1. La situazione attuale.
1.1. Le politiche energetiche dell’UE e degli Stati membri sono messe a dura prova dall’attuale situazione di crisi degli approvvigionamenti di gas a seguito delle restrizioni nelle importazioni dalla Russia, dopo che già nella seconda metà del 2021 si era verificata una brusca impennata dei prezzi dell’energia, causata dall’aumento e dalla rigidità della domanda mondiale post pandemia. Crisi che mette in luce l’insufficienza delle misure di sicurezza energetica adottate in passato dall’Unione e la debolezza delle risposte comuni[1] alla dipendenza politica, ancora prima che tecnico-commerciale[2], dal gas russo. Siamo in una imprevista, perdurante situazione di emergenza[3], in cui se da un lato le ambiziose politiche in materia di riduzione di emissioni inquinanti vengono mantenute ferme (si veda in tal senso il documento RePowerEU[4]), dall’altro si rende necessaria una rapida riconversione delle scelte in materia di fonti energetiche in funzione dei relativi rifornimenti; scelte contingenti che non sempre appaiono conformi agli obiettivi di lungo periodo.
Si rende altresì necessaria una politica di sostegno economico alle imprese, in particolare a quelle energivore, ed ai consumatori, diretta a mitigare gli effetti del vertiginoso aumento del prezzo dell’energia. A fronte di un articolato quadro di aiuti di Stato ammissibili per favorire la transizione energetica alle fonti rinnovabili[5], per i quali la Commissione Europea ha rilasciato la Comunicazione 2022/C 80/01 relativa alla “Disciplina in materia di aiuti di Stato a favore del clima, dell’ambiente e dell’energia 2022” (CEEAG), la stessa Commissione ha dovuto autorizzare[6] temporaneamente, nel marzo 2022[7], aiuti di Stato (anche) “per compensare le imprese per i costi aggiuntivi sostenuti a causa dei prezzi eccezionalmente elevati del gas e dell’energia elettrica”, ed in particolare le imprese energivore e quelle operanti in alcuni settori industriali a forte consumo di energia[8]. Queste imprese erano già identificate dalla CEEAG come destinatarie di aiuti: tuttavia, proprio nell’ottica del (difficile) bilanciamento degli obiettivi è stato previsto che questi aiuti siano condizionati alla riduzione della carbon footprint, ponendo nel contempo le basi per una ripresa sostenibile, anche con riguardo alla protezione dell’ambiente.
1.2. Dal canto suo, l’Italia ha varato reiterati provvedimenti di carattere straordinario, con i due “decreti Aiuti” (i dd.ll. n. 50/2022 e n. 115/2022) e altre disposizioni (d.l. n. 21/2022) dirette a fare fronte al caro energia: si va dalle misure in favore dei privati consumatori meno abbienti (il c.d. “bonus bollette” sotto forma di sconto praticato dagli operatori), alla riduzione/azzeramento degli oneri di sistema sull’energia elettrica ed il gas[9], al riconoscimento alle imprese energivore (come definite dalla direttiva DTE[10]) di crediti di imposta (in conformità alla disciplina temporanea sugli aiuti di Stato[11]), cedibili a terzi per una pronta monetizzazione[12]. Alcune di tali misure sono integralmente finanziate (art. 38 d.l. n. 21/2022)[13] con un contributo straordinario sugli “extraprofitti” delle imprese del settore energetico, in conformità, perlomeno quanto alla fonte[14] del finanziamento (cioè al settore energetico), a quanto raccomandato dalla Commissione UE nella comunicazione RePowerEU.
1.3. Non è certo scopo di questa relazione fare una rassegna di provvedimenti normativi interni in materia di tassazione dell’energia e profili connessi: se vi si è accennato in premessa è solo per dare il segno della attuale, complessa e per certi versi contraddittoria situazione. Si passerà ora ad illustrare il quadro – in via di evoluzione, ma sostanzialmente ancora immutato – delle politiche europee in materia di tassazione dell’energia, per poi formulare alcune considerazioni al riguardo, anche con riferimento all’ordinamento nazionale.
2. L’evoluzione del quadro UE in materia di tassazione dell’energia.
2.1. Come è ben noto, la Commissione UE ha adottato nel 2019 l’European Green Deal, un Piano di proposte dirette a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e la riduzione, entro il 2030, delle emissioni del 55 per cento rispetto al 1990, con l’ambizioso obiettivo di “fare dell’Europa il primo continente al mondo a impatto climatico zero”. In attuazione del Piano, è stato tra l’altro adottato il Regolamento 2021/1119/UE contenente la legge europea sul clima. Gli obiettivi del Piano hanno naturalmente costituito il punto di riferimento per l’elaborazione degli investimenti e delle riforme in materia di transizione verde contenuti nei Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza[15].
Nel 2021, la Commissione ha presentato il pacchetto Fit for 55 che propone diverse misure, tra le quali alcune di natura fiscale con impatto molto rilevante, ed in particolare: la revisione della Direttiva 2003/96/CE sulla tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità (ETD) secondo gli obiettivi del Green Deal; la creazione di un Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), cioè di un’imposta sull’importazione commisurata al tenore in carbonio dei prodotti e quindi al loro potenziale inquinante in termini di emissioni di gas ad effetto serra, pagabile mediante certificati analoghi agli attuali ETS (quote dell’Emission Trading System).
2.2. Iniziando dalla prima, va ricordato che attualmente, sulla base della Direttiva del 2003 e quindi nell’ordinamento interno[16], la misura delle accise sui prodotti energetici è fissata del tutto indipendentemente dalle caratteristiche in termini di emissioni nocive e, laddove sono previste delle agevolazioni, queste hanno l’obiettivo di favorire determinati settori produttivi, quali l’agricoltura e la pesca, e non di promuovere consumi virtuosi in termini ambientali.
Secondo il documento di valutazione Chi inquina, paga?[17] in molti settori produttivi i costi esterni dell’attività[18] sono enormemente maggiori dell’ammontare delle imposte ambientali[19] pagate. Considerando con lo stesso metodo anche i costi esterni riconducibili all’attività delle famiglie, risultano inoltre vistose sperequazioni. Risulta infatti che le famiglie pagano il 70% in più dei loro costi ambientali e le imprese nel loro complesso il 26% in meno. Tuttavia nell’ambito delle imprese vi sono grandi differenziazioni che accentuano l’iniquità dell’attuale sistema (ed insieme manifestano l’assenza di effetto disincentivante rispetto a comportamenti non rispettosi dell’ambiente): ad esempio il comparto dell’agricoltura, responsabile di notevolissime emissioni inquinanti[20], paga il 93% in meno dei relativi costi ambientali ed il trasporto marittimo addirittura il 99% in meno.
Ed in effetti, sono assai numerosi nel nostro ordinamento i sussidi fiscali erogati a favore di produzioni o consumi inquinanti: la loro riduzione avrebbe senz’altro effetti favorevoli sull’ambiente[21] e potrebbe, in una certa misura, essere adottata indipendentemente dalle modifiche alla Direttiva[22], peraltro muovendosi nello stesso senso della progettata riforma.
Il Ministero della Transizione Ecologica (secondo la sua denominazione attuale) ha pubblicato un Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi (SAD) e dei sussidi ambientalmente favorevoli (SAF), giunto nel 2022 alla sua quarta edizione (riferita al periodo 2019-2020). Secondo il Catalogo, oltre il 97% dei sussidi dannosi per l’ambiente è costituito da sconti fiscali, molti dei quali sono erogati anche a beneficio delle attività più inquinanti[23]. Tutti gli studi in materia evidenziano come la riduzione dei SAD debba essere equilibrata, graduale nel tempo ed accompagnata da sussidi in favore dei soggetti economicamente più deboli, in ragione dell’elevato impatto diretto[24] o indiretto sui prezzi al consumo di molte delle necessarie misure fiscali. Alle ovvie considerazioni che ispirano queste cautele non può non aggiungersi, nell’attuale situazione, il fatto che i SAD attengono principalmente il settore dell’energia, interessato da un anomalo e prolungato trend di incremento dei prezzi che potrebbe rendere assolutamente sconsigliabile adottare in questo momento politiche di riduzione di tali sussidi. Anzi, come si è accennato in premessa, alcune misure di agevolazione e mitigazione del costo dell’energia si incentrano proprio sui soggetti che già beneficiano di rilevanti SAD, come le imprese energivore e quelle che operano nei settori dell’agricoltura e dei trasporti.
La proposta di rifusione della ETD[25] si fonda sulla considerazione che, nel testo vigente, la direttiva “non risulta più allineata alle politiche attuali dell’UE. Inoltre tale direttiva non garantisce più il buon funzionamento del mercato interno”: se ne propone perciò una complessiva revisione “con l’obiettivo di assicurare che la tassazione dell’energia sia allineata agli obiettivi climatici”[26]. Ed infatti, “la tassazione svolge un ruolo diretto nel sostenere la transizione verde inviando i giusti segnali di prezzo e fornendo i giusti incentivi per il consumo e la produzione sostenibili”. In particolare, la vigente direttiva:
- non è in linea con gli obiettivi in materia di clima ed energia dell’UE perché non promuove adeguatamente le riduzioni di emissione di gas ad effetto serra;
- favorisce di fatto l’uso dei combustibili fossili, perché consente l’adozione di aliquote nazionali assai divergenti e di un’ampia gamma di esenzioni e riduzioni anche al di sotto dell’aliquota minima;
- non contribuisce più al buon funzionamento dei mercati dato che aliquote minime (vincolanti in base alla vigente Direttiva) sono ormai troppo basse e dunque quasi tutti gli Stati ne adottano di molto più alte, consentendo però una “corsa al ribasso” da parte di alcuni Paesi.
L’allineamento della tassazione agli obiettivi ambientali sarà perseguito passando dalla attuale tassazione basata sul volume a una basata sul contenuto energetico, eliminando gli incentivi a favore dell’uso di combustibili fossili, introducendo una classificazione delle aliquote in base alle prestazioni ambientali dei prodotti tassati e stabilendo una indicizzazione delle aliquote minime, in modo da mantenerle adeguate al mercato. Inoltre l’attuale struttura fiscale sarà semplificata raggruppando i prodotti energetici (usati come carburanti per motori o combustibili per riscaldamento) e l’elettricità in categorie e classificandoli in base alle loro prestazioni ambientali, come definite nel contesto del Green Deal europeo[27].
La proposta, che intende comunque “preservare la capacità di generare entrate per i bilanci degli Stati membri”, tiene nella dovuta considerazione anche le questioni sociali sottese alla progettata riforma, introducendo la possibilità di esentare le famiglie vulnerabili dalla tassazione relativa ai combustibili per riscaldamento[28] per un periodo di dieci anni e prevedendo un periodo transitorio di dieci anni per il raggiungimento dell’aliquota minima di tassazione.
L’approvazione della proposta è in itinere e non sembra che essa sia prossima. Nell’ultimo Progress report del Consiglio UE[29] si rileva che, nonostante i tangibili progressi fatti nella condivisione di singoli punti, restano ancora da approfondire aspetti tutt’altro che marginali, come la salvaguardia della competitività dell’UE e gli effetti della progettata riforma della tassazione sulle famiglie, su alcuni settori produttivi e sull’economia nel suo complesso. La conclusione del Report è che i lavori continuano, ma che allo stato è troppo presto per ipotizzare il contenuto di un possibile accordo.
Naturalmente il prolungato stallo della riforma in sede UE si riflette in una corrispondente carenza di iniziative in ambito interno. Già nell’art. 15 l. n. 23/2014 era contenuto un principio di delega per la revisione delle accise sui prodotti energetici anche in funzione delle emissioni inquinanti, in conformità ai principi che avrebbero dovuto essere adottati nella revisione della ETD (nonché per l’introduzione di nuove forme di fiscalità per promuovere consumi e produzioni sostenibili sotto il profilo ambientale). Tale principio di delega rimase – giocoforza – inattuato e dunque esso è stato sostanzialmente riproposto nel ddl di delega per la riforma fiscale A.C. 3343 (art. 4, lett. b) con espresso riferimento – opportunamente – non più alla revisione della ETD, bensì al Green Deal. Il testo, approvato alla Camera con poche modifiche dirette a rafforzare il riferimento all’impatto ambientale dei diversi prodotti energetici soggetti ad accisa, è ora all’esame del Senato, dove sembra avere assai scarse chances di discussione e approvazione stante il prossimo scioglimento delle Camere.
2.3. Come si è anticipato, nel quadro del Green Deal e del pacchetto Fit for 55%, la Commissione UE, dopo una valutazione d’impatto[30], ha altresì presentato una proposta[31] di Regolamento europeo che istituisce un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM), con lo scopo di perseguire gli obiettivi di neutralità climatica dell’Unione, con particolare riferimento alle emissioni di gas ad effetto serra. Come osserva la Commissione, infatti, “tale meccanismo rappresenta un’alternativa alle misure che affrontano il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio nel sistema di scambio di quote di emissione dell’UE (“EU ETS[32]“) ed è inteso a evitare che gli sforzi di riduzione delle emissioni dell’Unione siano compensati da un aumento delle emissioni al di fuori dell’Unione attraverso la delocalizzazione della produzione o un aumento delle importazioni di prodotti a minore intensità di carbonio. In assenza di tale meccanismo, la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio potrebbe determinare un aumento complessivo delle emissioni globali.” In sostanza, il CBAM garantirebbe che il prezzo delle importazioni tenga più accuratamente conto del tenore in carbonio dei prodotti (compresa l’energia elettrica) importati. Sotto questo profilo è evidente che la proposta si muove in armonia con quella, parallelamente promossa, relativa alla tassazione dell’energia, che parimenti è diretta a differenziare l’imposizione in ragione del contenuto inquinante e climalterante dei prodotti[33]. In pratica al meccanismo degli ETS, che verrebbe comunque mantenuto, si affiancherebbe un sistema di certificati CBAM, basato sulle emissioni effettive (ove determinabili, altrimenti basato sulle emissioni standard) di carbonio: gli importatori dovrebbero acquistare tali certificati emessi dall’UE (ovvero acquisirli gratuitamente nella fase pilota) e restituirli in dogana all’atto dell’importazione. L’UE dovrebbe utilizzare i relativi proventi, tra l’altro, per favorire la transizione verde e digitale[34]. La Commissione ha stimato che l’impatto della misura, ove applicata in modo generalizzato, sarebbe maggiore per le PMI; per questo motivo si prevede che nella fase iniziale il CBAM gravi solo sui prodotti di base, maggiormente utilizzati dalle grandi imprese.
Il Consiglio UE ha successivamente raggiunto un primo orientamento generale[35] sulla proposta, con alcune modifiche di semplificazione e razionalizzazione, quale l’esenzione per le importazioni di valore inferiore a 150€ e la centralizzazione a livello UE del registro degli importatori dei prodotti soggetti al meccanismo. Tuttavia alcuni punti estremamente rilevanti sono ancora sul tavolo, come la alternatività/successione tra il meccanismo ETS e il CBAM, nonché la compatibilità di quest’ultimo con gli obblighi derivanti dagli accordi stipulati nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Punto, questo, estremamente sensibile: non a caso la Cina ha manifestato un aperto dissenso con la proposta europea[36].
2.4. Sebbene per motivi diversi, ambedue le proposte di carattere fiscale ritenute centrali per il perseguimento degli obiettivi del Green Deal sono sul tavolo dei Governi europei (la DTE da più di dieci anni) senza che sembri prossimo il raggiungimento di un accordo.
Si pone dunque il tema se questa impasse, dovuta soprattutto ad alcuni Governi, sia in qualche modo superabile.
La Commissione UE nelle sue valutazioni di impatto ha osservato:
- per quanto riguarda la DTE, che la progettata riforma potrebbe rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 192 TFUE in quanto avente ad oggetto misure di carattere ambientale[37]; quindi essa potrebbe essere approvata mediante la procedura legislativa ordinaria a maggioranza qualificata dei voti, anziché all’unanimità dei voti del Consiglio;
- per quanto riguarda la CBAM, che essa potrebbe rientrare tanto nelle disposizioni dell’art. 192 TFUE, quanto in quelle dell’art. 207 TFUE (misura di politica commerciale comune).
Queste considerazioni richiamano uno dei principali temi delle politiche fiscali dell’UE, oggetto di altre relazioni di questo Convegno, e cioè quello della possibilità di superare lo stallo delle decisioni mediante l’abbandono del principio, finora seguito, dell’unanimità, in favore di quello di maggioranza qualificata mediante il coinvolgimento del Parlamento europeo quale garante della democraticità e idonea rappresentatività delle decisioni assunte. Ed invero, la Commissione UE già da alcuni anni[38] ha evidenziato che “le nuove sfide emerse nell’UE e nel mondo hanno rivelato i limiti dell’unanimità nella politica fiscale sia a livello unionale che nazionale” e che la tassazione è l’unico settore politico dell’UE in cui il processo decisionale riposa ancora esclusivamente sull’unanimità e relega il Parlamento ad un ruolo meramente consultivo. Proprio le travagliate vicende della DTE sono citate, tra le altre, dalla Commissione per dimostrare la negativa influenza sulle politiche UE ad ampio spettro della regola dell’unanimità nella tassazione. Tuttavia, solo in una seconda fase di attuazione concordata[39] il principio di votazione a maggioranza dovrebbe essere applicato alle misure fiscali aventi altri obiettivi politici comuni, quale la lotta contro i cambiamenti climatici. In un secondo Documento, dedicato specificamente alla fiscalità ambientale[40], la Commissione ancora più decisamente invita i leader dell’UE ad avvalersi della “clausola passerella” di cui all’art. 192, par. 2 TFUE.
Tuttavia, non consta che tale invito abbia avuto seguito. Oltre alla – probabile – mancanza di volontà politica in tal senso, sembrano meritevoli di attenta considerazione gli elementi evidenziati dalla stessa Commissione nelle due valutazioni di impatto cui si è fatto sopra riferimento.
Ed invero, la nuova DTE costituisce la modifica dell’attuale Direttiva, adottata ovviamente all’unanimità secondo la procedura prevista per le norme (esclusivamente) fiscali: sembra dunque difficilmente ipotizzabile che essa possa essere modificata a maggioranza qualificata, anche in considerazione della necessità di armonizzazione a livello UE delle accise. Non va infatti dimenticato che l’armonizzazione delle accise, insieme a quella delle imposte doganali e dell’imposta sul valore aggiunto ha costituito, a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, un fondamentale passo per l’attuazione delle originariamente esclusive finalità economiche della Comunità europea, agevolando la creazione di un mercato comune senza distorsioni fiscali sulla tassazione dei prodotti e delle operazioni commerciali.
Per quanto riguarda poi la CBAM, la sua attinenza anche ai profili della politica commerciale comune (e si è accennato a quanto essi siano complessi e “sensibili”) probabilmente attrae in modo decisivo la disciplina alle materia per le quali l’unanimità è necessaria perlomeno sotto il profilo politico, ponendosi perciò come recessivo l’aspetto della fiscalità ambientale.
3. Criticità delle proposte e profili redistributivi.
La progettata profonda riforma della tassazione indiretta sull’energia pone almeno due tipi di problemi sotto il profilo economico-fiscale.
Il primo è costituito dal fatto che un’imposta che ha (anche) il fine di disincentivare le produzioni e i consumi dannosi sotto il profilo ambientale è inevitabilmente e (auspicabilmente) destinata a veder ridurre nel tempo la sua base imponibile e quindi il suo gettito; e ciò benché – come ci si attende che derivi dalla progettata revisione della DTE – in un primo periodo, più o meno lungo a seconda delle scelte che verranno in concreto adottate sulla struttura e misura dell’imposta e su un eventuale periodo transitorio[41], si assisterebbe ad un aumento della tassazione sui prodotti energetici più inquinanti. Tale riduzione in tanto sarà più rapida e sensibile in quanto l’imposta raggiunga efficacemente il suo scopo di orientare gli utilizzatori verso fonti energetiche green.
Non si tratta comunque di un tema che si pone solo in relazione alle progettate modifiche. Attualmente le accise sull’energia forniscono in media il 5% delle entrate fiscali nei Paesi UE, e si è stimato che tali entrate subirebbero a normazione invariata (e quindi anche tenendo conto del fatto che attualmente esse non dipendono dalle caratteristiche ambientali del prodotto tassato) un calo di oltre il 30% tra il 2020 e il 2035, per effetto della transizione energetica[42]. Da ciò consegue che gli Stati dovrebbero prevedere risorse alternative per preservare il gettito.
Il secondo, per molti aspetti connesso, problema è prettamente di carattere redistributivo. L’aumento dell’imposizione specifica sui prodotti maggiormente inquinanti ha un importante impatto economico e sociale sulle famiglie[43], in modo diretto (sui loro consumi) e indiretto (aumento dei costi di produzione di beni e servizi), e si connota per i suoi effetti regressivi[44]. Se e nella misura in cui la riforma della tassazione produce un maggior gettito, è possibile ipotizzare la sua redistribuzione in favore delle fasce di popolazione maggiormente incise da tale riforma. Tuttavia, al netto dei successivi decrementi nel tempo, è ragionevole ritenere che tale maggior gettito non possa comunque essere di ammontare tale da costituire l’unica fonte delle risorse a ciò necessarie.
Uno dei suggerimenti ricorrenti nelle fonti economiche e politiche europee è quello di prevedere – a titolo di mitigazione degli impatti dell’incremento della tassazione atteso in sede di prima applicazione – una riduzione delle imposte sul lavoro[45], oppure specifiche sovvenzioni o incentivi a favore dei soggetti economicamente più deboli. Come osserva la relazione alla proposta di modifica della DTE [46], la possibile regressività delle imposte sull’energia potrebbe essere compensata dall’impiego delle maggiori entrate per sostenere la transizione verde sia attraverso il finanziamento di investimenti in beni ed apparecchi a basse emissioni ed alta efficienza, sia attraverso il trasferimento di somme forfettarie.
Un’ulteriore iniziativa messa in campo dall’UE, che si è concretata in una proposta di Regolamento[47], è la istituzione di un Fondo sociale per il clima, da finanziare in parte dagli Stati membri e in parte dall’UE con i proventi degli ETS per mitigare, nei confronti delle microimprese e delle famiglie vulnerabili, gli effetti dell’aumento del prezzo dei combustibili fossili nei due nuovi settori dell’edilizia e del trasporto su strada che deriverebbe dalla revisione della Direttiva ETS[48].
Di queste complesse problematiche, che qui è solamente possibile accennare, l’UE si è data carico non solo con specifico riferimento alla tassazione dei prodotti energetici, ma anche in termini più generali.
Basti accennare alla Comunicazione della Commissione sulla Tassazione delle imprese per il XXI secolo[49] nella quale, nell’ambito di una generale revisione delle politiche fiscali in ambito UE, si mette in primo piano l’esigenza di una crescita equa e sostenibile, nell’ambito della quale “un regime fiscale a sostegno della transizione verde sarà uno strumento essenziale per conseguire gli obiettivi del Green Deal europeo”. Nel quadro generale, si raccomanda la revisione, in diminuzione, del livello della tassazione sul lavoro, tradizionalmente elevato in ambito UE e una adeguata applicazione del principio “chi inquina paga” mediante imposte ambientali efficienti, comunque “tenendo in debito conto tutti gli effetti sociali negativi”.
4. La tassazione dell’energia secondo il modello delle imposte ambientali.
Questo riferimento alle imposte ambientali conduce all’ultimo aspetto che intendo affrontare, che ci riporta al diritto interno e che è quello della trasformazione del presupposto delle accise che deriverebbe dall’attuazione della proposta di modifica della DTE.
Attualmente le accise sono considerate, per la dottrina prevalente, imposte sulla produzione e/o sul consumo del beni[50]. Il fattore ambientale, giustamente, non gioca alcun ruolo nella configurazione del presupposto in quanto – come si è già ampiamente rilevato – la tassazione dipende dalla qualità e quantità dei prodotti, non tenendo in alcun conto le relative caratteristiche in termini di emissioni inquinanti derivanti dall’utilizzo.
I termini della questione sarebbero destinati a mutare laddove la progettata riforma della DTE andasse in porto: ed infatti, dovrebbe ritenersi che, assumendosi ai fini della quantificazione delle accise dovute le caratteristiche inquinanti dei prodotti tassati, tali imposte si trasformino in veri e propri tributi ambientali[51]. Non tanto, probabilmente, secondo la classica distinzione, in tributi ambientali in senso stretto, quanto in tributi ambientali in senso lato: intendendosi i primi quelli che colpiscono unità fisiche di prodotto in funzione (esclusivamente) del contenuto pregiudizievole del prodotto stesso e/o del suo uso per l’ambiente e i secondi quelli che istituiscono o aggravano un prelievo per disincentivare una produzione, un’attività, l’impiego di un prodotto, dannosi per l’ambiente[52].
In particolare, fa propendere per la definizione di tributo ambientale in senso lato il fatto che la progettata riforma si innesta nell’alveo di un tributo che, come si è visto, ha un presupposto diverso da quello dei tributi ambientali in senso stretto, orientando a finalità ambientali il presupposto ma non – si ritiene – modificandolo radicalmente.
Nei tributi ambientali in senso lato, per le classiche teorie cui si è fatto cenno, la finalità ambientale resta dunque esterna al presupposto, secondo lo schema dei tributi di scopo: si tratta di un risultato sperato, comunque indotto dalla struttura e dalla misura dell’imposizione che è in grado di orientare le scelte di produttori e consumatori, ma niente di più. Del resto, anche se si guarda alla destinazione del gettito, essa è – come per tutti i tributi – al bilancio dell’ente impositore; bilancio che, in virtù dei principi costituzionali e contabili, non consente l’introduzione di vincoli a specifici impieghi. Con la conseguenza che è perfettamente legittimo (con un sostanziale depotenziamento del principio “chi inquina paga”) che il gettito non sia destinato a risanare i negativi effetti ambientali ricollegabili all’oggetto dell’imposta ambientale.
5. Conclusioni.
Non si può non osservare conclusivamente che la modifica degli artt. 9 e 41 Cost. con i neo introdotti riferimenti al valore della tutela ambientale anche nell’interesse delle future generazioni e alla sostenibilità ambientale delle attività produttive impone e favorisce un ripensamento anche delle finalità della potestà impositiva[53], incentivando, tra l’altro, proprio sostanziali modifiche di tributi esistenti a tutela dei valori ambientali e climatici, come quella di cui qui si discute, e probabilmente favorendo la “emersione” della finalità ambientale del tributo ad elemento costitutivo del presupposto. L’attenzione della Costituzione al tema costituisce senz’altro un incentivo al legislatore nazionale a muoversi con decisione – ma per ciò bisognerà probabilmente attendersi l’auspicata fine dell’attuale fase di crisi – verso una politica fiscale attenta alle ricadute ambientali, diretta non solo a disincentivare le produzioni e i consumi dannosi, ma anche a favorire quelli virtuosi.
In ciò esso trova senz’altro il supporto – necessario – delle politiche dell’UE; come si è visto anche nella limitata ottica dell’oggetto di questa relazione, le riflessioni e le iniziative sul tema sono vastissime. Tuttavia, per il momento, esse incontrano rilevanti ostacoli politici e conseguente difetto di consenso unanime. Nell’attesa che si faccia strada la consapevolezza che, nel quadro delle azioni comuni europee, iniziate con la lotta alla pandemia e proseguite, anche qui con moltissimi ostacoli, nei tentativi di dare una soluzione comune alla crisi energetica attraverso politiche tariffarie e approvvigionamenti condivisi, non può mancare una politica unitaria e condivisa per il bene comune globale per eccellenza, l’ambiente, che passa anche per un idoneo modello di tassazione dell’energia.
___________________________________
(*) Il presente articolo costituisce la riproduzione dell’articolo dell’Autrice La tassazione dell’energia, in Atti dei Convegni Lincei 348, Una nuova politica economica e tributaria per l’Unione Europea, Roma, 27 maggio 2022, Bardi Edizioni.
[1] A. Quadrio Curzio, Dinamica strutturale, risorse e materie prime, in Energia 2/2022, 8.
[2] A. Clò, La dipendenza italiana dal gas russo tra economia e politica, in Energia 2/2022, 28.
[3] Prima dello scoppio della guerra in Ucraina, nell’ottobre 2021, un documento della Commissione Europea (https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/fs_21_5213) sulla “Risposta all’aumento dei prezzi dell’energia” prevedeva una stabilizzazione dei prezzi entro aprile 2022.
[4] Comunicazione della Commissione UE COM (2022) 108 final “REPowerEU: azione europea comune per un’energia più sicura, più sostenibile e a prezzi più accessibili”.
[5] Gli aiuti riguardano più nel dettaglio: mobilità green, infrastrutture, economia circolare, riduzione dell’inquinamento, protezione e ripristino della biodiversità, sicurezza dell’approvvigionamento energetico.
[6] Ai sensi dell’art. 107, par. 3, lett. b), in considerazione del “grave turbamento dell’economia”: v. https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/STATEMENT_22_1949.
[7] Successivamente, a luglio 2022, sono state proposte dalla Commissione misure di potenziamento del piano di aiuti, anche con un aumento dei massimali.
[8] Per le quali invece – come si vedrà – coerentemente con gli obiettivi ambientali la proposta di rifusione della Direttiva sulla tassazione dell’energia ha previsto una riduzione delle misure fiscali di favore in materia di accise, la cui misura non potrà scendere sotto i minimi indicati dalla Direttiva (artt. 17-18).
[9] In questa situazione emergenziale si è realizzata la giusta fiscalizzazione di tali oneri, auspicata dall’ARERA in via permanente: si consenta sul punto il rinvio a Salvini, Oneri di sistema e tutela del consumatore, in Energia, 4/2018, 64.
[10] Su cui v. oltre.
[11] Seppur senza condizioni legate alla riduzione delle emissioni.
[12] Nel documento citato alla nota 3 la Commissione UE propone una serie di misure immediate per proteggere i consumatori e l’industria, quali i bonus sociali per il pagamento delle bollette energetiche che si suggerisce di finanziare con i proventi del sistema UE di scambio di quote di emissione (ETS), proroghe del pagamento delle bollette, applicazione temporanea alle famiglie vulnerabili di esenzioni dalle accise o di aliquote ridotte, misure di sostegno mirato alle industrie in conformità con la disciplina degli aiuti di Stato.
[13] O meglio, avrebbero dovuto esserlo, poiché il gettito si è attestato su una misura di molto inferiore alle attese, formalizzate nella Relazione tecnica.
[14] Il contributo italiano sugli extraprofitti, di natura fiscale, diverge invece radicalmente dalle proposte della Commissione per quanto attiene al criterio di determinazione dei profitti straordinari: in sede UE si raccomanda infatti l’adozione di un sistema puntuale di misurazione dell’incremento del margine di profitto, sistema del tutto estraneo alla misura italiana.
[15] Camera dei Deputati – Servizio Studi, Governance europea e nazionale su energia e clima, 16 dicembre 2021.
[16] La Direttiva è stata recepita in Italia dal d. lgs. n. 504/1995 (TUA – Testo Unico Accise).
[17] Senato della Repubblica, 2017.
[18] Intendendosi per tali i danni che ricadono sui terzi e, per quanto concerne nello specifico il citato documento, emissioni di gas serra, macroinquinanti, metalli pesanti, rumore dei trasporti.
[19] A fini statistici (Eurostat, ISTAT) le accise sui prodotti energetici e sui trasporti sono ricomprese tra i tributi ambientali, oltre alle altre imposte sui veicoli, alle tasse sul rumore e alle altre imposte su inquinamento e risorse naturali.
[20] In particolare, di ammoniaca prodotta dagli allevamenti e dall’uso di fertilizzanti.
[21] Il documento della Commissione Europea COM(2017) 63 final evidenzia come le misure fiscali, quali la tassazione ambientale e la rimozione dei sussidi ambientalmente dannosi, offrano un’effettiva ed efficace via per raggiungere gli obiettivi di policy ambientale.
[22] L’armonizzazione europea delle accise risponde tuttavia anche all’esigenza di non creare ostacoli fiscali alla circolazione dei prodotti e di assicurare – tendenzialmente – il rispetto del principio di concorrenza; sebbene anche l’attuale Direttiva garantisca agli Stati membri un certo spazio di manovra, gli Stati sono in linea generale restii a muoversi autonomamente.
[23] Il nuovo Comitato Interministeriale per la Transizione Ecologica, istituito dall’art. 4 d.l. n. 22/2021, ha stabilito di presentare al Ministero entro la metà del 2022 un piano di uscita dai SAD, in linea con il pacchetto Fit for 55. Il Decreto “Sostegni ter” (d.l. n. 4/2022, art. 18) ha previsto una prima, espressa “Riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi”, disponendo l’applicazione dell’aliquota normale di accisa ai prodotti energetici destinati ad alimentare le automotrici adibite all’uso pubblicistico del trasporto ferroviario e usi connessi (che fruiva di un’aliquota ridotta pari al 30% di quella normale) nonché utilizzati per la produzione di magnesio dall’acqua di mare (prima esente da accisa).
[24] Basti qui evidenziare come uno dei principali SAD sia costituito dall’aliquota IVA agevolata al 10% per le utenze elettriche domestiche. A fronte dell’applicazione dell’aliquota ordinaria anche a queste forniture si suggerisce naturalmente l’adozione di misure (del tipo del bonus elettrico) specificamente dirette ai soggetti meno abbienti. Tuttavia questo esempio basta a dimostrare la difficoltà di adottare misure fiscali ambientalmente orientate in una situazione congiunturale di prezzi fortemente crescenti, in cui i bonus hanno l’obiettivo più immediato di alleviare il costo della materia prima.
[25] Cfr. COM(2021)563 final. La proposta del 2021 giunge dopo che la revisione della Direttiva era stata avviata dalla Commissione UE già nel 2011; la relativa proposta, del 2015, non ha però positivamente concluso il suo iter. I lavori hanno avuto nuovo impulso con l’adozione del Green Deal.
[26] La Commissione UE, nel documento Ares(2020)1350088 sulla valutazione d’impatto della revisione della ETD, osserva che l’attuale Direttiva non è allineata, tra l’altro, al Sistema UE dello scambio delle note di emissione, alla Direttiva sulle Energie rinnovabili (Dir. 2018/2001/UE, c.d. RED II, anch’essa in fase di revisione) e a quella sulla Efficienza energetica (Dir. 2012/27/UE, c.d. EED II, modificata dalla Direttiva 2018/2002/UE). Si veda nello stesso senso l’approfondita analisi critica svolta dalla Commissione nella valutazione d’impatto SWD(2021)641 final.
[27] V. per maggiori dettagli sul contenuto della proposta, Comelli, La tassazione ambientale, nella prospettiva europea, oltre la crisi economica e sanitaria innescata dal COVID-19, in Dir. Prat. Trib., 2022, 791 ss.
[28] Si noti, al riguardo, che benché tradizionalmente si consideri a tal fine la spesa per il riscaldamento – seppur tenendo presenti le ovvie differenze tra Paesi UE – l’anomalo andamento climatico degli ultimi anni, ed in specie del 2022, con l’innalzamento delle temperature, mette l’accento anche sulla domanda di energia e la conseguente spesa per il raffrescamento. Si rinvia, per uno studio sulla domanda di energia delle famiglie anche con riferimento ai cambiamenti climatici e per la relativa elasticità, nella prospettiva della introduzione di una carbon tax, a Faiella – Lavecchia, Households’ energy demand and the effects of carbon pricing in Italy, in Questioni di Economia e Finanza, Occasional Papers, Banca d’Italia, aprile 2021.
[29] N. 9874/22 dell’8/6/2022.
[30] Ares(2020)1350037.
[31] COM(2021) 564 final.
[32] Nell’UE, il prezzo del carbonio per i settori industriali ad alta intensità energetica è determinato dal mercato attraverso il sistema ETS che si basa sul principio “cap and trade“, secondo il quale viene fissato un massimale alla quantità totale di alcuni gas a effetto serra che possono essere emessi dagli impianti che rientrano nel sistema, massimale che si riduce nel tempo in modo da ridurre gradualmente le emissioni totali. Entro questo massimale, le imprese ricevono o acquistano quote di emissioni che possono scambiare tra loro secondo necessità. La limitazione del numero totale di quote scambiabili garantisce, naturalmente, che dette quote abbiano effettivamente un valore di mercato. Alla fine di ogni anno le imprese devono restituire un numero di quote sufficiente a coprire le loro emissioni. Se un’impresa riduce le proprie emissioni, può mantenere le quote inutilizzate per coprire il fabbisogno futuro, oppure venderle a un’altra impresa che non ne abbia a disposizione.
[33] Difatti una delle opzioni alternative considerate nella relazione alla proposta di Regolamento per l’applicazione del CBAM è un’accisa sui materiali ad alta intensità di carbonio.
[34] Secondo la proposta di Regolamento COM(2021) 568 final, adottata nell’ambito del Green Deal, anche i proventi degli ETS dovrebbero finanziare il Fondo sociale per il clima, su cui si tornerà oltre.
[35] Doc. 7226/22 del 15 marzo 2022.
[36] https://www.reuters.com/business/sustainable-business/china-says-ecs-carbon-border-tax-is-expanding-climate-issues-trade-2021-07-26/
[37] Rientrano, secondo l’art. 192 cit., nell’ambito delle materie sulle quali l’UE può legiferare con la procedura ordinaria a maggioranza qualificata le misure ambientali, incluse quelle di natura fiscale. La Commissione – nella Comunicazione citata alla nota successiva – osserva che l’art. 192, par. 2, “contiene una clausola “passerella” specifica, destinata a misure nel settore ambientale attualmente subordinate al voto all’unanimità, comprese disposizioni “aventi principalmente natura fiscale”. Questa possibilità è rilevante in particolare per la lotta contro i cambiamenti climatici e per realizzare gli obiettivi di politica ambientale. Al fine di passare alla procedura legislativa ordinaria per le misure fiscali in questo settore il Consiglio deve decidere all’unanimità in tal senso, in base a una proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni”.
[38] Comunicazione “Verso un processo decisionale più efficiente e democratico nella politica fiscale dell’UE” COM (2019) 8 final.
[39] La prima fase dovrebbe riguardare la lotta comune contro le frodi, evasioni ed elusioni.
[40] Comunicazione “Un processo decisionale più efficiente e democratico nella politica in materia di energia e di clima dell’UE” COM (2019) 177 final.
[41] Come si è accennato, la proposta DTE prevede (art. 17, lett. c) una riduzione mirata della tassazione dei prodotti energetici utilizzati dalle famiglie per il riscaldamento e l’elettricità. In questo caso i livelli minimi di tassazione partono da zero ed aumentano ogni anno di un decimo delle aliquote minime ordinarie.
[42] Commissione UE SWD(2021)641 final. Naturalmente tali stime non tenevano conto della ulteriore riduzione del gettito delle accise a seguito delle misure adottate per fare fronte all’attuale crisi energetica.
[43] Questi aspetti vengono specificamente esaminati dal Comitato economico e sociale europeo (EESC) nel documento 2022/C 194/13 nel quale raccomanda, tra l’altro, di prevedere in sede di riforma delle aliquote minime differenziate per imprese e famiglie.
[44] È ben noto, al riguardo, il problema della povertà energetica per le fasce di popolazione economicamente più deboli, sia per la difficoltà di sostenere le spese (nuovi impianti, nuovi elettrodomestici, ristrutturazioni, ecc.) finalizzate al risparmio energetico, sia per fattori socio-culturali. Cfr. Supino – Voltaggio, La povertà energetica, Bologna 2019. Sul collegamento tra riforma della DTE e precarietà energetica nonché sui relativi rischi e possibili rimedi, v. il documento EESC citato alla nota precedente. V. inoltre la Raccomandazione UE 2020/1563 sulla povertà energetica. È possibile ipotizzare che, in Italia, un contributo al superamento di tali problemi sia dato con i bonus fiscali per le ristrutturazioni edilizie ed il superbonus, dei quali viene peraltro da più parti ancora una volta sottolineata la natura regressiva.
[45] Che dovrebbe accompagnarsi all’incremento delle attività produttive nell’economia green, generando il c.d. “doppio dividendo occupazionale”. Sul tema, tra gli altri, De Santis – Jona Lasinio, Regolamentazione ambientale, innovazione e produttività nei paesi EU: esiste un doppio dividendo? Giornate della Ricerca in ISTAT, 2014.
[46] COM(2021) 563 final. V. anche SWD(2021)641.
[47] COM(2021) 568 final.
[48] Dir. 2003/87/CE.
[49] Com(2021) 251 final.
[50] La tesi prevalente è che il presupposto delle accise sia costituito da una fattispecie complessa, comprendente la produzione e l’immissione in consumo: v. per tutti Verrigni, Contributo allo studio delle accise, Pescara 2012, 95 ss., ove ampie citazioni. Alcuni ravvisano invece il presupposto nella sola immissione al consumo: Cipolla, Presupposto, funzione economica e soggetti passivi delle accise nelle cessioni di oli minerali ad intermediari commerciali, in Rass. Trib. 2003, 1859.
[51] Esse sono già qualificate come tali ai fini statistici da ISTAT e EUROSTAT.
[52] La letteratura sui tributi ambientali è vastissima e quindi si ricordano qui uno degli studi più risalenti ed uno più recente, per una visione complessiva del tema: Gallo – Marchetti, La tassazione ambientale, in Rass. Trib., 1999, 115; Uricchio, I tributi ambientali e la fiscalità circolare, in Dir. Prat. Trib. 2017, 1850.
[53] V. Ficari, Le modifiche costituzionali e l’ambiente come valore costituzionale: la prima pietra di una “fiscalità” ambientale, in corso di pubblicazione su Riv. Trim. Dir. Trib..