Servizio energia: l’agenzia delle entrate conferma la spettanza al fornitore dei crediti d’imposta non energivori/gasivori ma equivoca sulla (ir)rilevanza dei criteri di determinazione del corrispettivo
Agenzia delle Entrate - Risposta ad interpello n. 597 del 28 dicembre 2022
1. Con la risposta ad interpello n. 597 pubblicata il 28 dicembre 2022, l’Agenzia delle Entrate ha confermato le soluzioni ipotizzate nel nostro precedente intervento su “La fruizione dei crediti d’imposta non-energivori e non-gasivori per le imprese prestatrici del servizio energia” circa la spettanza del credito d’imposta riconosciuto alle imprese non energivore/gasivore dagli artt. 3 e 4 del d.l. n. 21 del 2022 e ss.mm. ai soggetti che “forniscono” elettricità e gas nel quadro del complesso e unitario Servizio Energia.
In detta sede l’Agenzia, ancorché in risposta ad un quesito posto dal prestatore del Servizio Energia ad un’azienda sanitaria avente ad oggetto – come si dirà – la mera quantificazione del credito spettante, ha confermato le conclusioni già raggiunte in alcuni precedenti di prassi avallando la natura del Servizio in commento quale “servizio complessivo” che include
“una pluralità di rilevanti servizi che vanno dalla ‘completa conduzione e manutenzione di tutti gli impianti elettrici’, alla ‘erogazione di beni e servizi necessari a mantenere le condizioni di comfort nell’edificio’, fino al miglioramento del processo di utilizzo dell’energia, nell’ambito dei quali è inclusa anche la componente del vettore energetico”.
Di conseguenza,
“tenuto conto che la norma che disciplina i crediti d’imposta in esame non prevede alcuna specifica limitazione in relazione alle attività esercitate dall’impresa che acquisti l’energia elettrica o il gas e li impieghi nel proprio processo produttivo” l’Agenzia ha ritenuto “che al ricorrere degli altri presupposti oggettivi richiesti dalla legge, ALFA S.p.A. possa usufruire in modo pieno ed integrale nel limite della spesa sostenuta ammissibile al beneficio dei crediti di imposta per le imprese non energivore e non gasivore di cui si discute”.
Nell’esecuzione del Servizio Energia ([1]) l’impresa è in effetti tenuta ad occuparsi della gestione e manutenzione degli impianti di produzione e distribuzione dell’energia termica e ad effettuare una serie di prestazioni coessenziali alla corretta erogazione del Servizio energia quali l’acquisto del gas naturale e dell’energia elettrica necessaria per la gestione dei predetti impianti. In tale contesto, l’acquisto dell’energia elettrica o del gas assolve ad una funzione strumentale all’erogazione di un servizio complesso in cui l’obbligo assunto dal fornitore del servizio nei confronti dei committenti/stazioni appaltanti non è quello di eseguire “prestazioni periodiche o continuative di cose” (art. 1559 c.c.) bensì un facere diretto al raggiungimento degli obbiettivi (i.e. standard qualitativi) contrattualmente richiesti. L’acquisto dei vettori energetici è, in altre parole, strettamente funzionale all’erogazione del (diverso) servizio finale richiesto dal committente.
Quanto sopra permette di ravvisare la causa del contratto Servizio Energia, intesa quale “interesse o scopo pratico anche tacitamente obiettivato che l’operazione contrattuale è specificamente diretta a soddisfare” ([2]), nell’erogazione/ricezione di un servizio complesso e non già nella mera somministrazione del gas/elettricità ad esso strumentale.
Ne consegue che il gas naturale (non utilizzato per “usi termoelettrici”) oggetto delle forniture ricomprese nel Servizio energia sembra ragionevolmente potersi ritenere “effettivamente utilizzat[o]” dall’impresa e, parimenti, il relativo costo “effettivamente sostenut[o]” con conseguente agevolabilità della spesa sostenuta per lo svolgimento del Servizio energia, nei termini e nella misura di cui alla normativa istitutiva delle agevolazioni in questione.
2. Fermo quanto sopra, nella risposta in commento l’Agenzia è stata tuttavia portata dall’istante a pronunciarsi principalmente sull’asserita influenza delle modalità di determinazione del corrispettivo del Servizio energia sulla spettanza dei crediti d’imposta in esame. Come anticipato, l’impresa istante si è, infatti, rivolta all’Agenzia per sapere se
“possa beneficiare dell’agevolazione in forma piena e integrale ovvero se nel calcolo dell’agevolazione debba essere espunta la parte di costo [del gas] che, tramite la rivalutazione del canone, viene [analiticamente] ribaltata in capo al cliente finale” ([3]).
In risposta al quesito, l’Agenzia ha dapprima correttamente riconosciuto che, nel caso sottopostole:
“la rivalutazione dei canoni dovuti alla società istante per i servizi resi e il conseguente addebito di un maggior costo al cliente finale sono legati ad un processo di indicizzazione estraneo al meccanismo di calcolo dell’agevolazione delineato dal legislatore. Trattasi, più precisamente, di un processo ”fisiologico” adottato da ogni impresa nel momento in cui, dovendo determinare il prezzo del prodotto finito, occorre tenere conto di tutti i fattori della produzione (costi diretti ed indiretti) tra cui anche la componente del costo energetico”
e che
“benché la determinazione del corrispettivo dovuto dall’utente finale possa essere in qualche modo ancorata alla variazione del prezzo della materia prima energia, questo meccanismo non può essere assimilato ad un vero e proprio ribaltamento del costo dell’energia con effetti in termini di riduzione della spesa effettivamente sostenuta da ALFA.
Successivamente, tuttavia, l’Amministrazione ha sentito il bisogno di precisare che
“resta fermo che in presenza di meccanismi di determinazione del corrispettivo che dovessero comportare nei confronti del cliente finale un analitico riaddebito del costo (aumentato) del prezzo della materia prima, alle imprese non potrebbe essere riconosciuto in misura corrispondente il credito d’imposta”.
Il ragionamento dell’Agenzia, veicolato da una questione che appare mal posta dal contribuente istante, non è condivisibile proprio alla luce di quelle premesse sulla causalità del contratto che la stessa risposta ad interpello avalla.
È ben noto che le modalità di determinazione del corrispettivo possono concorrere a individuare la causa di un contratto ma ciò solo ove “ci si trova di fronte a tipi per i quali la natura di esso è fissata rigidamente: così, la natura del corrispettivo è tratto distintivo fra la vendita e la permuta. … Una particolare modalità di pagamento del prezzo può postulare un’apposita disciplina per il contratto, e quindi individuare un tipo”[4]. Nel caso degli appalti aventi ad oggetto il Servizio Energia, il corrispettivo è determinato in coerenza con la natura del servizio prestato: sovente, per una quota, con riferimento alla fornitura coessenziale all’erogazione del servizio e, per altra, con riferimento ad un canone prestabilito (parametrata di norma sul risparmio energetico ottenuto). In altri termini, il riferimento al consumo dei vettori energetici per la determinazione di una quota del complessivo prezzo dell’appalto, lungi dall’essere diretto a remunerare una specifica fornitura, rappresenta solo una delle modalità che le parti, in assenza di rigidi limiti, ben possono adottare per definire il corrispettivo del servizio complesso prestato senza che ciò sottenda l’autonomia causale delle forniture in questione. E ciò anche ove tale quota di corrispettivo fosse quantitativamente prevalente rispetto alle altre componenti del prezzo. Come stabilito, infatti, dal Consiglio di Stato (sent. n. 2194 del 30 aprile 2015) con riferimento al Servizio luce, quest’ultimo (come peraltro il Servizio Energia) “integra una prestazione nel suo insieme ontologicamente diversa (e assai più complessa) rispetto a quella di mera fornitura di energia elettrica” e ciò ancorché “nell’economia del relativo contratto il costo di quest’ultima rivestirebbe valore preponderante sulle altre voci componenti il canone contrattuale”.
D’altronde, se è pacifico (com’è anche nella prassi dell’Agenzia delle Entrate[5]) che il contratto di Servizio Energia ha una causa autonoma, ben diversa dalla vendita/somministrazione di energia, è illogico operare distinzioni ai fini dell’agevolazione in questione fondate unicamente sui criteri di calcolo del corrispettivo; criteri che di per sé non sono idonei a modificare la natura del contratto. Ed infatti, se il “prezzo” del Servizio Energia (ricavo) è, secondo “un processo ”fisiologico” adottato da ogni impresa”, determinato in funzione dei fattori della produzione (costo), l’analiticità o non analiticità del ribaltamento appare ininfluente. Ciò che viene pagato dal cliente finale non è mai, in altre parole, il costo dell’energia necessaria a produrre il (differente) bene/servizio finale, ma sempre il prezzo di tale bene/servizio e ciò indipendentemente dal fatto che quest’ultimo sia sufficiente – lato impresa – a “coprire” il costo dei fattori della produzione ([6]).
In altri termini, come confermato dall’Agenzia nella risposta in commento, l’agevolazione in esame spetta a tutte le imprese che “acquist[ano] l’energia elettrica o il gas e li impieg[ano] nel proprio processo produttivo” e, dunque, sia alle imprese che riescono a remunerare adeguatamente i costi con i ricavi sia a quelle che non vi riescono, non certo solo a queste ultime. In tale contesto, il riferimento al consumo dei vettori energetici per la determinazione di una quota del complessivo prezzo dell’appalto, lungi dall’essere diretto a remunerare una specifica fornitura, può rappresentare solo una delle modalità che le parti, in assenza di rigidi limiti, ben possono adottare per definire il corrispettivo del servizio complesso prestato, senza che ciò sottenda l’autonomia causale delle “forniture” in questione. Anche nel caso di ipotetici “ribaltamenti analitici”, d’altronde, non sussisterebbe alcun rischio di duplicazione del contributo pubblico/credito d’imposta non essendo il committente beneficiario di alcuna somministrazione di gas o energia elettrica.
L’unico elemento idoneo a costituire un discrimine rilevante ai fini del riconoscimento dei crediti d’imposta in questione è, in definitiva, la causa di vendita/somministrazione ovvero di altra natura del contratto concluso tra le parti.
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[1] Il Servizio Energia, disciplinato dall’art. 1, co. 1, lett. p), del d.P.R. n. 412/1993 e s.m.i. e dall’allegato II al d.lgs. n. 115 del 2008, consiste nell’“erogazione dei beni e dei servizi necessari a mantenere le condizioni di comfort negli edifici nel rispetto delle leggi vigenti in materia di uso razionale dell’energia, di sicurezza e di salvaguardia dell’ambiente, … al fine di ottimizzare il processo di trasformazione ed utilizzo dell’energia, l’esercizio e la manutenzione degli impianti”.
[2] Cass. civ. sent. 13 novembre 2018 n. 29016.
[3] La remunerazione del Servizio energia nel caso di specie avviene mediante il pagamento di canoni periodici, assoggettati ad uno specifico e complesso meccanismo di rivalutazione che tiene conto non soltanto delle fluttuazioni del costo della componente energetica ma anche di altri parametri avulsi dal settore energetico, come, ad esempio, il costo della manodopera.
[4] G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, Napoli, p. 89. Conf. R. BOCCHINI – A.M. GAMBINO, I contratti di somministrazione e distribuzione, in Trattato dei contratti, diretto da P. RESCIGNO – E. GABRIELLI, Tomo 17, Milano, 2011, p. 212.
[5] Cfr. il citato contributo qui pubblicato il 19 dicembre 2022 “La fruizione dei crediti d’imposta non-energivori e non-gasivori per le imprese prestatrici del servizio energia”.
[6] Ciò a differenza dei meri intermediari nella somministrazione, che, come tali, riaddebitano analiticamente il costo ai terzi effettivamente riforniti e che sono esclusi dall’agevolazione in questione. E ciò nel presupposto che, appunto, l’“intermediazione”, per sua natura, non altera la causa del contratto di somministrazione, che mantiene il suo oggetto in una prestazione di dare e non, dunque, in un servizio/facere.