La Consulta dichiara illegittima la previsione di limiti di potenza degli impianti FER in aree rurali
Corte Costituzionale, sentenza 7 luglio 2021, n. 177
La Corte costituzionale, con la recente sentenza del 7 luglio 2021, n. 177, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni con cui la Regione Toscana, da un lato, aveva introdotto un limite di potenza massima agli impianti fotovoltaici a terra realizzabili in aree rurali e, dall’altro, per le potenze ammissibili, aveva condizionato il rilascio dell’autorizzazione unica alla previa intesa con il comune o i comuni interessati dall’impianto.
In particolare, nella pronuncia in commento, la Consulta ha dichiarato illegittimo l’art. 2, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione Toscana del 7 giugno 2020, n. 82, recante “Disposizioni relative alle linee guida regionali in materia di economia circolare e all’installazione degli impianti fotovoltaici a terra. Modifiche alla l.r. 34/2020 e alla l.r. 11/2021”, per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., ritenendo violati i principi fondamentali della materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”.
Con tali disposizioni – e segnatamente con l’art. 2, co. 1 – la Regione Toscana aveva introdotto il limite di potenza massima di 8.000 KW per la realizzazione in aree rurali di impianti fotovoltaici a terra, modificando, a tal fine, l’art. 9 della l. r. del 21 marzo 2011 n. 11, recante “Disposizioni in materia di installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili di energia”.
In tale articolo, era stato introdotto il nuovo comma 1-bis, in forza del quale
“fatte salve le aree individuate all’art. 5, nelle aree rurali come definite dall’art. 64 della l. r. 10 novembre 2014, n. 65 (Norme per il governo del territorio) e identificate negli strumenti della pianificazione territoriale e negli altri atti di governo del territorio di cui alla stessa L.R. 65/2014, è ammessa la realizzazione di impianti fotovoltaici a terra fino alla potenza massima, per ciascun impianto, di 8.000 kW elettrici”.
Così disponendo, la Regione aveva imposto sulle suddette aree un generico divieto d’installazione, per tutti gli impianti di potenza superiore a quella definita normativamente.
Orbene, secondo la Consulta, tale impostazione contrasta con i principi fondamentali ricavabili dall’art. 12, commi 7 e 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 e dal correlato D.M. 10 settembre 2010, recante le c.d. Linee guida nazionali, espressione della leale collaborazione tra Stato e Regioni e, come tali, vincolanti e da applicare in modo uniforme in tutto il territorio nazionale.
Tali Linee guida riconoscono sì alle Regioni la possibilità di individuare aree e siti non idonee ad accogliere la costruzione di impianti per la produzione di energie rinnovabili, ma, a tal fine, prevedono un apposito iter procedimentale e, in particolare, lo svolgimento di un’istruttoria, “avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale”, e a valle l’eventuale adozione di un atto di pianificazione, che individui le incompatibilità di determinate aree, “in relazione a specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti”.
In sintesi, la competenza ad individuare aree non idonee e ad escludere determinate tipologie di impianti spetta all’atto di pianificazione territoriale, la cui funzione è quella di segnalare “una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione” e, dunque, di “accelerare” la procedura.
Al contrario,
“il carattere generale e vincolante della disposizione impugnata cristallizza il precetto della «non idoneità» in tutto il territorio regionale e, pertanto, sfugge alla possibilità del bilanciamento in concreto degli interessi, che il legislatore statale affida al procedimento amministrativo”.
Peraltro, secondo la Corte, nella disciplina relativa all’autorizzazione degli impianti per la produzione di energia rinnovabile non può prescindersi dal principio, di derivazione europea, della massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabile. Tale principio sarebbe leso nel caso in cui le Regioni imponessero in via legislativa vincoli generali, non previsti dalla disciplina statale, non rispettando la riserva di procedimento amministrativo e, di riflesso, non consentendo di operare una corretta ponderazione degli interessi pubblici coinvolti.
In aggiunta, sulla scorta di tali motivazioni di principio, la Consulta ha altresì censurato l’iter procedurale introdotto con il comma 2 dell’art. 1 della l. r. n. 82/2020 per l’installazione degli impianti FER di potenza superiore a 1.000 KW.
Infatti, differentemente dalle disposizioni nazionali, la legge regionale aveva previsto che l’autorizzazione unica venisse rilasciata “previa intesa” con il comune o con i comuni interessati dall’impianto. Secondo l’opinione dei giudici, ciò costituirebbe un aggravio del procedimento rispetto alla conferenza di servizi, improntata, com’è noto, ad esigenze di semplificazione procedimentale e a beneficio di istanze di razionalizzazione.
In tal modo, quindi, risulterebbe violata la ratio dell’istituto e della previsione di un procedimento di autorizzazione unica.