20/02/2023

1. – Con il presente contributo si intende svolgere alcuni approfondimenti sulle sanzioni legittimamente irrogabili nelle ipotesi di infedele dichiarazione o di omesso versamento, in tutto o in parte, del contributo straordinario di solidarietà istituito dall’art. 37 del d.l. 21 maggio 2022, n. 21 a carico delle imprese energetiche (c.d. contributo extraprofitti). Si vuole in particolare indagare se alle stesse fattispecie è ricollegabile (anche) una responsabilità penale.

Rinviando agli altri contributi già presenti sul presente blog per la disamina più di dettaglio della disciplina applicativa del prelievo e del suo presupposto (cfr. i due articoli di Livia Salvini Il contributo straordinario contro il caro bollette a carico delle imprese energetiche e Territorialità del contributo straordinario sugli extraprofitti), anche con riferimento alla tematica che qui ci occupa è necessario muovere dal disposto normativo di riferimento.

2. – Come ben noto, ai sensi dell’art. 37, comma 6 del d.l. n. 21/2022, è stato disposto che “Ai fini della riscossione del contributo, dell’accertamento e delle relative sanzioni, nonche’ per il relativo contenzioso, si applicano le disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto in quanto compatibili”.

Prevede a sua volta il comma 5, seconda parte, dello stesso articolo che “… Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, sentita l’Autorita’ di regolazione per energia, reti e ambiente, sono definiti gli adempimenti, anche dichiarativi, e le modalita’ di versamento del contributo…”.

E’, da ultimo, stato specificato nel provvedimento attuativo – adottato dall’Agenzia delle Entrate in data 17 giugno 2022, con prot. n. 221978/2022 (art. 2 – punto 2.1) – che “I soggetti passivi del contributo assolvono gli adempimenti dichiarativi previsti dall’articolo 37, comma 5, secondo periodo, del decreto con la dichiarazione IVA da presentare nell’anno 2023([1]).

3. – Alla luce delle disposizioni trascritte e dell’inquadramento più sistematico ascrivibile al contributo extraprofitti, l’opinione di chi scrive è nel senso che il richiamo operato dall’art. 37, comma 6 del d.l. n. 21/2022 alle disposizioni dell’IVA “in quanto compatibili”, anche ai fini sanzionatori, è idoneo a legittimare l’applicabilità agli illeciti in materia di contributo di solidarietà delle relative sanzioni amministrative tributarie, mentre non consente l’estensione della responsabilità penale prevista per le violazioni della normativa IVA.

Depone in tal senso, in primo luogo ed in via assorbente, il fatto che, anche se la base imponibile del Contributo è ricavata dall’incremento del saldo tra le operazioni attive e passive ai fini IVA e la sua disciplina, come si è detto, è mutuata dalla stessa imposta, il Contributo straordinario non può definirsi un’Imposta sul Valore Aggiunto perché, inter alia, non è un’imposta plurifase di carattere generale ma colpisce solo determinate imprese e non è un’imposta sui consumi poiché non può essere traslata. È appena il caso di evidenziare al riguardo che l’art. 37, comma 8, cit., prevede piuttosto un sostanziale divieto di “indebite ripercussioni [del contributo, n.d.r.]  sui prezzi al consumo”.

Difetta altresì uno degli elementi essenziali dell’IVA delineati già nella seconda direttiva del Consiglio dell’11 aprile 1967 n. 67/228, ossia il principio di “deduzione di imposta da imposta, per tutto il complesso delle operazioni compiute dal soggetto in un determinato periodo di tempo”. Principio che si traduce nella neutralità dell’imposta che, come è noto e come costantemente afferma la Corte di Giustizia UE, è la caratteristica essenziale ed indefettibile dell’IVA e del suo meccanismo applicativo.

Anche nella differente prospettiva di analisi che fa riferimento alle imposte sui redditi, le caratteristiche strutturali del presupposto del Contributo non ne consentono l’assimilabilità ad un’imposta ascrivibile alla richiamata “famiglia”. Il Contributo non colpisce infatti alcun incremento patrimoniale o “ricchezza novella” posto che la disciplina di determinazione dell’imponibile non dà rilievo alle spese di produzione di tale ricchezza. La base imponibile quantificata ex art. 37, commi 2 e 3 in base ai saldi IVA non tiene conto di rilevanti elementi di costo che insistono in maniera significativa sui profitti, e quindi sugli ipotetici “sovraprofitti”, del settore. Si pensi, in particolare, agli oneri di gestione (in primis, i costi del personale), agli ammortamenti o ai differenziali realizzati su contratti derivati che, se considerati non soggetti ad IVA, non sono computabili ai fini del Contributo.

Piuttosto il prelievo in analisi potrebbe essere considerato come un’imposta applicata ad un valore aggiunto di tipo economico, assimilabile all’IRAP (v. Corte Cost. n. 156/2001), in quanto colpisce un – mal calcolato – risultato incrementale dell’organizzazione in un determinato periodo di tempo ([2]).

4. – In tale ottica e sulla base di tale preliminare ricostruzione, è possibile escludere la rilevanza penale delle violazioni in materia di contributo extraprofitti.

Ed invero, come ben noto, la materia penale è governata dai principi di riserva di legge e di tassatività delle fattispecie (art. 25, comma 2 Cost. e art. 1 c.p.). Su tali basi si deve evidenziare che tutte le norme del decreto 74/2000 (recante la “Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205”) che hanno introdotto la rilevanza penale degli inadempimenti dichiarativi e di versamento ai fini delle imposte dirette e dell’IVA fanno espresso e diretto riferimento soltanto a tale specifiche imposte e non sono state in alcun modo interessate o modificate dalla disciplina sul contributo extraprofitti introdotta con il d.l. n. 21/2022.

Esclusa l’assimilabilità del prelievo alle imposte sui redditi o all’IVA, risultano, pertanto, invocabili al riguardo gli stessi principi con i quali la Cassazione penale ha già escluso la rilevanza penale dell’IRAP, pur a fronte del richiamo recato dalla stessa imposta, a limitati fini, alle regole sulle imposte sui redditi.

La Suprema Corte (Terza Sezione Penale) con la sentenza n. 11147/2012 ha stabilito che la presunta evasione di importi, imputabili a titolo di Irap, non comporta l’attivazione di conseguenze penali per due motivi: 1) “la legge non conferisce rilevanza penale all’eventuale evasione Irap (non trattandosi di un’imposta sui redditi in senso tecnico)” e 2) “le dichiarazioni costituenti l’oggetto materiale del reato di cui all’art. 2, D.Lgs. n. 74/2000 sono solamente le dichiarazioni dei redditi e le dichiarazioni annuali IVA”.

Si legge in senso conforme in Cass. pen. n. 12810/2016, questa volta in materia di sequestro e confisca penale, che “Ha sbagliato, quindi, il tribunale a tenere conto per la quantificazione del profitto del reato ex art. 5 del d.p.r. n. 74/2000 anche del mancato pagamento dell’Irap (relativamente ai redditi degli anni 2010/2012), giacché “la legge non conferisce rilevanza penale all’eventuale evasione dell’imposta regionale sulle attività produttive” in quanto non rappresenta “un’imposta sui redditi in senso tecnico” e le dichiarazioni costituenti l’oggetto materiale del reato de quo, “sono solamente le dichiarazioni dei redditi e le dichiarazioni annuali Iva“.

Sulle stesse basi, va recisamente esclusa la rilevanza penale degli illeciti in materia di contributo extraprofitti.

5. – Anche il fatto che gli adempimenti dichiarativi del contributo – alla luce del provvedimento attuativo del 17 giugno u.s. (art. 2 – punto 2.1) – siano assolti “con la dichiarazione IVA da presentare nell’anno 2023” non modifica le conclusioni assunte.

In primo luogo, si deve ribadire che tutte le norme del decreto 74 del 2000 che sanzionano le infedeltà o le omissioni dichiarative, richiedono che i relativi illeciti siano commessi “al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto”, a prescindere dalle singole formalità dichiarative di dettaglio previste dalla legge, con le conclusioni più sopra già evidenziate.

In secondo luogo, sempre in base al principio di riserva di legge, va evidenziato che non potrebbe in ogni caso la normativa secondaria ascrivere rilevanza penale ad una condotta non prevista come tale dalla normativa primaria.

In terzo ed ultimo luogo, si rileva nuovamente che, a fronte anche in questo caso di analoga vicenda in materia di IRAP, si è già espresso il Ministero delle Finanze con la Circolare n. 154/E del 4 agosto 2000, in forza della quale anche se la dichiarazione presentata in forma unificata (a norma dell’art. 3 del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322) accoglie più dichiarazioni prodotte ai fini delle imposte dirette, dell’Iva, nonché dell’Irap, “acquistano rilievo solo le violazioni in materie di imposte dirette e di Iva […] di conseguenza sono escluse dalla fattispecie criminosa le dichiarazioni ai fini Irap” ([3]).

6. – Risulta conclusivamente possibile assumere che le violazioni in materia di contributo non sono fonte di responsabilità penale ma trovano il loro presidio ordinamentale nella ordinaria disciplina delle sanzioni amministrative tributarie applicabili in materia di IVA.

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([1]) Il relativo modello è stato definitivamente approvato con provvedimento n. 11378, pubblicato in data 13 gennaio 2023  e i dati afferenti il contributo extraprofitti hanno trovato collocazione nel nuovo Quadro CS.

([2]) Tuttavia, proprio la natura para-incrementale della base imponibile è, ad avviso di scrive, idonea a differenziare il Contributo (anche) dall’IRAP. Laddove infatti il Contributo colpisce il differenziale – se positivo – tra due saldi, l’IRAP individua e misura un presupposto puntuale e istantaneo, qual è il valore della produzione in un dato esercizio. Peraltro, l’IRAP si preoccupa, per evidenti ragioni di rispondenza alla Costituzione, di assoggettare ad imposizione un valore della produzione netto, consentendo la deduzione di tutti i costi che hanno concorso alla realizzazione di quella ricchezza che intende tassare ed escludendo quelli che, secondo la logica del tributo, non vi hanno concorso: proprio in questa prospettiva, essa tiene conto degli ammortamenti e dei costi operativi, mentre non attrae l’operatività straordinaria. Tale logica è completamente assente nella determinazione del Contributo che, proprio in quanto inidoneo ad intercettare un preteso sovraprofitto, si “appiattisce” sul differenziale tra saldi IVA senza preoccuparsi in alcun modo di individuare e, quindi, misurare correttamente la ricchezza tassata. Di conseguenza, esso finisce con l’escludere dalle proprie componenti negative le più significative passività prodotte dalle imprese, primi tra tutti i costi di investimento e gli ammortamenti.

([3])  Ad abundantiam, va conclusivamente segnalata – anche in un’ottica formale – la radicale incompatibilità della fattispecie disciplinata dall’art. 4 del d.lgs. n. 74/2000, che punisce la dichiarazione infedele, con la struttura del Contributo. Com’è noto, infatti, l’art. 4 presuppone un’infedeltà dichiarativa integrata dall’indicazione di “elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti”, relativa quindi ad imposte (quali sono per l’appunto l’IRPEF-IRES e l’IVA) costruite come contrapposizione di elementi attivi che incrementano l’obbligazione tributaria ed elementi passivi che la decrementano. La struttura del Contributo non è costruita tramite la contrapposizione di un complesso di elementi attivi contrapposti ad elementi passivi, bensì come il saldo tra due differenziali in cui gli elementi attivi e passivi operano, rispettivamente, con effetti opposti ai fini della determinazione del Contributo: gli elementi attivi del saldo 2020-21 operano infatti a decremento dell’imponibile laddove gli stessi elementi del saldo 2021-22 lo incrementano; vale l’opposto per gli elementi passivi (i quali per di più rilevano solo ove “inesistenti”). Già anche solo per tale via, la fattispecie di reato sarebbe inidonea ad includere nel proprio alveo di applicazione l’eventuale evasione del Contributo. Né parrebbe possibile obiettare che per “elementi attivi” dovrebbe intendersi il saldo 2021-2022 e per “elementi passivi” il saldo 2021-2020, posto che tali saldi non sono composti da “elementi”, ma sono essi stessi il risultato di una differenza tra elementi attivi e passivi “di secondo livello” (cioè le operazioni attive-passive di periodo).

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