L’analisi della disciplina delle c.d. “agroenergie” e del loro regime di tassazione è già stata effettuata in un precedente articolo su questo sito [1] (a cui si rimanda integralmente per una descrizione più approfondita delle norme di legge e degli interventi di prassi che regolano la materia). In questo contributo, quindi, dopo una breve premessa in cui verrà ribadita la nozione di agroenergie, si analizzeranno alcune peculiarità del loro regime di tassazione derivanti dagli interventi normativi contenuti nel decreto legge 30 marzo 2023, n. 34 (c.d. “decreto bollette”), convertito con la legge 26 maggio 2023, n. 56.

Andando con ordine, preme precisare fin da subito che le cosiddette agroenergie sono sostanzialmente rappresentate dalle attività di produzione e cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche.

Ai sensi dell’art. 1, comma 423, della L. n. 266/2005 e dei successivi interventi di prassi che hanno interpretato la norma appena richiamata, queste attività sono considerate attività connesse a quelle tipiche dell’imprenditore agricolo di cui all’art. 2135, primo comma, cod. civ. [2], e si considerano produttive di reddito agrario determinato su base catastale ex art. 32 del TUIR, se mantenute entro precisi limiti annuali [3]. All’opposto, la produzione eccedente le soglie normativamente previste genera reddito d’impresa da determinarsi forfetariamente, e segnatamente, applicando un coefficiente di redditività del 25% all’ammontare dei corrispettivi delle operazioni soggette a registrazione agli effetti dell’IVA, relativamente alla componente riconducibile alla valorizzazione dell’energia ceduta.

Inoltre, al fine di stabilire se l’attività rientra nei predetti limiti quantitativi e può essere quindi soggetta al regime di tassazione agevolata, come chiarito dall’amministrazione finanziaria [4], occorre anche verificare l’effettiva sussistenza, ai sensi dell’art. 2135 cod. civ., della connessione dell’attività di produzione e cessione di energia a quella agricola principale. In particolare, in relazione alla produzione di energia da fonti agroforestali è richiesto il requisito della prevalenza (soddisfatto quando i prodotti utilizzati per la produzione di energia, ottenuti direttamente dall’attività agricola svolta nel fondo, risultano di quantità superiore a quelli acquistati da terzi) e per la produzione di energia da fonti fotovoltaiche occorre che essa non abbia assunto per dimensione, organizzazione di capitali e risorse umane, la connotazione di attività principale [5].

In questo quadro interpretativo, il recente decreto n. 34/2023, al fine di contenere gli effetti dell’aumento dei costi energetici anche per le imprese agricole che producono agroenergie, ha fissato, all’art. 6, criteri specifici per la valorizzazione dell’energia ceduta. Nello specifico, in deroga all’art. 1 comma 423, della L. 266/2005, è previsto che

Per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2022, ai fini della determinazione del reddito relativo alla produzione di energia oltre i limiti fissati dal primo periodo del comma 423 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, per i soggetti indicati dal secondo periodo del medesimo comma la componente riconducibile alla valorizzazione dell’energia ceduta, con esclusione della quota incentivo, è data dal minor valore tra il prezzo medio di cessione dell’energia elettrica, determinato dall’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente in attuazione dell’articolo 19 del decreto del Ministro dello sviluppo economico 6 luglio 2012, pubblicato nel supplemento ordinario n. 143 alla Gazzetta Ufficiale n. 159 del 10 luglio 2012 (3), e il valore di 120 euro/MWh”.

In altri termini, per il solo periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2022, è previsto che, ai fini della determinazione del reddito oltre le soglie massime, la componente riconducibile alla valorizzazione dell’energia ceduta (con esclusione della quota incentivo), cui viene applicato il coefficiente di redditività del 25%, è data dal minor valore tra i) il prezzo medio di cessione dell’energia elettrica, determinato dall’ARERA ex art. 19 del DM 6 luglio 2012 e ii) e il valore di 120 euro/MWh. Ai fini della tassazione dei redditi oltre soglia, pertanto, il valore della componente energia non può superare il limite di 120 euro/MWh (ossia, se minore, il prezzo medio applicato nel 2021).

A ben vedere, il menzionato art. 6, nel definire i criteri di tassazione forfetaria del reddito, richiama espressamente l’art. 19 del DM 6 luglio 2012 che definisce i criteri di incentivazione per la produzione di energie da fonti rinnovabili elettriche non fotovoltaiche (quali, idroelettrico, geotermico, eolico, biomasse e biogas) e sembra, per questo, fare specifico riferimento al solo reddito da produzione e cessione di energia elettrica da fonte agroforestale. La specifica attenzione verso il biogas, tra le varie fonti energetiche, parrebbe del resto trovare anche conferma nella Relazione tecnica ove, per stimare gli oneri derivanti dall’applicazione della norma, si prendono in considerazione proprio gli impianti di biogas.

Ciò nonostante, un’interpretazione della menzionata disposizione sistematica e coerente con la volontà del legislatore, che sembra voler fare riferimento alla tassazione delle “agroenergie” intese complessivamente, lascia suppore che il criterio di valorizzazione dei corrispettivi previsto dall’art. 6 sia valido per i redditi derivanti sia da fonte agroforestale che da fonte fotovoltaica. In questo senso depone la rubrica dell’art. 6 (relativo appunto alla “tassazione delle agroenergie”) e il richiamo all’art.1, comma 423, della L. n. 266/2005, riferibile ad entrambe le fonti reddituali. In aggiunta, vale considerare che anche la relazione illustrativa al d.l. n. 34/2023 pare qualificare l’art. 6 quale deroga alla disciplina ordinaria dettata sia per le fonti agroforestali che per quelle fotovoltaiche.

Sotto un altro profilo, invece, merita un cenno il fatto che la formulazione normativa dell’art. 6, D.L. n. 34/2023, conferma, indirettamente, l’assoggettabilità a tassazione, ordinaria o agevolata, della sola quota prezzo, con la conseguente esclusione della quota incentivo. La precisazione, che dovrebbe valere in generale per la tassazione delle agroenergie e non solo per l’applicazione dell’agevolazione in commento, è meritevole di apprezzamento giacché risolve un dubbio interpretativo che si era posto nella definizione del campo operativo della norma e che aveva già destato l’attenzione dei Giudici di merito [6].

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[1] Segnatamente si fa riferimento all’art. del 13 ottobre 2022 dal titolo “Agroenergie e fotovoltaico: quando la produzione di energia è attività agricola “connessa” ex art. 2135 c.c.”.

[2] Ai sensi dell’art. 2135, comma 3, cod. civ., le cosiddette attività “connesse” sono da intendersi come quelle “esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.

[3] Le soglie entro le quali devono mantenersi le agroenergie per potersi qualificare come reddito agrario sono state definite dalla legge di stabilità per il 2016, secondo cui è prevista una soglia di esenzione, per il fotovoltaico, fino a 260.000 kwh, e per la biomassa, fino a 2.400.000 Kwh. Oltre le predette soglie si procede con tassazione forfetaria.

[4] Così circ. Agenzia delle Entrate 6 luglio 2009, n. 32; ris. Agenzia delle Entrate 18 luglio 2016, n. 54 e ris. Agenzia delle Entrate 27 ottobre 2016, n. 98.

[5] Cfr. ris. Agenzia delle Entrate 15 ottobre 2015, n. 86.

[6] Cfr. CTP Pavia, sent. del 3 novembre 2020, n. 403/1/20.

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