Impianti alimentati da biomasse: la PAS richiede una valutazione di compatibilità
Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 3 novembre 2021, n. 7354
Il Consiglio di Stato, con la sentenza del 3 novembre 2021, n. 7354, ha ribadito l’orientamento, già espresso in precedenti e recenti pronunce, per il quale l’accesso alla Procedura Abilitativa Semplifica (PAS) per la realizzazione di un impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili è condizionato alla conformità urbanistica del progetto, che fonda e giustifica la duplice semplificazione, sia procedimentale, a mezzo di conferenza di servizi, sia provvedimentale, con la formazione del silenzio assenso. Spetta al Comune, quale amministrazione titolare dei poteri di controllo, inibitori e conformativi, esperire la valutazione di compatibilità urbanistica ed edilizia dell’intervento, che è presupposto indispensabile per l’assentibilità a mezzo PAS.
Nel caso di specie, la questione riguardava la sostituzione di un impianto termico a biomassa funzionale al riscaldamento delle serre di un’azienda agricola, con quattro impianti a biomassa, in assetto cogenerativo, per la produzione combinata di energia termica, funzionale sempre al riscaldamento e al funzionamento delle serre, e di energia elettrica, da cedere alla rete. Il progetto era da realizzarsi in un’area in cui la disciplina urbanistica del Comune ammetteva esclusivamente interventi di manutenzione straordinaria, oltre che di manutenzione ordinaria e restauro conservativo.
Orbene, secondo il Supremo Consesso, un progetto come quello di specie – come rilevato dal Comune all’esito della Conferenza di servizi all’uopo convocata – non presenta caratteristiche strutturali e funzionali compatibili con la qualificazione di intervento di “manutenzione straordinaria”.
Sul punto, il Consiglio di Stato ha innanzitutto ricordato che, in base alla disciplina di cui al Testo unico sull’edilizia (art. 3, co. 1 lett. b) D.P.R. 380/2001) e alla legislazione regionale in materia (art. 79, co. 2, l. r. Toscana n. 1/2005), la realizzazione di centrali alimentate a biomasse costituisce un intervento di manutenzione straordinaria soltanto laddove non alteri i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comporti modifiche alla destinazione d’uso.
Deve trattarsi, quindi, di impianti che non comportino variazioni essenziali, ma che, al massimo, determinino la creazione di volumi tecnici, intendendosi come tali “solo i volumi necessari a contenere ed a consentire l’accesso di quelle parti degli impianti tecnici (idrico, termico, elevatorio, televisivo, di parafulmine, di ventilazione, ecc.) che non possono, per esigenze di funzionalità degli impianti stessi, trovare luogo entro il corpo dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche. Il volume tecnico, pertanto, afferisce a opere edilizie di limitata consistenza volumetrica e completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali di tale costruzione”.
Condizioni che non sono state rinvenute nel caso di specie, in cui, ad avviso del Supremo Consesso, “la produzione di energia elettrica destinata alla cessione sul mercato, infatti, è incompatibile con l’asserita finalità strettamente servente alle esigenze di riscaldamento dell’azienda agricola e conduce, unitamente alle caratteristiche strutturali, a qualificare l’intervento come volto alla realizzazione di un impianto autonomo piuttosto che di un mero volume tecnico”.
Al contrario, nessun rilievo ha avuto il fatto che il regolamento edilizio comunale qualificava espressamente come manutenzione straordinaria “l’installazione di impianti relativi alle fonti rinnovabili di energia”. Il regolamento, infatti, essendo fonte normativa di rango secondario, non è idoneo a derogare al D.P.R. n. 380/2001, ovvero a introdurre una nuova categoria di interventi di manutenzione straordinaria, distinta ed aggiuntiva a quelle ivi contemplate. Pertanto, la suddetta previsione sugli impianti FER può avere soltanto una funzione specificativa e chiarificatrice della normativa primaria: l’unica compatibile con la natura di fonte secondaria dell’atto in cui è contenuta.
Sicché, anche alla luce di quanto sopra, la sentenza ha chiarito la corretta sequenza logica sussistente tra i presupposti e gli effetti della PAS. Da un lato, ha escluso, infatti, che la PAS possa essere assimilata all’autorizzazione unica, di cui all’art 12 d.lgs. 29 dicembre 2003 n. 387, in quanto solo quest’ultima può costituire variante allo strumento urbanistico, ai sensi del comma 3 del medesimo articolo. Dall’altro, il Collegio ha ribadito che “l’effetto della PAS non può essere quello di consentire l’intervento in deroga agli strumenti urbanistici, perché è proprio la compatibilità urbanistico-edilizia del progetto a costituire il presupposto per la legittima realizzazione a mezzo di procedura semplificata”.