26/05/2021

Attraverso la recente sentenza del 24 febbraio 2021 – resa nel procedimento C-95/19 – la Corte di Giustizia ha riconosciuto la facoltà dell’Autorità nazionale destinataria di una richiesta di assistenza al recupero di crediti, formulata da un altro Stato membro, di non procedere qualora detta richiesta riguardi diritti di accisa in precedenza già oggetto di recupero nella giurisdizione dello Stato adito. In tale caso, difatti, la necessità di scongiurare un fenomeno di doppia imposizione prevale sugli obblighi di reciproca assistenza previsti dalla Direttiva 76/308/CEE (oggi Direttiva 2010/24/UE).

Di seguito i fatti di causa.

Una società italiana (di seguito, “ITAco”) effettuava – nel corso del biennio 1995-1996 – talune operazioni di cessione intracomunitaria aventi per oggetto alcool etilico. Tali cessioni venivano poste in essere in regime di sospensione d’imposta, di talché ITAco non provvedeva ad assolvere il relativo onere di versamento delle accise: detto onere, difatti, avrebbe dovuto gravare sulla società acquirente – localizzata in Grecia (“HELco”) – al momento dell’immissione in consumo dei prodotti alcolici.

Senonché, a distanza di qualche anno dall’effettuazione delle predette operazioni, l’Agenzia delle Entrate ravvisava la falsità materiale inficiante i documenti amministrativi di accompagnamento (cd. DAA) relativi alla merce asseritamente ceduta a HELco; inoltre, l’AdE appurava altresì la mancata ricezione – da parte delle autorità doganali greche – di tali prodotti. Ne conseguiva – una volta disconosciuto il regime di sospensione d’imposta – il recupero, in capo a ITAco, dei diritti di accisa dovuti su tali operazioni.

Successivamente al recupero delle accise – nei termini sopra descritti – da parte dell’Amministrazione finanziaria italiana, l’Autorità doganale greca emetteva nei confronti di ITAco appositi atti di addebito dei diritti di accisa. Tali atti riguardavano le medesime operazioni di cessione intracomunitaria già fatte oggetto di accertamento in Italia: secondo le Autorità greche, difatti, i relativi prodotti alcolici erano in verità giunti sul territorio ellenico e ivi illegalmente immessi in consumo.

Da qui, ne discendeva la richiesta – da parte delle Autorità greche – di assistenza al recupero delle accise contestate a ITAco; richiesta che veniva rivolta all’Agenzia delle Entrate secondo quanto previsto dalla Direttiva 76/308/CEE allora vigente.

L’AdE – tenuta dalla predetta Direttiva a riconoscere automaticamente il credito vantato dallo Stato richiedente – notificava appositi avvisi di pagamento a ITAco. Tali atti venivano impugnati dalla società, la quale vedeva respingere le proprie doglianze in prime cure; di contro, ITAco otteneva l’annullamento di detti avvisi all’esito del giudizio di appello, in ragione di taluni vizi formali (tra cui l’assenza di notifica, da parte delle Autorità greche, degli atti prodromici). L’Agenzia delle Entrate ricorreva pertanto alla Suprema Corte di Cassazione, invocando – sulla base del diritto comunitario – la necessità per gli organi dello Stato adito di procedere incondizionatamente al recupero dei crediti oggetto della richiesta di assistenza, in virtù del principio di fiducia reciproca valevole nel rapporto fra le amministrazioni nazionali interessate dalla procedura in discorso.

La Suprema Corte sospendeva il procedimento e sottoponeva al Giudice comunitario la questione relativa all’eventuale possibilità per gli organi dello Stato adito di rifiutare – nell’ambito del procedimento interno di opposizione ai provvedimenti esecutivi adottati sulla base della richiesta di assistenza – il recupero dei diritti di accisa rivendicati da un altro Stato membro, nel caso specifico in cui detti oneri riguardino le medesime operazioni di esportazione in precedenza già fatte oggetto di recupero nello stesso Stato adito.

A tale quesito, attraverso la citata sentenza resa nel procedimento C-95/19, la Corte di Giustizia ha risposto in senso affermativo.

Nel fare ciò, il Giudice comunitario si è innanzitutto soffermato sulla disciplina dei diritti di accisa, evidenziando come l’armonizzazione a cui la stessa risulta improntata appaia funzionale al superamento di ogni eventuale fenomeno di doppia imposizione in ipotesi verificabile a fronte di operazioni involgenti diversi Stati membri. L’immissione in consumo dei prodotti assoggettati ad accisa – ovverosia il presupposto di esigibilità di tale prelievo – può difatti avvenire una sola volta: anche nel caso di plurime infrazioni poste in essere – con riferimento alla medesima merce – nel territorio di diversi Stati membri, pertanto, l’esigibilità dell’imposta deve essere ricondotta unicamente alla prima violazione da cui sia derivata l’immissione in consumo.

Tanto osservato, la CGUE è quindi passata all’esame della procedura comunitaria di assistenza per il recupero dei crediti statali. Un principio fondamentale di detta procedura, ad avviso della Corte di Giustizia, va ravvisato nella ripartizione di competenze fra gli Stati membri in ordine alla valutazione della fondatezza del credito stesso (o del relativo titolo) – da una parte – e del provvedimento con cui tale credito viene materialmente portato ad esecuzione, dall’altro: il primo, difatti, può essere valutato unicamente dall’Autorità competente dello Stato membro richiedente (in sostanza, il “creditore”), mentre il secondo – di contro – viene fatto oggetto di opposizione e, quindi, di sindacato nello Stato adito (il “riscossore”). Da ciò, pertanto, è derivata la regola per cui il titolo posto alla base del credito oggetto di recupero viene riconosciuto direttamente e automaticamente nello Stato membro adito.

Senonché, tali principi devono essere diversamente declinati in ragione dello specifico credito per il quale viene attivata la procedura di assistenza. Ad avviso della CGUE, del tutto peculiare appare l’ipotesi in cui vengono fatti valere due crediti concorrenti fondati, in sostanza, sulle medesime operazioni di esportazione, l’uno accertato da un organo dello Stato membro in cui ha sede l’Autorità adita e l’altro accertato da un organo dello Stato membro in cui ha sede l’Autorità richiedente: in questo caso, laddove oggetto della procedura risultino essere diritti di accisa, il recupero di entrambi i crediti si potrebbe difatti porre in manifesto contrasto con il divieto di doppia imposizione sancito dalla Direttiva 92/12/CEE (oggi Direttiva 2008/118/CE).

Ed invero, la citata Direttiva 92/12/CEE prevede uno specifico set di regole volto ad assicurare che il prelievo in discorso avvenga all’interno di una sola giurisdizione. In particolare, a fronte di violazioni commesse nell’ambito di un’operazione intracomunitaria, l’art. 20 di tale Direttiva stabilisce la competenza esclusiva – in via principale – dello Stato membro in cui viene realizzata la violazione stessa; laddove non sia possibile stabilire il luogo di commissione dell’illecito, la facoltà di esigere le accise è invece attribuita in favore dello Stato membro in cui l’infrazione viene accertata oppure, in via ancora subordinata e quindi residuale, in favore dello Stato di partenza della merce. Tali regole, va da sé, hanno la funzione precipua di scongiurare una doppia imposizione con riferimento alle medesime operazioni. Peraltro, nell’ipotesi di accise già versate – sulla base delle predette regole – in uno Stato membro e di cui solo successivamente si sia accertata l’effettiva debenza in un altro Stato, il paragrafo 4 del citato art. 20 prevede uno specifico meccanismo correttivo, diretto a consentire il rimborso delle accise versate nel primo Stato: tale meccanismo, tuttavia, può operare esclusivamente entro un termine triennale decorrente dal rilascio del DAA relativo alla merce oggetto di prelievo.

Ora, nell’ambito della vicenda sottoposta al Giudice comunitario, il termine triennale di cui al paragrafo 4 dell’art. 20 risultava ampiamente decorso. Per tale ragione, l’eventuale recupero delle accise contestate a ITAco dalle Autorità elleniche avrebbe necessariamente condotto ad un fenomeno di doppia imposizione.

Ebbene, secondo la CGUE, proprio dall’esigenza di scongiurare il duplice assoggettamento ad accisa delle stesse operazioni deve discendere il riconoscimento della facoltà – per l’organo competente dello Stato membro adito – di rifiutare l’esecuzione del titolo vantato dallo Stato richiedente nell’ambito della procedura di assistenza di cui alla Direttiva 76/308/CEE. L’adozione di una soluzione contraria, del resto, equivarrebbe ad ammettere la coesistenza – nello stesso sistema nazionale – di due decisioni definitive riguardanti l’imposizione degli stessi prodotti soggetti ad accisa: la prima fondata sull’avvenuto svincolo irregolare, dal regime sospensivo, dei medesimi – da una parte – e l’altra giustificata in ragione della loro successiva immissione in consumo, dall’altra.

Il tutto, va da sé, con la conseguente produzione di un fenomeno di doppia imposizione chiaramente contrario ai principi fondanti la disciplina comunitaria sui diritti di accisa. Ciò posto, la Corte di Giustizia ha quindi risposto al quesito della Suprema Corte nei seguenti termini:

L’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 76/308/CEE del Consiglio, del 15 marzo 1976, sull’assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da taluni contributi, dazi, imposte ed altre misure, come modificata dalla direttiva 2001/44/CE del Consiglio, del 15 giugno 2001, in combinato disposto con l’articolo 20 della direttiva 92/12/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1992, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa, come modificata dalla direttiva 92/108/CEE del Consiglio, del 14 dicembre 1992, deve essere interpretato nel senso che, nell’ambito di un’azione di contestazione riguardante i provvedimenti esecutivi adottati nello Stato membro in cui ha sede l’autorità adita, l’organo competente di tale Stato membro può rifiutare di accogliere la domanda di recupero dei diritti di accisa, presentata dalle autorità competenti di un altro Stato membro, per quanto riguarda prodotti irregolarmente svincolati da un regime sospensivo, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 92/12, come modificata dalla direttiva 92/108, qualora tale domanda sia fondata sui fatti riguardanti le medesime operazioni di esportazione che siano già oggetto di un recupero dei diritti di accisa nello Stato membro in cui ha sede l’autorità adita”.

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