Nell’ambito della lotta al cambiamento climatico, una delle sfide più importanti a livello europeo riguarda il patrimonio edilizio esistente e la necessità di una riqualificazione ampia e diffusa che consenta di ridurre al minimo i consumi degli edifici, ad oggi in gran parte obsoleti e poco efficienti dal punto di vista energetico.
Uno studio commissionato nel 2019 dalla Commissione Europea ha stimato un tasso di ristrutturazione globale, inteso come la riduzione annuale dei consumi di energia primaria del parco edilizio nei 28 Stati Membri, pari all’1%: un valore troppo basso per far fronte agli obiettivi sempre più ambiziosi nella lotta al cambiamento climatico. A tal proposito, negli ultimi anni l’Europa ha dato grande impulso ad iniziative volte a perseguire gli obiettivi di un’economia competitiva ed efficiente dal punto di vista delle risorse, puntando alla totale decarbonizzazione del parco edilizio entro il 2050, sostenuta dalle Strategie di Ristrutturazione a Lungo termine che gli Stati Membri hanno elaborato nel quadro del recepimento della direttiva 2018/844/UE sulle prestazioni energetiche degli edifici (EPBD III).
Per affrontare la duplice sfida della ripresa post-pandemia e del cambiamento climatico, nel 2020 la Commissione Europea ha lanciato il Green Deal, nel cui ambito è stata coniata una politica economica di scopo, denominata Renovation Wave for Europe, che punta alla riqualificazione degli edifici e, al tempo stesso, a ridurne significativamente i costi energetici. Il tutto si affianca all’obiettivo di monitorare e ridurre le emissioni e favorire l’instaurarsi di un’economia circolare durante l’intero ciclo di vita degli edifici.
Il 15 dicembre 2021 la Commissione europea ha proposto la revisione della direttiva Ue sul rendimento energetico nell’edilizia (EPBD) per riuscire a centrare gli obiettivi del pacchetto “Fit for 55”, che punta alla riduzione in Europa della CO₂ del 55% entro il 2030, rispetto ai dati del 1990.
Ad oggi il Consiglio Europeo ha proposto alcune modifiche alla direttiva, il cui iter di approvazione è complesso e terminerà probabilmente alla fine del primo trimestre 2023. Bruxelles non ha fornito indicazioni su come sanzionare gli Stati che non raggiungeranno gli obiettivi, ma ha lasciato a ciascuno di essi la libertà di trovare i migliori incentivi per stimolare le ristrutturazioni
Ebbene, gli edifici nell’Unione assorbono il 40% del consumo di energia finale e producono il 36% delle emissioni di gas a effetto serra legate all’energia: questi dati indicano dunque che, investire nell’efficientamento energetico del parco immobiliare europeo, significa ridurre enormemente l’impatto sul clima ed in generale, le spese energetiche a livello individuale, di singolo Paese e in aggregato UE.
La ristrutturazione degli edifici ha due impatti economici positivi ampiamente riconosciuti: 1. ridurre i costi energetici, alleviare la povertà energetica e 2. aumentare il valore degli edifici più efficienti dal punto di vista energetico. Altri vantaggi includono una migliore qualità della vita e periodi medi di sfitto più brevi.
Va anche osservato che i vantaggi di bollette energetiche più basse sono ancora più rilevanti in un contesto di prezzi elevati dell’energia, come quello attuale. Le persone che vivono in edifici con peggiori prestazioni e quelle che affrontano la povertà energetica trarrebbero beneficio da edifici ristrutturati e migliori e da costi energetici ridotti, e sarebbero salvaguardate da ulteriori aumenti dei prezzi di mercato e volatilità.
La direttiva europea per l’efficientamento energetico degli edifici, dopo le modifiche apportate dal Consiglio nell’ottobre 2022 qui in esame, dovrebbe ricevere il primo via libera il 24 gennaio e la pubblicazione entro metà marzo. entro il 2030 tutte le case e gli appartamenti europei dovranno raggiungere la classe energetica E (con un consumo di circa 91-120 chilowattora al metro quadro) per poi avanzare entro il 2033 alla classe D (71-90 kWh per mq) con un taglio di circa il 25% dei consumi. Sono queste le prossime due tappe previste, ma si vedano meglio in dettaglio le nuove misure.
In sintesi, la modifica della direttiva delinea in modo chiaro i nuovi obiettivi, distinguendoli tra nuove costruzioni e fabbricati esistenti. Per le prime, si prevede che gli immobili costruiti di proprietà pubblica debbano essere certificati ad emissioni zero dal 2028 in avanti, mentre per quelli privati, detto requisito scatterà solo nel 2030. Da questa data in ogni caso, tutti gli edifici nuovi dovranno essere dotati di attestati di prestazione energetica.
Per gli edifici esistenti, invece, occorre distinguere tra non residenziali e residenziali. I primi saranno soggetti ad un veloce adeguamento energetico, posto che la direttiva prevede che gli Stati membri fissino norme minime di prestazione energetica, ovvero di quantità di energia massima che gli edifici possono utilizzare per m2 all’anno. In particolare, gli Stati membri hanno convenuto di fissare soglie [1] massime di prestazione energetica, basate sul consumo di energia primaria degli edifici non residenziali. La prima soglia fisserebbe una linea al di sotto del consumo di energia primaria del 15% degli edifici che presentano le prestazioni peggiori in uno Stato membro. La seconda soglia verrebbe fissata al di sotto del 25%. Gli Stati membri hanno poi convenuto di portare tutti gli edifici non residenziali al di sotto della soglia del 15% entro il 2030 e al di sotto della soglia del 25% entro il 2034.
Per gli edifici residenziali invece, è previsto il raggiungimento della classe energetica D entro il 2033[2], a crescere fino all’obiettivo che prevede tutti gli edifici ad emissioni zero entro il 2050[3]. Ciò significa che la domanda di energia primaria negli edifici dovrà essere molto ridotta e coperta esclusivamente da fonti rinnovabili. Tale obiettivo prevede specifiche deroghe per gli edifici storici, il luoghi di culto e gli edifici religiosi, edifici delle forze armate, siti industriali ed officine, o edifici indipendenti con superficie inferiore a 50 m2.
Gli Stati membri hanno peraltro convenuto di aggiungere agli attestati di prestazione energetica, che diverranno obbligatori, una nuova categoria “A0” che corrisponde agli edifici a emissioni zero. Inoltre, gli Stati membri potranno aggiungere una nuova categoria “A+” corrispondente agli edifici che, oltre a essere edifici a emissioni zero, offrono un contributo alla rete energetica da rinnovabili in loco. Si noti che già l’attestato di prestazione energetica per gli edifici, precedentemente stabilito dalla direttiva, classificava gli edifici su una scala da A (con le migliori prestazioni) a G (con le prestazioni peggiori) in base alla loro prestazione energetica.
Gli obiettivi in direttiva sulla transizione energetica, che come noto significa ridurre le emissione trasformando l’utilizzo di energie fossili in energie green e rinnovabili, sono realizzati tramite l’obbligo di istallazione di impianti solari su tutti edifici pubblici e non residenziali nuovi entro il 2027, su tutti gli edifici pubblici e non residenziali ristrutturati entro il 2028 e su tutti i nuovi edifici residenziali entro il 2030. E poi ancora, sono previsti forti investimenti dei Paesi membri per implementare le infrastrutture esistenti per biciclette e veicoli elettrici.
Traendo prime conclusioni, si chiede dunque agli Stati membri (ed indirettamente ai cittadini) di intervenire con interventi di ristrutturazione in meno di 10 anni sul parco immobiliare esistente; si chiede quindi di investire o, meglio, di continuare ad investire nella riqualificazione e nell’efficientamento energetico in modo duraturo ed importante. Nel breve periodo, dovrà decidersi come e con quali mezzi attuare gli sfidanti obiettivi descritti. Su questo punto, l’Italia è comunque in anticipo rispetto agli altri Stati membri, grazie all’attuazione del Superbonus che ha visto il nostro Paese farsi promotore del cambiamento; occorre considerare tuttavia lo svantaggio del nostro Paese, dovuto proprio al generale stato di decozione del parco immobiliare e alla sua generalizzata vetustà.
Vanno dunque delineate con certezza e celerità le nuove risorse per affrontare le nuove sfide che l’Europa ci pone e le modalità di fruizione degli incentivi che lo Stato intenderà offrire, in un patto di collaborazione con i cittadini che abbia regole e confini chiari.
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[1] Le soglie sarebbero stabilite sulla base del consumo energetico del parco immobiliare nazionale al 1º gennaio 2020 e possono essere differenziate a seconda delle diverse categorie di edifici.
[2] In base alle ultime modifiche proposte dal Consiglio Europeo, si prevede più in dettaglio che, entro il 2030, tutti gli immobili residenziali debbano essere in classe energetica E (in genere, appartengono a detta classe la maggior parte degli edifici costruiti in Italia tra gli anni 80-90). Si pensi però che circa il 60% degli edifici in Italia si colloca oggi tra la classe F e G. Entro il 2033 la direttiva impone come visto sopra il passaggio obbligato alla classe D. Un salto non scontato. Per passare alla classe superiore alle E è necessario ridurre i consumi energetici di circa il 25% e per farlo servono interventi mirati tra cui: cappotto termico interno o esterno, sostituzione degli infissi, nuova caldaia a condensazione.
[3] L’art. 2 della proposta di modifica introduce la definizione di “edificio a emissioni zero”: un edificio con un rendimento energetico molto elevato in linea con il principio dell’efficienza energetica al primo posto e in cui la quantità molto bassa di energia ancora richiesta è interamente coperta da energia da fonti rinnovabili a livello di edificio o distretto o comunità, ove tecnicamente fattibile (in particolare, quelli generati in loco, da una comunità di energia rinnovabile o da energia rinnovabile o calore di scarto da un sistema di teleriscaldamento e tele-raffreddamento).