29/03/2022

Nel corso degli ultimi anni si è assistito alla progressiva emersione del fenomeno noto come “greenwashing”, neologismo che designa una serie di pratiche di comunicazione e/o di marketing adottate da aziende, istituzioni, enti finalizzate a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente derivanti dalle proprie attività o dai propri prodotti. Il legislatore europeo, per arginare tale fenomeno e incentivare le aziende a perseguire in maniera effettiva la transizione ecologica, con il regolamento UE n. 852 del 18 giugno 2020[1] (di seguito “Regolamento Tassonomia”) ha elaborato una serie di innovativi criteri per stabilire, con un certo grado di uniformità a livello europeo, se un’attività economica possa considerarsi ecosostenibile, al fine di individuare il grado di ecosostenibilità di un investimento.

Numerosi sono i documenti programmatici e gli accordi che hanno indirizzato il legislatore unionale nell’elaborazione del suddetto Regolamento, tra cui si ricordano: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile[2] promossa dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il successivo Accordo di Parigi[3] del 12 dicembre 2015 nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e, infine, il virtuoso  European Green Deal[4], mediante il quale la Commissione Europea, l’11 dicembre 2019, ha adottato una nuova strategia di crescita che mira a trasformare l’Unione da un’economia basata sulle fonti fossili a un’economia fondata sulle energie rinnovabili, impegnandosi inoltre a diventare il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050 e a ridurre le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.

Il legislatore europeo, nei considerando che precedono la parte dispositiva del regolamento, da un lato sollecita una maggiore partecipazione del settore privato al finanziamento delle spese legate all’ambiente e al clima e, dall’altro, evidenzia che, ai fini dello spostamento dei flussi di capitali verso attività più sostenibili, è necessario che ci sia una comprensione condivisa e olistica dell’eco-sostenibilità delle attività economiche e degli investimenti.

Da tali premesse si evince il ruolo innovativo e fondamentale del Regolamento Tassonomia, il quale si propone di armonizzare a livello europeo i criteri in base ai quali un’attività economica possa essere considerata ecosostenibile rispetto a determinati obiettivi ambientali. Tali obiettivi, che fungono da parametro per la qualificazione di un’attività come ecosostenibile, sono elencati all’art. 9 del Regolamento, vera pietra angolare di tutto il testo normativo. Essi sono:

a) la mitigazione dei cambiamenti climatici (disciplinato dall’art. 10 del Regolamento);

b) l’adattamento ai cambiamenti climatici (disciplinato dall’art. 11 del Regolamento);

c) l’uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine (disciplinato dall’art. 12 del Regolamento);

d) la transizione verso un’economia circolare (disciplinato dall’art. 13 del Regolamento);

e) la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento (disciplinato dall’art. 14 del Regolamento);

f) la protezione e il ripristino delle biodiversità e degli ecosistemi (disciplinato dall’art. 15 del Regolamento).

Altra norma fondamentale del Regolamento è l’art. 3, rubricato “Criteri di ecosostenibilità delle attività economiche”, che elenca una serie di condizioni affinchè un’attività economica possa definirsi ecosostenibile. In particolare, un’attività economica è considerata sostenibile se:

a) contribuisce in modo sostanziale al raggiungimento di uno o più degli obiettivi ambientali di cui all’art. 9 del Regolamento;

b) non arreca un danno significativo a nessuno degli altri obiettivi ambientali (ex 17 del Regolamento);

c) è svolta nel rispetto delle garanzie minime di salvaguardia (ex 18 del Regolamento) (intese come quelle procedure attuate da un’impresa che svolge un’attività economica al fine di garantire l’allineamento con le linee guida OCSE destinate alle imprese multinazionali e con i Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani);

d) è conforme ai criteri di vaglio tecnico fissati dalla Commissione Europea, che specificano in concreto quanto delineato in via generale dal Regolamento, rispetto al contributo sostanziale di un’attività economica agli obiettivi ambientali e all’assenza di danni significativi.

Rispetto al requisito sub a), l’art. 16 del Regolamento precisa che un’attività economica contribuisce in modo sostanziale a uno o più degli obiettivi ambientali enunciati all’art. 9 dello stesso Regolamento se consente direttamente ad altre attività di apportare un contributo sostanziale a uno o più di tali obiettivi, alla duplice condizione che: i) non comporti una dipendenza da attività che compromettono gli obiettivi ambientali a lungo termine, tenuto conto della vita economica di tali attività; ii) abbia un significativo impatto positivo per l’ambiente, sulla base delle considerazioni relative al ciclo di vita.

Quanto al requisito sub b), applicazione del c.d. principio del “Do Not Significant Harm”, l’art. 17 del Regolamento specifica che un’attività economica arreca un danno significativo:

  1. alla mitigazione dei cambiamenti climatici se porta a significative emissioni di gas serra;
  2. all’adattamento ai cambiamenti climatici se determina un maggiore impatto negativo del clima attuale e futuro, sull’attività stessa o sulle persone, sulla natura o sui beni;
  3. all’uso sostenibile o alla protezione delle risorse idriche e marine se è dannosa per il buono stato dei corpi idrici (superficiali, sotterranei o marini) determinandone il loro deterioramento qualitativo o la riduzione del potenziale ecologico;
  4. all’economia circolare, inclusa la prevenzione, il riutilizzo ed il riciclaggio dei rifiuti, se porta a significative inefficienze nell’utilizzo di materiali recuperati o riciclati, ad incrementi nell’uso diretto o indiretto di risorse naturali, all’incremento significativo di rifiuti, al loro incenerimento o smaltimento, causando danni ambientali significativi a lungo termine;
  5. alla prevenzione e riduzione dell’inquinamento se determina un aumento delle emissioni di inquinanti nell’aria, nell’acqua o nel suolo;
  6. alla protezione e al ripristino di biodiversità e degli ecosistemi se è dannosa per le buone condizioni e resilienza degli ecosistemi o per lo stato di conservazione degli habitat e delle specie, comprese quelle di interesse per l’Unione.

Il quadro normativo in materia di tassonomia, al cui vertice si colloca il Regolamento in esame, dovrà successivamente essere completato da una serie di atti ad esso collegati, i c.d. atti delegati, elaborati dalla Commissione Europea sulla base dei lavori forniti dal c.d. “gruppo degli esperti”, costituito nel dicembre del 2016 al fine di elaborare le specifiche linee guida per definire l’ammissibilità o meno delle singole attività economiche alla qualifica di “ecosostenibili”.

In particolare, con tali atti la Commissione dovrà anzitutto fissare, per ogni obiettivo ambientale interessato di cui all’articolo 9 del regolamento, “criteri di vaglio tecnico”, che consentano di determinare in maniera uniforme se una data attività economica arreca un danno significativo a uno o più di tali obiettivi.

Ad oggi, la Commissione europea ha adottato (con ritardo rispetto alla tempistica indicata nel Regolamento) solamente gli atti delegati che individuano i criteri di vaglio tecnico relativi ai primi due obiettivi ambientali – la mitigazione[5] dei cambiamenti climatici e l’adattamento[6] ai cambiamenti climatici: si tratta del regolamento delegato 2021/2139 della Commissione europea (c.d. Atto Clima)[7].  I lavori per l’adozione dei criteri di vaglio tecnico relativi agli altri quattro obiettivi ambientali risultano, invece, ancora in corso, anche in questo caso con un apprezzabile ritardo rispetto alla tempistica prevista dal Regolamento.

La seconda innovazione degna di nota introdotta dal Regolamento Tassonomia è contenuta nell’articolo 8, rubricato “Trasparenza delle imprese nelle dichiarazioni di carattere non finanziario”. In base a tale norma, qualsiasi impresa soggetta all’obbligo di pubblicare la c.d. dichiarazione di carattere non finanziario (di seguito “DNF”) dovrà, a partire dal 1° gennaio 2022, includere nel suddetto documento apposita informativa su come e in che misura le attività dell’impresa siano associate ad attività economiche considerate “ecosostenibili” ai sensi degli articoli 3 e 9 dello stesso regolamento.

L’ambito soggettivo attuale della DNF, la cui disciplina è stata recepita nell’ordinamento interno dal d.lgs n. 254/2016[8], include i c.d. “enti di interesse pubblico”, vale a dire i soggetti di cui all’art. 16 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39: (i) le società italiane emittenti valori mobiliari ammessi alla negoziazione su mercati regolamentati italiani e dell’Unione europea; (ii) le banche; (iii) le imprese di assicurazione e riassicurazione. Tuttavia, si segnala in proposito che gli obblighi informativi della DNF potrebbero in futuro riguardare un novero di soggetti più ampio, a seguito della revisione della direttiva sull’informativa non finanziaria, i cui lavori sono attualmente in corso. La proposta di modifica presentata dalla Commissione europea il 21 aprile 2021[9] e attualmente in discussione al Consiglio e al Parlamento europeo, prevede infatti l’estensione degli obblighi di DNF a tutte le grandi società e a tutte le società quotate sui mercati regolamentati, incluse le PMI, ad esclusione delle sole micro-entità.

Al fine di precisare il contenuto e le modalità della DNF, con specifico riferimento alle dichiarazioni prescritte dall’art. 8 del Regolamento Tassonomia, la Commissione Europea ha adottato il regolamento delegato 2021/2178[10] , che consente di tradurre in indicatori quantitativi di prestazione economica (c.d. KPI) i criteri di vaglio tecnico dei sopracitati atti delegati in relazione agli obiettivi ambientali. In particolare, l’obbligo di comunicazione della DNF ha per oggetto tre indicatori quantitativi di prestazione, costituiti da:

  1. la quota di fatturato proveniente da prodotti o servizi associati ad attività economiche ecosostenibili;
  2. la quota di spese in conto capitale relative ad attivi o processi associati ad attività economiche ecosostenibili (CapEx);
  3. la quota di spese operative relative ad attivi o processi associati ad attività economiche ecosostenibili (OpEx)[11].

_________________________________

[1] La normativa sulla Tassonomia per la finanza sostenibile è in vigore dal 13 luglio 2020, a seguito della pubblicazione il 22 giugno sulla Gazzetta Ufficiale europea del Regolamento (UE) 2020/852.

[2] Il 25 settembre 2015 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato un nuovo quadro mondiale di sviluppo sostenibile: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, («Agenda 2030»). L’Agenda 2030 è imperniata sugli obiettivi di sviluppo sostenibile («OSS») e riguarda le tre dimensioni della sostenibilità: governance economica, sociale e ambientale.

[3] L’accordo di Parigi è il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici, adottato alla conferenza di Parigi sul clima (COP21) nel dicembre 2015. L’accordo stabilisce un quadro globale per evitare pericolosi cambiamenti climatici limitando il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2ºC e proseguendo con gli sforzi per limitarlo a 1,5ºC. Inoltre, punta a rafforzare la capacità dei paesi di affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici e a sostenerli nei loro sforzi (fonte: Commissione Europea). L’accordo è entrato ufficialmente in vigore quasi un anno dopo la data di sottoscrizione, il 4 novembre 2016, in seguito all’adempimento della condizione di ratifica da parte di almeno 55 paesi che rappresentassero quanto meno il 55% delle emissioni globali di gas a effetto serra.

[4] Cfr. S. Supino Il ruolo della fiscalità nel Green Deal europeo e la Carbon Border Tax: tra nuove imposte e vecchi temi, interni (coesione tra Stati) e esterni (rispetto degli obblighi internazionali) ai confini dell’UE.

[5] L’obiettivo della mitigazione dei cambiamenti climatici, definito dall’art. 10 del Regolamento Tassonomia, si realizza nella riduzione della quantità di gas a effetto serra nell’atmosfera e il suo perseguimento prevede che l’attività economica contribuisca in modo sostanziale alla stabilizzazione delle emissioni di gas a effetto serra; tale risultato può essere raggiunto sul piano della produzione delle emissioni, evitandole o riducendole, oppure sul piano dell’assorbimento dei gas a effetto serra.

[6] L’obiettivo dell’adattamento ai cambiamenti climatici, definito invece dall’art. 11 del Regolamento Tassonomia, consiste invece nel ridurre gli effetti negativi, o i rischi di effetti negativi, del clima attuale o dei futuri cambiamenti climatici sullo svolgimento delle attività economiche, sulle persone, sulla natura e sugli attivi. I rischi climatici considerati sono quelli indicati nell’Allegato 2 all’Atto Clima e fanno riferimento a quattro macrocategorie: la temperatura, i venti, le acque, la massa solida.

[7] Pubblicato in Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europea il 9 dicembre 2021.

[8] Decreto legislativo n. 254 del 30 dicembre 2016, intitolato “Attuazione della direttiva 2014/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2014, recante modifica alla direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversita’ da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni”.

[9] Cfr. un precedente contributo su questo blog (Nuovi obblighi di rendicontazione nella proposta di direttiva UE sul reporting di sostenibilità (c.d. CSRD)).

[10] Pubblicato in Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europea il 10 dicembre 2021.

[11] Come puntualmente analizzato da Assonime nella circolare n. 1 del 19 gennaio 2022.

Ti può interessare anche: