La Corte di Giustizia UE “salva” l’esenzione automatica da accisa per i prodotti destinati alle imprese energivore
Con la sentenza resa nella causa C-139/2020 del 31 marzo 2022, la CGUE ha respinto il ricorso presentato dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica di Polonia
La normativa nazionale con cui il Governo della Repubblica di Polonia ha esentato dall’onere fiscale delle accise i prodotti energetici (i.e., carbone e gas) utilizzati dalle imprese a forte consumo di energia che rientrano nel sistema per lo scambio di quote di emissioni dell’Unione non viola il diritto comunitario: queste le conclusioni raggiunte all’esito della causa C-139/2020 (sentenza del 31 marzo 2022). Secondo la CGUE, l’automatismo (e l’obbligatorietà) di tale meccanismo di esenzione – contestato dalla Commissione Europea – risulta compatibile con la previsione di cui all’articolo 17, par. 1, lett. b) e par. 4 della Direttiva n. 2003/96/Ce, che – come è noto – consente agli Stati membri di applicare sgravi fiscali sul consumo di prodotti energetici utilizzati per finalità di riscaldamento (nonché per il funzionamento di motori fissi ovvero impianti e macchinari impiegati nell’edilizia, nelle opere di ingegneria civile e nei lavori pubblici) a condizione che “[…]i livelli minimi di tassazione” previsti dalla stessa Direttiva “[…]siano rispettati per ciascuna impresa”. In particolare, la predetta lettera b) dell’art. 17 autorizza detti sgravi qualora gli Stati membri abbiano concluso accordi con imprese – ovvero associazioni di imprese – volti a conseguire obiettivi di protezione ambientale oppure a migliorare l’efficienza energetica, nonché laddove siano stati attuati regimi concernenti diritti commercializzabili o misure equivalenti aventi la medesima finalità.
Diversamente, la Commissione europea riteneva che le imprese energivore operanti in Polonia non potessero beneficiare del descritto regime di esenzione per il solo fatto di rientrare nel sistema per lo scambio di quote di emissioni dell’Unione previsto dalla direttiva 2003/87; ad avviso della Commissione, difatti, l’esenzione in discorso avrebbe dovuto essere concessa unicamente a condizione che le imprese beneficiarie avessero attuato in concreto meccanismi idonei a conseguire obiettivi di protezione ambientale o di efficienza energetica ulteriori rispetto a quanto ottenibile in virtù dello scambio di quote. Inoltre, la Commissione sosteneva che la nozione di «regimi concernenti diritti commercializzabili» potesse includere unicamente meccanismi adottati su base volontaria e giammai regimi obbligatori.
La Corte di Giustizia UE, come anticipato, ha invece respinto l’impostazione propugnata dalla Commissione. A tale riguardo, i giudici unionali hanno in primis ricordato come il citato articolo 17, paragrafo 2, della Direttiva n. 2003/96 consenta agli Stati membri di annullare financo integralmente la tassazione dei prodotti energetici utilizzati dalle cd. imprese energivore, a patto che l’adozione degli accordi previsti dall’art. 17, par. 1., lett. b) conduca ad una maggiore efficienza energetica in misura globalmente equivalente al risultato che si sarebbe ottenuto in caso di osservanza delle normali aliquote vigenti nell’Unione. Ciò preliminarmente posto, la CGUE ha escluso che la natura obbligatoria del sistema di scambio di quote possa ostare ad una riconduzione del medesimo entro la nozione di «regimi concernenti diritti commercializzabili». Infine, la Corte ha rilevato come la Commissione UE non avesse in alcun modo dimostrato che gli incentivi ambientali derivanti dal sistema delle quote non fossero pressoché equivalenti al risultato che si sarebbe ottenuto in caso di applicazione dei livelli minimi di tassazione previsti all’allegato I della citata Direttiva.
Ne è così conseguito il rigetto del ricorso della Commissione UE.