ad altro contributo su questo sito, in commento alla sentenza n. 25492/2019 della Corte di Cassazione.
3.– Così definite le quote di emissione, occorre verificare quale sia il trattamento IVA della movimentazione delle medesime nel particolare contesto del tolling, non mancando di sottolineare le peculiarità di tale contratto.
Come noto, il contratto di tolling è un modello negoziale di origine anglosassone utilizzato in particolare nel settore energetico, col quale una parte, il tollee, mette la propria capacità produttiva a disposizione di un’altra, il toller, impegnandosi a convertire in energia elettrica il combustibile fornito da quest’ultimo. Successivamente, lo stesso toller provvede a immettere sul mercato e a vendere l’energia così prodotta. Il contratto di tolling più frequentemente utilizzato in Italia ricalca il modello anglosassone appena descritto e si sostanzia in un contratto atipico, frutto dell’autonomia negoziale delle parti, che presenta alcune analogie con il contratto di appalto disciplinato dagli articoli 1655 ss. c.c..
Nei contratti di tolling, generalmente il toller solleva il tollee dagli oneri derivanti dagli obblighi ambientali relativi alle attività svolte in tolling, mettendo a disposizione di quest’ultimo le quote di emissione riferibili alle emissioni a consuntivo del toller medesimo. Ciò accadeva anche nel caso oggetto dell’interpello, nel quale gli accordi contrattuali stabilivano espressamente l’obbligo del toller di mettere a disposizione del tollee le quote di emissione pari alle emissioni a consuntivo del toller, contestualmente precisando la gratuità e la mancanza di effetti traslativi di tale messa a disposizione. Tanto si legge sul punto nella parte in fatto dell’interpello:
“Entro il 20 aprile di ogni Anno, il Toller dovrà rendere disponibile al Tollee un numero di Quote di Emissione pari alle emissioni a consuntivo del Toller […]. La consegna delle Quote di Emissione dal Toller al Tollee, […] non ha né carattere né natura né effetti traslativi e, pertanto, non provvederà alcun corrispettivo”.
4.- In questo contesto, per individuare il trattamento IVA del trasferimento delle quote e, prima ancora, la stessa esistenza a monte di un siffatto trasferimento, occorre individuare il soggetto obbligato per legge ad assolvere gli obblighi ambientali. Occorre in buona sostanza individuare il “gestore” dell’impianto ai sensi dell’art. 3, lett. f) della Direttiva n. 2003/87/CE, da intendersi come tale
“la persona che gestisce o controlla un impianto o, se previsto dalla normativa nazionale, alla quale è stato delegato un potere economico determinante per quanto riguarda l’esercizio tecnico del medesimo”.
Secondo l’Agenzia, nel contratto di tolling è il tollee, quale gestore materiale dell’impianto e quale soggetto che emette gas a effetto serra, a dover assolvere gli obblighi ambientali. Viceversa, il toller ha la gestione solo sostanziale dell’impianto, essendo solo il soggetto cui è riferibile l’immissione dell’energia sul mercato. Così ricostruite le obbligazioni del toller e del tollee, il titolare dell’obbligo di annullare le quote di emissione riferibili alle emissioni dell’impianto risulta essere giuridicamente il tollee, economicamente (contrattualmente) il toller.
Nell’opinione dell’Agenzia, questa lettura trova conforto anche nella logica del sistema tracciato dal citato d.lgs. 13 marzo 2013, n. 30, volto a monitorare l’emissione dei gas a effetto serra derivanti da attività anche solo potenzialmente inquinanti. Da questa premessa l’Agenzia fa discendere che la responsabilità per tale emissione deve necessariamente ricadere sul tollee che, nella ricostruzione dell’Agenzia, produce energia elettrica, gestisce materialmente l’impianto e possiede le autorizzazioni (anche ambientali) per il suo funzionamento. Nessuna responsabilità per le emissioni sarebbe invece imputabile al toller che, sempre secondo l’Agenzia, si limiterebbe a commercializzare o trasportare l’energia stessa.
In buona sostanza, secondo l’Agenzia
“ciò che rileva, ai fini dell’assolvimento degli obblighi ambientali, non è chi immette energia nella rete, quanto, piuttosto, chi emette gas a effetto serra all’atto di produrla. Dette caratteristiche non possono che essere riscontrate nel Tollee, nel caso di specie responsabile della gestione in senso tecnico e soggetto figurante nell’elenco dei gestori autorizzati all’emissione di gas a effetto serra”.
Individuato il tollee come soggetto passivo dell’obbligazione ambientale, l’Agenzia conclude che la messa a disposizione delle quote di emissione dal toller al tollee rappresenta un vero e proprio trasferimento dedotto in contratto, strumentale ad assicurare le condizioni affinché il tollee effettui l’attività ad esso commissionata e adempia agli obblighi di legge che gravano su di esso.
Mancando tuttavia un corrispettivo analiticamente riferibile alla messa a disposizione delle quote, l’Agenzia invoca l’art. 11 del d.P.R. n. 633/1972 sulle operazioni permutative e, con una vera e propria “inversione logica”, qualifica le quote stesse come una “porzione” del complessivo corrispettivo dovuto al tollee: tale corrispettivo sarebbe infatti costituito in parte da denaro (i.e. dalla tolling fee), in parte dalle quote “cedute”, da valorizzare a valore normale[1] ai sensi dell’articolo 13, comma 2, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972.
5. – Le conclusioni tratte dall’Agenzia prestano il fianco a diverse considerazioni critiche.
Innanzitutto, la premessa su cui poggia la tesi dell’Agenzia è che il tollee, in quanto titolare degli impianti di produzione di energia, sia il solo soggetto titolare della “obbligazione verde”. Esistono invece validi argomenti per sostenere, in uno con l’istante dell’interpello, che nel contratto di tolling il gestore sostanziale dell’impianto, nonché il produttore stesso dell’energia, è il toller, in quanto tale diretto titolare dell’obbligazione verde. Se così è, allora nessun “trasferimento” di quote, men che meno rilevante ai fini dell’IVA, può riscontrarsi nel caso di specie.
Questa diversa lettura valorizza la causa del contratto di tolling e pare altresì in linea con la consistente giurisprudenza di merito che, sebbene nella diversa materia dei “certificati verdi” (art. 11, d.lgs. n. 79/99), ha argomentato che gli adempimenti connessi alla c.d. obbligazione verde incombono sul toller, sancendo l’irrilevanza ai fini IVA della movimentazione di detti certificati[2] proprio alla luce delle peculiari caratteristiche del contratto di tolling. Questa giurisprudenza ha infatti affermato che, in costanza di un contratto di tolling,
“anche se materialmente è il produttore materiale della energia elettrica a immetterla nella rete, tale operazione avviene per nome e conto del proprietario della energia stessa cui incombono tutti gli adempimenti connessi, tra i quali, appunto, il rispetto della normativa riguardante i certificati verdi. […]
Da quanto sopra deriva che gli adempimenti connessi alla normativa dei certificati verdi incombono [sul toller] a nulla rilevando il fatto che la materiale consegna di detti certificati possa essere effettuata [dal tollee].
[Da ciò consegue che] la consegna dei “certificati verdi” al proprietario dell’impianto (e relativa registrazione), ai fini dell’esecuzione del contratto, devono intendersi a titolo non traslativo”.
Inoltre, se si leggono attentamente i fatti da cui origina l’interpello, potrebbe finanche dubitarsi dell’esistenza di una “prestazione di servizi a titolo oneroso” rilevante ai fini dell’IVA, sotto diversi profili del tutto trascurati dall’Agenzia. In particolare:
- l’istante ha precisato che il toller si obbligava a “rendere disponibile” al tollee “un numero di quote di emissione pari alle emissioni a consuntivo del toller”; ma è tutta da dimostrare la totale equiparazione, ai fini civilistici e fiscali, tra il “rendere disponibile” e il “cedere” un bene immateriale, atteso che nel primo caso manca in radice il trasferimento della piena titolarità del bene;
- il contratto non prevedeva alcun corrispettivo a fronte di tale messa a disposizione delle quote: anche questo punto sembra del tutto trascurato dall’Agenzia, che lo “aggira” ricorrendo all’istituto della permuta di cui all’art. 11 del d.P.R. n. 633/1972. Ma si tratta di un escamotage che non regge, atteso che sia la normativa (artt. 2 e 3 del p.R. n. 633/72), sia la Corte di giustizia sono chiarissime nell’affermare che
“nell’ambito del sistema dell’IVA, le operazioni imponibili presuppongono l’esistenza di un negozio giuridico tra le parti implicante la stipulazione di un prezzo o di un controvalore. Conseguentemente, qualora l’attività di un prestatore consista nel fornire esclusivamente prestazioni senza corrispettivo diretto, non vi è base imponibile e tali prestazioni non sono, quindi, soggette all’IVA” (da ultimo, Corte di Giustizia, sentenza 22 giugno 2016, causa C-11/15);
- ciò tanto più vale ove si consideri che la tolling fee è generalmente molto analitica e specifica con chiarezza quali servizi svolti dal tollee va a remunerare, non residuando alcuno spazio per l’individuazione di un’ulteriore prestazione “onerosa”, in aggiunta al pagamento della tolling fee, rappresentata dalla cessione delle quote di emissione.
Alla luce di tutti gli elementi qui brevemente sintetizzati, può ben dirsi che la posizione interpretativa espressa dall’Agenzia delle Entrate non ha definitivamente messo un punto a questa controversa questione, lasciando invece aperti numerosi interrogativi.
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[1] Il valore normale, nella specie, è individuato nel valore delle quote di emissione acquistabili sul mercato 20 giorni prima del termine di consegna delle quote di emissione previsto da contratto (20 aprile di ciascun anno).
[2] Comm. Reg. Lombardia Milano, sez. XXVI, 3 dicembre 2012, n. 163, Comm. trib. prov. di Milano, sez. XXI, 19 luglio 2012, n. 181; Comm. trib. prov. di Milano, sez. XXIII, 2 febbraio 2012, n. 23; Comm. trib. prov. di Milano, sez. XXXV, 19 gennaio 2012, n. 17; Comm. trib. prov. Di Milano, sez. XVII, 10 novembre 2011, n. 297; Comm. trib. prov. di Milano, sez. XV, 30 settembre 2011, n. 26; Comm. trib. prov. di Milano, sez. XXXV, 31 marzo 2011, n. 102. Per un commento, Cfr. Contrino, Titoli ambientali, contratto di ‘tolling’ e operazioni imponibili ai fini Iva: note a margine della prima giurisprudenza, in Rass. Trib., 2013, p. 683.