Il principio di integrazione come vincolo della discrezionalità amministrativa in ambito paesaggistico
Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza del 23 settembre 2022, n. 8167
Con sentenza del 23 settembre 2022, n. 8167, il Consiglio di Stato si è pronunciato in tema di bilanciamento tra principio di sviluppo sostenibile e tutela del paesaggio ed ha evidenziato i limiti del controllo giurisdizionale sull’ampia discrezionalità amministrativa in ambito paesaggistico.
La sentenza in commento è stata emanata nell’ambito di una controversia sorta a seguito dell’emanazione di due Decreti della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Molise con i quali veniva dichiarato di interesse culturale il sistema delle croci votive e viarie presente lungo il crinale di confine tra due Comuni molisani.
Dalla dichiarazione di interesse culturale, tuttavia, discendeva l’apposizione di stringenti vincoli diretti e indiretti, anche nelle zone limitrofe alle croci votive, tali da limitare fortemente l’attività dell’uomo.
Per tale ragione, ricorrevano dinanzi al TAR Molise i due Comuni interessati ed una Società energetica che, poche settimane prima dell’emanazione dei Decreti de quibus, aveva ottenuto l’autorizzazione all’installazione di due impianti eolici nella zona poi interessata dai vincoli paesaggistici.
Il giudizio di primo grado si definiva con l’annullamento dei Decreti impugnati, in quanto viziati da difetto di motivazione ed istruttoria a fronte della lacunosità del giudizio emesso dall’Amministrazione in sede di dichiarazione di interesse e della mancanza di accuratezza in ordine alla ricostruzione dell’interesse socio-culturale oggetto di tutela.
Avverso la decisione di prime cure proponeva appello la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Molise sostenendo che:
(i) il TAR Molise avesse travalicato i limiti del proprio sindacato, in quanto le valutazioni sottese alle dichiarazioni di interesse culturale sarebbero connotate da discrezionalità tecnica e, come tali, insindacabili in sede giudiziaria;
(ii) i Decreti gravati fossero assistiti da adeguata e congrua motivazione.
I ricorrenti di primo grado resistevano all’appello e proponevano contestualmente appello incidentale nel quale chiedevano, inter alia, la riforma della sentenza gravata nella parte in cui aveva ritenuto infondato il motivo relativo allo sviamento di potere.
Quanto al motivo sub (i), relativo all’ampiezza del controllo giurisdizionale sulla discrezionalità di cui è titolare l’Amministrazione, il Consiglio di Stato ha evidenziato che
“A differenza delle scelte politico-amministrative (c.d. «discrezionalità amministrativa») ‒ dove il sindacato giurisdizionale è incentrato sulla ‘ragionevole’ ponderazione degli interessi, pubblici e privati, non previamente selezionati e graduati dalle norme ‒ le valutazioni dei fatti complessi richiedenti particolari competenze (c.d. «discrezionalità tecnica») vanno vagliate al lume del diverso e più severo parametro della ‘attendibilità’ tecnico-scientifica.
Quando la valutazione del fatto complesso viene preso in considerazione dalla norma attributiva del potere, non nella dimensione oggettiva di fatto ‘storico’, bensì di fatto ‘mediato’ dalla valutazione casistica e concreta delegata all’Amministrazione, il giudice non è chiamato, sempre e comunque, a ‘definire’ la fattispecie sostanziale.
Difettando parametri normativi a priori che possano fungere da premessa del ragionamento sillogistico, il giudice non ‘deduce’ ma ‘valuta’ se la decisione pubblica rientri o meno nella (ristretta) gamma delle risposte maggiormente plausibili e convincenti alla luce delle scienze rilevanti e di tutti gli altri elementi del caso concreto. È ben possibile per l’interessato ‒ oltre a far valere il rispetto delle garanzie formali e procedimentali strumentali alla tutela della propria posizione giuridica e gli indici di eccesso di potere ‒ contestare ab intrinseco il nucleo dell’apprezzamento complesso, ma in tal caso egli ha l’onere di metterne seriamente in discussione l’attendibilità tecnico-scientifica. Se questo onere non viene assolto e si fronteggiano soltanto opinioni divergenti, tutte parimenti plausibili, il giudice deve dare prevalenza alla posizione espressa dall’organo istituzionalmente investito (dalle fonti del diritto e, quindi, nelle forme democratiche) della competenza ad adottare decisione collettive, rispetto alla prospettazione individuale dell’interessato. In quest’ultimo caso, non si tratta di garantire all’Amministrazione un privilegio di insindacabilità (che sarebbe contrastante con il principio del giusto processo), ma di dare seguito, sul piano del processo, alla scelta legislativa di non disciplinare il conflitto di interessi ma di apprestare solo i modi e i procedimenti per la sua risoluzione. La dichiarazione dell’interesse culturale «accerta la sussistenza, nella cosa che ne forma oggetto» dell’«interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante», combinato disposto degli articoli 10, comma 3, lettera a), e 13 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. La nozione di bene culturale è un concetto giuridico indeterminato, per la cui definizione l’ordinamento giuridico fornisce solo generalissimi criteri: viene stabilito che bene culturale deve essere una «testimonianza» materiale «avente valore di civiltà», rivestire un «particolare» o «eccezionale» interesse culturale tale da giustificarne il vincolo ed avere una certa vetustà.”
Sulla base di tale impianto argomentativo, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello dell’Amministrazione ritenendo che l’oggetto del giudizio non può esaurirsi nel mero controllo formalistico dei richiami bibliografici, dovendosi invece verificare se il contenuto specifico dell’apparato motivazionale posto alla base della dichiarazione di vincolo sia in grado di sorreggere ‒ anche autonomamente ed in dissenso con l’opinione di altri studiosi ‒ il valore di testimonianza delle croci votive.
Quanto, invece, alle richieste formulate in sede di appello incidentale dai Comuni e dalla Società, il Supremo Consesso amministrativo ha approfondito il tema del rapporto tra gli obiettivi di transizione energetica e la tutela del paesaggio.
Sul punto, è stato evidenziato che negli ordinamenti democratici e pluralisti si richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi; la loro tutela deve essere «sistemica» e perseguita in un rapporto di integrazione reciproca.
Il punto di equilibrio tra valori contrapposti è necessariamente mobile e dinamico e deve essere ricercato – dal legislatore nella statuizione delle norme, dall’Amministrazione in sede procedimentale, e dal giudice in sede di controllo – secondo principi di proporzionalità e di ragionevolezza.
Il Consiglio di Stato, in virtù di quanto finora detto, ha rilevato, nella vicenda in esame, la violazione dei predetti principi, evidenziando che l’interesse pubblico alla tutela del patrimonio culturale non ha, nel caso concreto, il peso e l’urgenza per sacrificare interamente l’interesse ambientale, a carattere indifferibile, della transizione ecologica, la quale comporta la trasformazione del sistema produttivo in un modello più sostenibile che renda meno dannosi per l’ambiente la produzione di energia, la produzione industriale e, in generale, lo stile di vita delle persone.
A parere dei giudici, inoltre, la posizione ‘totalizzante’ dell’Amministrazione non solo si pone in contrasto con l’indirizzo politico europeo (Direttiva CEE n. 2001/77) e nazionale (D.lgs. 29 dicembre 2003 n. 387), ma anche con il principio di integrazione delle tutele ‒ riconosciuto, sia a livello europeo (art. 11 del TFUE) che nazionale (art. 3-quater del D.lgs. n. 152 del 2006) ‒ in virtù del quale le esigenze di tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle altre pertinenti politiche pubbliche, in particolare al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile.
“Se il principio di proporzionalità rappresenta il criterio alla stregua del quale mediare e comporre il potenziale conflitto tra i due valori costituzionali all’interno di un quadro argomentativo razionale, il principio di integrazione costituisce la direttiva di metodo. La piena integrazione tra le varie discipline incidenti sull’uso del territorio, richiede di abbandonare il modello delle «tutele parallele» degli interessi differenziati, che radicalizzano il conflitto tra i diversi soggetti chiamati ad intervenire nei processi decisionali.”
Il Consiglio di Stato, quindi, ha accolto anche il ricorso incidentale presentato dai Comuni e dalla Società, ordinando all’Amministrazione, in sede di riedizione del potere, di adottare una soluzione comparativa e dialettica fra le esigenze dello sviluppo sostenibile e quelle afferenti al paesaggio culturale.