Attraverso la sentenza n. 31303 del 24 ottobre 2022 la Corte di Cassazione ha ribadito che non possono essere irrogate le sanzioni nei confronti di quel contribuente che abbia omesso di versare l’ICI in relazione ad un complesso produttivo immobiliare appartenente alla categoria catastale D adibito a centrale elettrica, in quanto le condizioni di obiettiva incertezza normativa di cui all’art. 6 comma 2 d.lgs. n. 472/97, che fino anno 2012 hanno interessato l’ambito di applicazione degli artt. 5 e 11 d.lgs. n. 504/92, sono idonee ad escludere qualsiasi condotta colpevole.
Il principio espresso non è nuovo nell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, in quanto la pronuncia menzionata si pone in piena continuità con altri precedenti già intervenuti sullo stesso tema, afferente la corretta individuazione delle componenti immobiliari rilevanti ai fini catastali per determinare la rendita delle centrali elettriche censite nella predetta categoria.
Per comprendere meglio il contesto normativo dal quale la sentenza qui in commento muove le premesse, appare opportuno descrivere brevemente la fattispecie sottoposta all’attenzione della Suprema Corte.
La vicenda trae origine dagli avvisi di accertamento per omesso versamento ICI 2006 e 2007 emessi da un Comune nei confronti di una Società in relazione ad un complesso produttivo immobiliare appartenente alla categoria catastale D adibito a centrale elettrica e privo di rendita fino al 2011, data in cui ne veniva effettuato per la prima volta l’accatastamento da parte della contribuente all’esito dell’interlocuzione condotta con il Servizio Catasto della Provincia Autonoma di Trento.
La tardività con cui l’immobile in questione veniva iscritto in catasto era giustificata dall’incertezza interpretativa che dal 2005 al 2012 ha caratterizzato le regole di determinazione della base imponibile ai fini ICI delle centrali elettriche, immobili a destinazione speciale.
Più in generale, si poneva il dubbio se le turbine e gli altri impianti facenti parte dei complessi produttivi come quello in esame dovessero essere presi o meno in considerazione in qualità di componenti immobiliari oggetto di stima catastale, con i correlati e conseguenti profili tributari ai fini del calcolo dell’imposta dovuta. Non c’era sufficiente chiarezza, infatti, sulla corretta delimitazione della latitudine ascrivibile alla nozione di “fabbricato” assoggettabile ad ICI e sulla legittima inclusione in tale nozione dei macchinari per la produzione dell’energia elettrica.
La Società destinataria dell’accertamento prestava acquiescenza alla richiesta impositiva avanzata dal Comune per gli anni contestati, procedendo, quindi, al versamento dell’ICI e dei relativi interessi. Le stesse considerazioni, diversamente, non valevano per le sanzioni irrogate, le quali venivano impugnate dalla contribuente in sede giudiziale poichè ritenute ingiustificate alla luce delle residue incertezze normative sopra descritte.
La questione sottoposta al vaglio della Corte rappresenta innanzitutto per il Supremo Collegio l’occasione per ribadire quali siano i cosiddetti “fatti indice” che spetta solo ed esclusivamente al giudice accertare per valutare se si sia o meno in presenza dell’incertezza normativa oggettiva di cui all’art. 6, comma 2, del D.Lgs. 472/1997 – idonea, come tale, ad escludere l’applicazione delle sanzioni amministrative – da intendersi per costante giurisprudenza come (cfr. Cass. n. 13076 del 24 giugno 2015; Cass. n. 4394 del 24 febbraio 2014; Cass. n. 3113 del 12 febbraio 2014 e Cass. n. 24670 del 28 novembre 2007) .
“la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sé ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie”.
Attesa la radicale differenza tra quest’ultimo fenomeno e la semplice “soggettiva ignoranza incolpevole del diritto”, viene ripetuto come tali elementi contraddistintivi dell’obiettiva incertezza normativa debbano essere
“accertati, esaminati ed inseriti in procedimenti interpretativi della formazione che siano metodicamente corretti e che portino inevitabilmente a risultati tra loro contrastanti ed incompatibili”
e vadano rinvenuti, a titolo esemplificativo ma non esaustivo:
“1) nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge;
2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica;
3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata;
4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà;
5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti;
6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali;
7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale;
8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale;
9) nel contrasto tra opinioni dottrinali;
10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente.”
Solo in presenza di tali condizioni appare dunque configurabile secondo l’orientamento di legittimità una vera e propria “causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria” determinata da
“una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ossia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso la sua interpretazione”.
Premesso il principio di carattere generale sopra riportato, avente ormai portata granitica, molto lucidamente la Corte di Cassazione procede alla sua applicazione nel caso di specie, domandandosi se vi sia o meno chiarezza dal punto di vista normativo sulla “computabilità o meno delle turbine e degli altri impianti nel calcolo per la determinazione della rendita catastale delle centrali elettriche ai fini Ici”.
La risposta a tale interrogativo offre al Collegio un ulteriore prezioso spunto interpretativo, laddove viene sinteticamente ripercorso anche l’excursus normativo che ha accompagnato l’evoluzione della tematica esaminata in questa sede.
Giova innanzitutto premettere che la materia in questione risultava caratterizzata da un rilevante contrasto giurisprudenziale fra un orientamento (maggioritario) volto ad escludere dalla valorizzazione delle centrali elettriche l’intera componente impiantistica e un diverso approccio (minoritario), propenso ad includere, invece, anche i macchinari nel valore del cespite accatastato.
La risoluzione del predetto contrasto giurisprudenziale è iniziata, senza dubbio, solamente a partire dall’anno 2005, quando – attraverso l’art. 1-quinques del D.L. n. 44/2005, con lo specifico intento di superare, per ragioni di tutela dell’Erario, l’oramai sempre più consolidato orientamento favorevole al contribuente – il Legislatore prevedeva la necessaria inclusione del valore dei macchinari produttivi nella rendita catastale del cespite accatastato.
L’introduzione di tale disposizione, tuttavia, ha rappresentato solo il primo tassello di un ben più articolato iter legislativo ed ermeneutico finalizzato alla concreta ed effettiva composizione del richiamato contrasto giurisprudenziale, che non è stato certo risolto sic et simpliciter nell’anno 2005 per effetto di tale intervento normativo.
Ed infatti, la norma di cui all’art. 1-quinquies del d.l. n. 44/2005 – che ha sancito all’inclusione, fra i beni suscettibili di attribuzione di rendita catastale, degli impianti e dei macchinari delle centrali elettriche – è stata tacciata di illegittimità costituzionale e la sua conformità a costituzione è stata sancita dalla Corte Costituzionale con la sentenza 20 maggio 2008, n. 162.
Nel determinare la legittimità dell’art. 1-quinquies, D. L. 44/2005 convertito in Legge 88/2005, la Corte ha riconosciuto che
“la predetta norma è intervenuta per comporre un contrasto giurisprudenziale sulla computabilità o meno del valore delle turbine nella determinazione per stima diretta dei beni della rendita catastale da attribuire agli immobili adibiti a centrale elettrica — l’esistenza del rilevato contrasto … e la necessità di comporlo, privilegiando una delle interpretazioni ricavabili dalla disciplina catastale e conforme peraltro a quella codicistica, rende legittimo il ricorso ad una norma di interpretazione autentica e non irragionevole, quindi, la sua efficacia retroattiva”.
Solo per effetto di tale sentenza, e pertanto solamente nel corso dell’anno 2008, dunque, la disposizione in oggetto ha ricevuto il definitivo riconoscimento della propria portata retroattiva in quanto disposizione di interpretazione autentica, per effetto della quale ai fini della corretta qualificabilità come bene immobile, ovvero come componente strutturale dell’opificio essenziale ai fini della relativa rendita, rilevano anche le turbine.
L’intervento della Corte Costituzionale di cui si è appena detto non si è rivelato, tuttavia, sufficiente ad assopire in via dirimente, una volta per tutte, le incertezze in ordine alla corretta individuazione delle tipologie di componenti impiantistiche da includere o meno nella stima catastale.
Tale circostanza è confermata dalla successiva pubblicazione della circolare n. 6/T del 30 novembre 2012 dell’Agenzia del Territorio, recante “Determinazione della rendita catastale delle unità immobiliari a destinazione speciale e particolare: profili tecnico-estimativi”, intervenuta appositamente per dettare i criteri e le linee guida da seguire per individuare nel modo corretto le componenti immobiliari oggetto di stima catastale anche degli impianti di produzione di energia, proprio alla luce delle criticità interpretative che negli anni hanno accompagnato tale tematica. Il richiamato documento ha infatti confermato che
“l’individuazione delle tipologie di componenti impiantistiche da includere o meno in detta stima è, da qualche tempo, al centro di ampio dibattito dottrinale ed oggetto di vari interventi giurisprudenziali”, con la conseguenza che “al fine di chiarire quali impianti, fra quelli presenti nell’unità immobiliare, hanno rilevanza catastale, si ritiene necessario fornire specifiche linee guida”.
E’ agevole comprendere come, se davvero non vi fossero stati negli anni ricompresi tra il 2008 e il 2012 particolari profili di incertezza sul tema che ci occupa, non ci sarebbe stata, parimenti, neppure la necessità da parte della stessa Agenzia del Territorio di fornire specifiche istruzioni e linee guida finalizzati a far fronte – come espressamente dichiarato nella premessa dello stesso documento – ai numerosi quesiti pervenuti alla stessa.
Ebbene, alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento così come ricostruito, la Corte di Cassazione, attraverso la sentenza qui commentata, conferma ancora una volta la sussistenza di una condizione di obiettiva incertezza così evidente sul tema in questione da non potersi considerare del tutto sopita neppure a seguito del primo intervento legislativo attuato mediante il citato art. 1-quinques, con la conseguenza che anche nei periodi di imposta successivi alla sua introduzione continuava a perdurare una manifesta equivocità delle disposizioni normative preposte alla determinazione della rendita catastale delle centrali elettriche – ovverosia, in altri termini, della base imponibile da cui ricavare l’importo dell’ICI – che si è risolta, di fatto, solo nel corso dell’anno 2012 per effetto dell’intervento di prassi rappresentato dalla menzionata circolare n. 6/T del 30 novembre 2012 dell’Agenzia del Territorio.
Nel giudizio della Corte di Cassazione assume, poi, particolare rilievo anche la condotta soggettiva della Società contribuente,
“risultando incontestato che essa aveva dato avvio per l’impianto principale alla procedura DOCFA e successivamente promosso iniziative con il Servizio Catasto per individuare i criteri e le modalità di dichiarazione e di classamento degli altri impianti alla luce dell’art. 1 quinquies cit.; iniziative che si erano concluse con l’accordo stipulato il 18.5.2011 tra il predetto Servizio Catasto e la società avente causa della contribuente”.
I due elementi appena considerati – ossia a) la situazione di incertezza oggettiva quanto all’individuazione e ai criteri di determinazione della rendita ai fini ICI ai beni come quelli in esame e b) il comportamento tenuto dalla Società contribuente, che regolarmente accatastava il bene nel 2011 a seguito della trattativa intrapresa con il Servizio Catasto della Provincia Autonoma di Trento dopo l’entrata in vigore citato art. 1-quinques – a giudizio della Corte di Cassazione se:
“unitamente valutati, fanno emergere, da un lato, l’assenza di qualsivoglia condotta elusiva da parte della contribuente e, dall’altro, l’esistenza nella fattispecie in esame di una incertezza oggettiva della norma impositiva circostanze che rilevano ai fini di mandare esente da ogni responsabilità sanzionatoria la contribuente. Questa, infatti, non poteva assolvere all’obbligo del pagamento dell’ICI secondo il valore dell’attribuzione della nuova rendita catastale determinata dal Servizio Catasto della Provincia Autonoma di Trento il 2.12.2011; determinazione avvenuta alla luce dell’art. 1 – quinquies cit. la cui portata, per come sopra evidenziato, è stata oggetto di dubbi interpretativi risolti dall’Amministrazione finanziaria solo il 30.11.2012”.
Conclusivamente, e alla luce della ricostruzione operata, il Collegio conferma la presenza di una condizione di obiettiva incertezza sull’ambito di applicazione degli artt. 5 e 11 d.lgs. n. 504/92 in relazione alle regole di determinazione della base imponibile delle centrali elettriche, circostanza che è idonea ad escludere una condotta colpevole ascrivibile al contribuente e che, pertanto, è anche tale da giustificare la disapplicazione delle sanzioni irrogate dal Comune.
A parere di chi scrive, il principio così ribadito appare del tutto condivisibile alla luce del complesso quadro normativo di riferimento sopra riepilogato, il cui iter evolutivo risulta, con tutta evidenza, oggettivamente composto da più tappe interpretative, che hanno contribuito al suo completamento anche attraverso l’intervento della Consulta e della Prassi.
Lo stesso, peraltro, come sopra anticipato non è nuovo nell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, in quanto pienamente conforme a quanto ribadito con altri recenti precedenti intervenuti sullo stesso tema. Già in altre circostanze, infatti, è stato affermato dalla Cassazione che “l’art. 1 quinquies cit. è stato causa di una obiettiva incertezza circa la concreta individuazione dei manufatti che avrebbero dovuto essere considerati al fine di incrementare il valore dell’impianto e circa il valore da attribuire agli stessi, tenuto conto della vetustà e dell’obsolescenza”, con la conseguenza che nella sentenza qui esaminata vengono condivise – se non del tutto mutuate – le motivazioni già espresse in fattispecie sostanzialmente sovrapponibili a quella in esame (cfr. Cass. n. 10126 dell’11 aprile 2019; n. 17035 del 16 giugno 2021 e Cass. n. 11462 dell’8 aprile 2022).