20/02/2023

Nel caso in cui prodotti sottoposti ad accisa già immessi in consumo in uno Stato membro siano detenuti, per scopi commerciali,  in un altro Stato membro per esservi forniti o utilizzati, l’accisa diviene esigibile in tale altro Stato membro. E, ai sensi del par. 3 dell’art. 33, della direttiva n. 2008/118/CE, è debitore dell’accisa «la persona che effettua la fornitura o che detiene i prodotti destinati ad essere forniti o alla quale i prodotti sono forniti nell’altro Stato membro». La direttiva non definisce la nozione di persona che «detiene» i prodotti sottoposti ad accisa: a tale esigenza di chiarezza cerca di porre rimedio la giurisprudenza.

Giova in particolare segnalare che la Corte di appello dell’Inghilterra e del Galles ha proposto una questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE in relazione al predetto art. 33, par. 3, chiedendo se esso può essere interpretato nel senso nel senso che una persona che trasporta, per conto di terzi, prodotti sottoposti ad accisa in un altro Stato membro e che è in possesso materiale di tali prodotti nel momento in cui le relative accise sono divenute esigibili, è debitrice di tali accise, ai sensi di tale disposizione, anche se non ha alcun diritto o interesse su detti prodotti e non è a conoscenza del fatto che questi ultimi siano sottoposti ad accisa o, essendolo, non è consapevole che le relative accise siano divenute esigibili. Tale quesito traeva origine dal caso di un lavoratore autonomo, camionista, che aveva portato in Inghilterra un carico di birra, accompagnato da una lettera di vettura accompagnata da un documento amministrativo elettronico, attestanti la spedizione da un deposito fiscale in Germania, ad un deposito fiscale nel Regno Unito. Tale documentazione recava un codice di  riferimento ex art. 21, dir. 2008/118, che tuttavia era già stato utilizzato in un’altra precedente spedizione di birra: l’Amministrazione fiscale inglese, quindi, ha ritenuto che i prodotti di cui trattasi non circolassero in regime di sospensione dall’accisa e, di conseguenza, che il relativo tributo fosse divenuto esigibile al loro arrivo nel Regno Unito. Per l’effetto, il camionista era stato accertato quale detentore del prodotto alcolico, sebbene questi – non avendo accesso al sistema di informatizzazione dei movimenti e dei controlli dei prodotti sottoposti ad accisa – non avrebbe potuto verificare se il codice contenuto nella lettera di vettura fosse già stato utilizzato. Inoltre, egli non era proprietario del camion e non aveva alcun diritto o interesse proprio sui prodotti alcolici in questione: il suo unico scopo era quello di raccogliere e consegnare i pallet di birra secondo le istruzioni ricevute, in cambio di un compenso. L’Amministrazione, invece, non aveva proceduto a identificare e accertare il proprietario del camion e le persone che avevano organizzato il tentativo di contrabbando.

Nel primo grado di giudizio, il giudice inglese ha annullato l’accertamento, in base alla legge e alla giurisprudenza nazionale, perché il detentore era risultato un “agente incolpevole”. Successivamente, la Corte d’appello ha però ritenuto di dover sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale interpretativa dell’art. 33, par. 3. La sentenza CGUE C-279/19 del 10 giugno 2021 ha quindi stabilito che esso

“deve essere interpretato nel senso che una persona che trasporta, per conto di terzi, prodotti sottoposti ad accisa in un altro Stato membro e che è in possesso materiale di tali prodotti nel momento in cui le relative accise sono divenute esigibili, è debitrice di tali accise, ai sensi di tale disposizione, anche se non ha alcun diritto o interesse su detti prodotti e non è a conoscenza del fatto che questi ultimi siano sottoposti ad accisa o, essendolo, non è consapevole che le relative accise siano divenute esigibili”.

Una siffatta interpretazione di carattere restrittivo della nozione di immissione in consumo e di detenzione è giustificata sia da elementi sistematici, sia  teleologici. La sentenza in commento, infatti, nota che nella direttiva 2008/118 il legislatore dell’Unione – quando ha voluto che un elemento intenzionale fosse preso in considerazione per determinare la persona debitrice dell’accisa – vi ha previsto una disposizione espressa in tal senso (cfr. art. 8, par. 1, lett.  a), ii), della medesima direttiva 2008/118). Inoltre, un’interpretazione che limiti la qualità di debitore delle accise a titolo di «persona che detiene i prodotti destinati ad essere forniti», ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 3, della direttiva 2008/118, alle sole persone che sono consapevoli o avrebbero dovuto ragionevolmente essere consapevoli dell’esigibilità delle accise non sarebbe conforme agli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2008/118, tra i quali figura la lotta contro le frodi, l’evasione fiscale e gli eventuali abusi. Essa – spiega la CGUE –  avrebbe il difetto di rendere difficile la riscossione del tributo presso la persona con la quale le autorità nazionali competenti sono direttamente in contatto e che, in molte situazioni, è l’unica dalla quale tali autorità possono, in pratica, esigere il pagamento di dette accise. D’altra parte, la direttiva non osta a che chi abbia pagato l’accisa divenuta esigibile,  proponga, in base alla legge nazionale,  un’azione di regresso contro un altro debitore del tributo.

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