A fronte di un dettato normativo chiaro, che delimita l’applicazione del contributo straordinario sugli extraprofitti del settore energetico alle attività svolte nel territorio dello Stato, reiterate e contrastanti interpretazioni dell’Agenzia delle Entrate rendono opportune alcune considerazioni di carattere sistematico.
L’art. 37, comma 1, d.l. 21/2022 individua, quali soggetti passivi del contributo straordinario, i “soggetti che esercitano nel territorio dello Stato” le attività del settore energetico indicate dalla stessa norma. Per la precisione, tale delimitazione territoriale dell’individuazione dei soggetti passivi (così come anche l’inciso “per la successiva vendita dei beni”) è letteralmente riferita solo alle imprese che svolgono l’attività di produzione di energia elettrica; per tutte le altre attività (produzione di gas metano, rivendita di energia elettrica, ecc.) non si fa alcun riferimento all’esercizio dell’attività nel territorio dello Stato [1]. Tuttavia, si deve ritenere che il requisito di territorialità valga per tutte le attività soggette, e che la diversa formulazione sia solo dovuta all’approssimazione della stesura della norma. E ciò per diversi motivi: perché diversamente ragionando si introdurrebbe nella disciplina del tributo un’ulteriore distonia e irragionevolezza di cui non si sente davvero il bisogno; perché la territorialità, quale limite spaziale all’applicazione del contributo in termini generali, è ribadita e completata dall’assoggettamento ad esso delle importazioni; perché in questo senso si esprimono i Dossier della Camera a commento dell’art. 37; perché, per ultimo ma non da ultimo, il contributo è un tributo di scopo, con una dichiarata (anche se non attuata) finalità redistributiva (non per caso il contributo è definito “solidaristico”) degli extraprofitti conseguiti in Italia “a danno” dei consumatori mediante le provvidenze finanziarie previste dal medesimo d.l. 21/2022 e dal successivo d.l. 55/2022.
A questo punto deve farsi un ulteriore passo nel ragionamento, per stabilire a quale accezione di “territorio dello Stato” si faccia riferimento, o per essere più precisi, a quali regole di territorialità debba farsi riferimento. È ben noto, infatti, che per ogni tipologia di tributo esistono degli specifici criteri di collegamento tra il fatto imponibile ed il territorio dello Stato che debbono essere applicati al fine di attrarre o meno a tassazione in Italia la fattispecie considerata e che dovrebbero essere esplicitati dalla norma secondo regole di corretta formulazione.
Poiché, al contrario, l’art. 37 tace sul punto, si aprono due possibilità. La prima è che si debba fare riferimento allo svolgimento materiale, ovvero naturalistico, dell’attività nel territorio dello Stato. La seconda è che si debba fare riferimento alle regole dettate ai fini IVA, regole che in alcuni casi attraggono a tassazione in Italia operazioni svolte al di fuori del territorio dello Stato e in altri casi prevedono la ricomprensione nelle LIPE (sui cui dati, come noto, si calcola il contributo dovuto) di operazioni prive del requisito di territorialità ai fini IVA.
Come è agevole rilevare, il problema se operazioni materialmente svolte all’estero ma assoggettate ad IVA italiana rilevino ai fini del contributo attiene un profilo di carattere sostanziale. E per sostenere che queste operazioni non sono rilevanti è necessario dirimere una delle fondamentali questioni attinenti il contributo extraprofitti: ovvero se il richiamo alla disciplina dell’IVA da parte dell’art. 37 sia o meno tale da “appiattire” sostanzialmente il presupposto del tributo, compreso il profilo territoriale, sulle regole dettate per quest’ultimo tributo. La mia opinione è che non sia così, e che dunque al contributo debba essere riconosciuta una sua autonomia, non foss’altro perché il suo presupposto è – dovrebbe essere – diverso da quello dell’IVA.
Per restare sul concreto – e per avere dunque modo di commentare la prassi amministrativa che si è formata sul punto – esaminiamo più approfonditamente il secondo tema: e cioè quello se operazioni (attive) che debbono essere indicate nelle LIPE ma che sono prive del requisito di territorialità ai fini IVA rilevino o meno ai fini del calcolo del contributo. È evidente che qui siamo su un piano diverso rispetto al tema sopra trattato: il punto non è quello, di carattere sostanziale, se valgano o meno le regole di territorialità IVA per la localizzazione delle operazioni ai fini del contributo, ma quello, di carattere essenzialmente formale, se le regole di redazione delle LIPE prevalgano sulle regole di territorialità IVA.
Nella circ. n. 22/E/2022 l’AdE aveva – pur affermando per il resto la non emendabilità delle LIPE – riconosciuto che le operazioni non soggette ad IVA per carenza del presupposto territoriale (artt. 7-7septies d.p.r. n. 633/1972), le quali debbono essere indicate nelle liquidazioni periodiche per meri fini statistici, vanno escluse ai fini del calcolo della base imponibile, così come accade simmetricamente per gli acquisti non territorialmente rilevanti. Qui l’operazione interpretativa – del tutto corretta, se si ragiona nell’ambito di riferimento dell’IVA – era quella di far prevalere le regole sostanziali di territorialità IVA sul dato meramente formale di esposizione dei dati nelle LIPE.
Solo pochi giorni dopo, tuttavia, l’AdE è tornata sui suoi passi, precisando nella circ. n. 25/E/2022 che in base al “principio di simmetria” le operazioni non soggette ad IVA per carenza del profilo territoriale possono essere escluse dal calcolo solo se, e nella misura in cui, gli acquisti ad esse “afferenti” siano territorialmente non rilevanti ai fini IVA e pertanto non siano computabili nelle LIPE. Ora, non è davvero agevole comprendere in cosa consista questo “principio di simmetria” che viene ad assumere una rilevanza sostanziale in piena distonia non solo con il presupposto del contributo, ma con tutta la “logica” della sua determinazione: non esiste affatto una regola per cui nelle liquidazioni IVA dei periodi rilevanti ai fini del contributo confluiscano sia gli acquisti che le vendite degli stessi prodotti. Di quale simmetria dunque si parla? Un conto è dire, come si fa nella prima circolare, che anche gli acquisti extraterritoriali (che non debbono essere indicati nelle LIPE) sono irrilevanti ai fini del contributo come argomento rafforzativo della conclusione che le operazioni attive extraterritoriali non rilevano ai fini del contributo benché siano indicate nelle LIPE. Altro è creare dal nulla un tale principio ed attribuirgli rilevanza sostanziale, attribuendo anche in tal modo una valenza sostanziale al modello di liquidazione periodica IVA che – è bene ricordarlo – aveva finora avuto una mera rilevanza informativa.
Rilevanza sostanziale del principio di simmetria che si concreta poi nella individuazione della “afferenza” (mutuando un articolato concetto dall’art. 19 d.p.r. n. 633/1972 in materia di detrazione) degli acquisti alle operazioni attive come base di costruzione della simmetria. Con ciò ignorando del tutto la circostanza per cui gli acquisti “afferenti” da un lato potrebbero non essere individuabili, e dall’altro potrebbero essere stati ricompresi in LIPE di periodi differenti rispetto a quelli rilevanti ai fini del calcolo del contributo. Ed infatti, quanto alla individuabilità di tali acquisti la circolare sembra ignorare che le stesse caratteristiche dei prodotti energetici (si pensi al gas e ai prodotti petroliferi immessi in impianti di distribuzione o in depositi) e del relativo mercato rendono spesso impossibile individuare gli acquisti “afferenti”.
Da ciò, una importante conseguenza dal punto di vista sistematico. Le norme sulla territorialità di un tributo sono di carattere sostanziale e concorrono alla delimitazione spaziale del presupposto: se la manifestazione di ricchezza ha il requisito della territorialità per essa specificamente individuato dal legislatore, è soggetta al tributo, altrimenti non è soggetta. L’assoggettamento o il non assoggettamento delle attività svolte nel settore energetico, per venire al nostro caso, dipende ai sensi dell’art. 37 cit. dal fatto che esse siano svolte in Italia[2]; e se sono svolte all’estero, il fatto che non siano soggette non costituisce un’agevolazione, ma appunto una delimitazione del presupposto che non può essere condizionata all’assolvimento da parte del contribuente di un onere della prova riguardante altri e diversi elementi, cioè appunto la extraterritorialità degli acquisti “afferenti”.
Dunque, l’interpretazione della circolare – comunque in conflitto con i principi appena esposti ma, si consenta l’espressione, “meno in conflitto” – doveva ragionevolmente essere la seguente: le operazioni extraterritoriali ricomprese nelle LIPE vanno escluse dal calcolo del contributo; tuttavia, ove gli acquisti afferenti siano territoriali, eccezionalmente, in virtù del “principio di simmetria”, debbono essere ricomprese.
Che questa potesse essere l’interpretazione della seconda circolare è stato però smentito dalla successiva risposta ad interpello n. 420/E/2022, la quale inequivocabilmente fa propria la soluzione “più in conflitto” coi principi enunciati. Questa pronuncia ribadisce che le operazioni attive extraterritoriali possono essere escluse solo se e nella misura in cui il contribuente è in grado di dimostrare l’esistenza di operazioni di acquisto “afferenti” che non sono incluse nella LIPE in quanto non territorialmente rilevanti, ma precisa che nell’impossibilità per il contribuente di dimostrare l’afferenza degli acquisti extraterritoriali, le operazioni attive extraterritoriali vanno calcolate ai fini del contributo.
Come si vede, con quest’ultima precisazione si massimizza la divergenza rispetto all’individuazione dei profili territoriali del presupposto del contributo: la ricomprensione nel calcolo delle operazioni attive extraterritoriali non è un’eccezione indotta dal fatto che gli acquisti sono territoriali (con onere della prova a carico dell’A.F.); al contrario, l’esclusione di tali operazioni è un’eccezione indotta dal fatto che gli acquisti non sono territoriali (con onere della prova a carico del contribuente). E non è davvero, in pratica e quanto agli effetti economici, una divergenza di poco conto: essa probabilmente contribuirà ad accrescere i profili di illegittimità della disciplina del contributo e della sua applicazione e la conflittualità interpretativa con l’A.F., cosa di cui davvero non si sentiva il bisogno.
_________________________________
(*) Questo articolo costituisce la rielaborazione ed ampliamento di quello pubblicato sul Sole24Ore del 13 agosto 2022.
[1] E’ utile per maggiore chiarezza riportare il testo della norma: “è istituito, per l’anno 2022, un contributo a titolo di prelievo solidaristico straordinario, determinato ai sensi del presente articolo, a carico dei soggetti che esercitano nel territorio dello Stato, per la successiva vendita dei beni, l’attività di produzione di energia elettrica, dei soggetti che esercitano l’attività di produzione di gas metano o di estrazione di gas naturale, dei soggetti rivenditori di energia elettrica, di gas metano e di gas naturale e dei soggetti che esercitano l’attività di produzione, distribuzione e commercio di prodotti petroliferi. Il contributo è dovuto, altresì, dai soggetti che, per la successiva rivendita, importano a titolo definitivo energia elettrica, gas naturale o gas metano, prodotti petroliferi o che introducono nel territorio dello Stato detti beni provenienti da altri Stati dell’Unione europea”.
[2] Questo ragionamento vale sia se si accoglie un concetto materiale di territorialità, sia se si accoglie il concetto valevole ai fini IVA.