27/10/2021

A seguito delle modifiche apportate al D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (di seguito, breviter D.Lgs. 231/2001) da parte del D.Lgs. 14 luglio 2020, n. 75, le imprese che hanno rapporti commerciali con l’estero e vogliono tutelarsi contro il rischio di incorrere nelle pene previste dal D.Lgs. 231/2021 per il reato di contrabbando doganale devono aggiornare il proprio modello organizzativo 231 sulla responsabilità amministrativa degli enti; ci si chiede se alla luce delle nozioni ormai unanimemente condivise di “contrabbando” e di “diritto di confine”, debbano essere prese in considerazione tra i reati-presupposto anche le condotte che determinano la sottrazione delle merci all’accertamento o al pagamento delle accise.

Più in dettaglio, il D.Lgs. 75/2020, che ha dato attuazione alla Direttiva (UE) n. 1371/2017 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2017, “relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale” (Direttiva PIF), oltre ad avere ampliato il novero dei reati tributari e dei reati contro la Pubblica Amministrazione presenti nell’elenco dei “reati-presupposto”, ha inserito, tra gli stessi, anche i reati di contrabbando, con l’introduzione del nuovo art. 25 sexiesdecies del D.Lgs. 231/2001.

Per la precisione, la norma richiamata ha previsto, in relazione alla commissione dei reati di cui al D.P.R. del 23 gennaio 1973, n. 43 (di seguito, breviter, “TULD” o Testo Unico Leggi Doganali), l’applicazione all’ente della sanzione pecuniaria fino a duecento quote (comma 1), ovvero, fino a quattrocento quote qualora i diritti di confine dovuti superino centomila euro (comma 2).

Sempre in forza della medesima disposizione (comma 3) sono, infine, applicate all’ente le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, lettere c), d), e), D.Lgs. 231/2001 e quindi, il divieto di contrarre con la Pubblica Amministrazione, la perdita di sussidi, finanziamenti, agevolazioni ed il divieto di pubblicizzare beni e servizi.

In linea generale, il delitto di contrabbando di cui al Titolo VII, capo I, del TULD, artt. 282 – 301, punisce chiunque introduca nel territorio dello Stato merci che sono sottoposte ai diritti di confine, in violazione delle disposizioni doganali.

L’art. 34 del medesimo TULD individua i diritti di confine nel modo seguente (comma 2)

“Fra i diritti doganali costituiscono diritti di confine: i dazi di importazione e quelli di esportazione, i prelievi e le altre imposizioni all’importazione o all’esportazione previsti dai regolamenti comunitari e dalle relative norme di applicazione ed inoltre, per quanto concerne le merci in importazione, i diritti di monopolio, le sovrimposte di confine ed ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato”.

Dal tenore letterale dell’art. 34 del TULD si evince, dunque, che le accise – in quanto imposte di consumo – rientrano nella più ampia categoria dei “diritti di confine”; tale impostazione risulta confermata anche dalla Corte Costituzionale che, nella sentenza n. 233 del 7 dicembre 2018 ha precisato che i diritti di confine “così come descritti dall’art. 34 del TULD ricomprendono oltre ai dazi anche le accise sui consumi”.

Su questa stessa linea, poi, la giurisprudenza della Suprema Corte ha chiarito che (Cass. pen,  sent. n. 24847 de 15 giugno 2016)

 “la nozione di contrabbando… attiene sia a forme di evasione (di violazione delle leggi finanziarie impositivi di dazi sulle merci estere) che accedono al contrabbando doganale estero sia a forme di evasione di atri tributi previsti da leggi finanziarie non doganali, come le imposte di fabbricazione, i monopoli fiscali, le imposte comunali di consumo, che si sostanziano in condotte fraudolente relative ai dazi interni di consumo nonché ai monopoli di stato, il cd. contrabbando interno”.

A definitivo sugello, anche la dottrina (v., per tutti, Azzali, voce “contrabbando doganale”, in Enciclopedia del diritto, vol. IX, Milano, 1961, 679) secondo cui il termine “contrabbando” indica l’offesa diretta contro gli interessi finanziari dello Stato e degli enti pubblici minori, che si realizza attraverso l’evasione dei dazi e delle imposte di produzione e consumo.

Orbene, le sopra dedotte circostanze alla luce delle quali l’evasione dei diritti di confine realizzata con il contrabbando può ricomprendere anche l’evasione dell’accisa hanno indotto alcune società ad attrarre nel novero dei reati-presupposto di cui al D.Lgs. n. 231/2001 il “contrabbando” (rectius: l’illecita movimentazione) di merci sottoposte ad accisa; ciò ha determinato il conseguente aggiornamento dei Modelli Organizzativi 231 con la predisposizione di protocolli di controllo e presidi organizzativi appositi.

Il tema appare di particolare interesse perché, mentre il rischio potenziale di contrabbando doganale si profila per tutte le imprese che intrattengono relazioni commerciali con soggetti residenti in Paesi terzi, il contrabbando riferito ai prodotti assoggettati ad accisa può manifestarsi anche in ipotesi di transazioni intraunionali; poiché, infatti, l’obbligazione tributaria sorge all’atto della fabbricazione o dell’importazione del prodotto e l’accisa diventa concretamente esigibile soltanto all’atto dell’immissione in consumo nello Stato membro di destinazione, in linea di principio, ogni singolo trasferimento di prodotto all’interno del territorio dell’Unione prima della sua immissione in consumo potrebbe prestare il fianco a potenziali rischi di “contrabbando” rilevanti ai fini accise, ai sensi del D.Lgs. 231/2001.

In realtà, almeno per ciò che riguarda i prodotti energetici, l’interpretazione sopra prospettata sembra non essere coerente con il dato testuale dell’art. 25 sexiesdecies citato.

La norma sopra descritta, infatti, limita la responsabilità degli enti ex D.Lgs. 231/2001 ai soli reati di contrabbando “previsti dal d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43” (c.d. Testo Unico leggi doganali); poiché, quindi, l’illecita movimentazione di prodotti energetici assoggettati ad accisa trova la sua disciplina nel diverso D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (di seguito, breviter: “TUA” o “testo Unico Accise”), questa circostanza dovrebbe consentire di escludere la condotta sopra descritta dai reati-presupposto rilevanti ai fini del D. Lgs 231/2001.

In particolare, a mente dell’art. 40 del TUA è punito con la reclusione e con una multa chiunque

“… b) sottrae con qualsiasi mezzo gli oli minerali, compreso il gas metano, all’accertamento o al pagamento dell’accisa; c) destina ad usi soggetti ad imposta od a maggiore imposta prodotti esenti o ammessi ad aliquote agevolate; d) effettua operazioni di miscelazione non autorizzate dalle quali si ottengono prodotti soggetti ad una accisa superiore a quella assolta sui singoli componenti; e) rigenera prodotti denaturati per renderne più facile ed elusivo l’impiego in usi soggetti a maggiore imposta; f) detiene oli minerali denaturati in condizioni diverse da quelle prescritte per l’ammissione al trattamento agevolato; g) detiene o utilizza prodotti ottenuti da fabbricazioni clandestine o da miscelazioni non autorizzate”.

Sotto un profilo sostanziale, l’amplissima portata della norma sopra trascritta consente di assimilare le varie condotte di movimentazione illecita di prodotti energetici assoggettati ad accisa alle diverse e, per certi versi, parallele ipotesi di contrabbando disciplinate dal TULD.

Decisiva, però, ai fini della sopra dedotta esclusione è la natura speciale dell’art. 40 TUA che ne comporta l’applicazione – in via preferenziale ed esclusiva rispetto alla disciplina doganale sul contrabbando – tutte le volte in cui siano illecitamente movimentati prodotti energetici assoggettati ad accisa.

Sulla base di ciò, quindi, si può ragionevolmente concludere che il “contrabbando” di prodotti energetici debba rimanere escluso dal novero dei reati-presupposto del D.Lgs. 231/2001; ciò dal momento che, pur essendo il contrabbando riconducibile ad una mera evasione di diritti di confine e anche – per quanto qui di interesse – di accise, per i prodotti energetici la fattispecie sopra delineata trova la sua copertura normativa nel TUA e non nel TULD, il solo rilevante ai fini del D.Lgs. 231/2001.

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