Superbonus e condizioni per fruirne: quando la costituzione del condominio prima dell’inizio dei lavori configura un’ipotesi di abuso del diritto
Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Trieste, sentenza n. 81/2023 dell'11 aprile 2023
Attraverso la sentenza n. 81/01/2023 dell’11 aprile 2023, la Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado di Trieste, sezione n. 1, ha ritenuto che la costituzione di un condominio – di fatto, non sussistente nella sostanza – da parte di una società di capitali proprietaria di un intero edificio composto da più unità immobiliari prima dell’inizio dei lavori di ristrutturazione del medesimo e al solo scopo di poter accedere all’agevolazione Superbonus 110% ex art. 121 del D.L. n. 34/2020, altrimenti non spettante, configura un’ipotesi di abuso del diritto ai sensi dell’art. 10-bis della L. 212/2000.
Tale precedente giurisprudenziale si impone decisamente nell’attuale panorama delle disposizioni fiscali previste nel settore dell’edilizia e merita le dovute riflessioni non solo nella misura in cui offre un esempio delle prime vere e proprie ipotesi applicative dei controlli attualmente svolti dall’Agenzia delle Entrate circa la spettanza dei benefici connessi agli interventi agevolati, ma anche – e soprattutto – perché rappresenta uno dei primi “banchi di prova” per le Corti di Giustizia Tributaria, chiamate ad esaminare e valutare nel merito in sede giudiziale eventuali fattispecie connesse alla disciplina del Superbonus.
La portata della pronuncia qui in commento assume, poi, connotati ancora più rilevanti se, come avviene nel caso di specie, per dirimere le eventuali controversie sorte nell’ambito di una materia così nuova ed intricata come quella delle agevolazioni Superbonus i Collegi si riportano a noti concetti giuridici di carattere generale come quello, appunto, dell’abuso del diritto, delicato istituto che per la sua complessità richiede di essere invocato ed applicato con la dovuta attenzione.
Ma andando per gradi e procedendo con ordine, per meglio comprendere i contenuti della sentenza triestina appare sicuramente utile inquadrare, in via preliminare, la fattispecie controversa da cui la decisione muove le proprie premesse.
L’immobile oggetto degli interventi fiscalmente agevolati, nello specifico finalizzati alla riduzione del rischio sismico, è un edificio descritto come “disabitato e in pessime condizioni”, che una società di ristrutturazione immobiliare – vera protagonista dell’operazione fiscale controversa – si era impegnata ad acquistare nella sua interezza con due distinti contratti preliminari, originariamente stipulati con le promissarie venditrici.
Tuttavia – e qui si delinea già un primo elemento indiziario ritenuto dall’Amministrazione Finanziaria un “profilo di rischio” dell’operazione in questione – un solo giorno dopo la stipula i predetti preliminari venivano ceduti dalla società di ristrutturazione promissaria acquirente ad una serie di soggetti strettamente collegati in qualità di affini con l’architetto amministratore delegato e titolare stessa, ossia alla moglie, alla suocera e alla madre dello stesso. Queste ultime, quindi, acquistavano così separatamente le nove unità immobiliari componenti l’edificio e procedevano subito alla costituzione di un condominio.
In questo modo veniva a formarsi, pertanto, sulle relative parti comuni dell’edificio quella proprietà condominiale che consentiva formalmente di rientrare nel novero dei soggetti che potevano beneficiare del Superbonus sulle spese sostenute per i lavori di ristrutturazione in fase di avviamento, poi affidati alla società immobiliare del loro congiunto.
Quest’ultima – la cui compagine sociale, peraltro, risultava composta dagli stessi soggetti sopra menzionati e tra loro affini secondo diverse quote percentuali – veniva, poi, regolarmente incaricata dal condominio di eseguire sullo stabile le opere di adeguamento antisismico e si era resa, peraltro, cessionaria del credito esposto nella comunicazione poi inviata dall’amministratore del condominio.
A completare il quadro dei possibili profili di rischio rilevati dall’Ufficio vi era quindi poi la circostanza che il soggetto beneficiario del credito – ossia l’architetto legale rappresentate della società di ristrutturazione nonché “asseveratore” – e l’impresa appaltatrice risultavano tra di loro evidentemente collegati da vincoli familiari.
Venendo ora ai controlli svolti dall’Amministrazione Finanziaria, avviati i lavori per la riduzione del rischio sismico sull’immobile e una volta raggiunta la percentuale di avanzamento lavori come da normativa sul Superbonus 110%, il condominio inviava all’Agenzia delle Entrate una prima comunicazione dell’opzione ex art. 121 del D.L. n. 34 del 2020, che veniva accettata senza alcuna obiezione da parte dell’Ufficio.
Esito del tutto diverso, invece, aveva l’invio della seconda comunicazione al raggiungimento del SAL al 60%, i cui effetti venivano sospesi dall’Agenzia delle Entrate per analizzarne la regolarità. A tale proposito, la pronuncia qui in esame offre una digressione di natura descrittiva particolarmente utile per spiegare l’attuale meccanismo delle verifiche introdotte dal legislatore nel meccanismo del Superbonus.
Viene infatti precisato nella sentenza come tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022 siano stati rafforzati i controlli preventivi tramite lo sviluppo di procedure automatizzate con appositi software e lo sviluppo di specifici algoritmi, in grado di intercettare eventuali anomalie. In quest’ottica, l’art. 1 della L. n. 234/2021 ha novellato l’art. 122-bis del D.L. n. 34/2020, prevedendo la possibilità di sospensione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, degli effetti di quelle comunicazioni di cessione del credito, anche successive alla prima, che presentino profili di rischio.
Ebbene, nel caso in esame, analizzata la fattispecie sopra descritta per valutarne la regolarità e rilevati i profili di rischio ad essa connessi così come evidenziati, l’Ufficio confermava il blocco già disposto a livello centrale ed emetteva il provvedimento di annullamento della comunicazione di cui all’art. 121 del D.L. n. 34/2020 impugnato, poi, in sede giudiziale dal condominio in questione in persona del suo amministratore pro tempore, dando origine, così, alla controversia oggetto della decisione di merito qui commentata.
Ciò premesso, ad avviso di chi scrive le argomentazioni dedotte dall’Ufficio, da un lato, e dalla ricorrente, dall’altro lato, mettono bene in evidenza uno dei principali temi connessi al concetto di abuso del diritto, ossia il rapporto di prevalenza tra la forma e la sostanza delle operazioni fiscali sospette, da sempre al centro dell’attenzione nelle indagini condotte per qualificare o meno come potenzialmente elusiva una determinata fattispecie.
Partendo innanzitutto dal punto di vista dell’Ufficio – che con tutta evidenza dimostra di prediligere un approccio di natura sostanziale nell’esame della condotta potenzialmente abusiva, guardando al vero scopo delle operazioni fiscali poste in essere – nel rigetto della richiesta di autotutela proposta dalla ricorrente l’Agenzia delle Entrate precisa come “l’intestazione dell’immobile a persone fisiche fosse un escamotage per fruire del bonus non spettanti all’impresa appaltatrice nel caso di acquisto diretto dell’immobile e sua successiva ristrutturazione”.
Appariva, infatti, evidente ad avviso dell’Amministrazione che la Società, anziché acquisire direttamente l’immobile e procedere alla sua ristrutturazione e risanamento conservativo per la successiva rivendita – circostanza che non avrebbe consentito la fruizione di Superbonus 110% – avrebbe, piuttosto, ideato le operazioni sopra descritte al solo fine di accedere al beneficio altrimenti precluso, facendo, di fatto, “acquistare l’immobile ai suoi familiari i quali avrebbero costituito il condominio e affidato i lavori per gli interventi alla società” .
Comprensibili le repliche mosse dal condominio alle supposizioni dell’Ufficio, prevedibilmente orientate, invece, ad evidenziare la piena regolarità dal punto di vista formale delle operazioni realizzate.
Due, sostanzialmente, i capisaldi su cui il condominio fonda le proprie difese.
- Innanzitutto, dal punto di vista prettamente “civilistico” la parte ricorrente evidenzia come l’esistenza di un condominio, regolarmente formatosi ai sensi dell’ 1117 c.c. e ai fini del riconoscimento dei benefici fiscali di cui agli artt. 119 e seguenti del D.L. n. 34/2020, sia, nel caso di specie, un dato inconfutabile che non può essere posto in discussione. Lo stesso, infatti, risulta composto da parti comuni nonché da accessori destinati all’uso comune (come gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento, ecc.) ed è, inoltre, caratterizzato dalla presenza più unità immobiliari.
Sulla base di tale premessa, risultavano quindi pienamente integrati tanto i requisiti oggettivi che soggettivi richiesti dalla menzionata disposizione codicistica, attesa la sussistenza di una proprietà condominiale, come documentato dal piano di frazionamento in condominio approvato dalla stessa Agenzia delle Entrate, nonché la riconducibilità della proprietà ad almeno due soggetti, in forza del contratto di compravendita stipulato.
- Dal punto di vista, invece, più strettamente fiscale, era difesa dal condominio la corretta applicazione dell’art. 119 e seguenti D.L. n. 34/2021, sul presupposto che la spettanza del bonus non avrebbe in ogni caso potuto essere negata nei confronti delle società di capitali alla luce dei chiarimenti forniti dalla nota Circolare dell’Agenzia delle Entrate 8 agosto 2020 n. 24. Secondo tale documento di prassi, infatti, i soggetti titolari di reddito d’impresa e gli esercenti arti e professioni possono fruire del Superbonus in relazione alle spese sostenute per interventi realizzati sulle parti comuni degli edifici in condominio, qualora gli stessi partecipino alla ripartizione delle predette spese in qualità di condomini.
In tal caso, la detrazione spetta, in relazione agli interventi riguardanti le parti comuni, a prescindere dalla circostanza che gli immobili posseduti o detenuti dai predetti soggetti siano immobili strumentali alle attività di impresa o arti e professioni, ovvero unità immobiliari che costituiscono l’oggetto delle attività stesse, ovvero ancora, infine, beni patrimoniali appartenenti all’impresa. Il beneficio fiscale, infatti, risulta fruibile anche da parte di soggetti titolari di reddito di impresa qualora gli stessi siano condomini, al pari delle persone fisiche, all’interno di un condominio, come tali chiamati a partecipare alla ripartizione delle spese riguardanti le parti comuni.
Nel contesto appena descritto una precisazione si rende necessaria: con la conferma della sospensione della comunicazione di cessione del credito l’Amministrazione non ha inteso impedire la fruizione del beneficio fiscale devirante dal Superbonus, ma ha, nello specifico, solo inibito la facoltà di cessione del credito corrispondente alla detrazione qualora sia dimostrata nel caso di specie la sussistenza di concreti profili di rischio. Ciò significa, quindi, che oggetto del sindacato di merito non è la spettanza dell’agevolazione in sé, la quale richiederebbe, piuttosto, una verifica ben più approfondita ed orientata a monitorare anche nel tempo la condotta dei condòmini, osservando se questi ultimi continuino o meno a possedere le unità immobiliari ristrutturate mantenendo inalterata la soggettività di tipo condominiale.
Ciò posto – e venendo, ora, ai contenuti decisivi della sentenza qui in esame – prima ancora di esprimere le proprie argomentazioni la Corte offre un chiarimento rilevante ai fini processuali con riferimento alla impugnabilità o meno dell’atto da cui la presente controversia trae origine. Viene infatti affermato che, sebbene il provvedimento in oggetto non sia elencato tra quelli espressamente indicati dall’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, attraverso lo stesso l’Amministrazione Finanziaria va, nella sostanza, a vietare la possibilità di cessione del credito, che è una delle forme attraverso per mezzo delle quali il contribuente può fruire dello sconto fiscale previsto dalla norma agevolatrice. In altre parole, quindi, è come se il provvedimento di blocco della comunicazione si traducesse in un diniego del beneficio previsto, che come tale può essere oggetto di ricorso dinnanzi le Corti di Giustizia Tributaria.
Nel merito, senza usare mezzi termini la Corte di Giustizia Tributaria di Trieste ritiene evidente sulla base degli accertamenti svolti dall’Amministrazione finanziaria che la società di ristrutturazione fosse l’effettiva acquirente e proprietaria dell’immobile, a sua volta intestato ad altri soggetti – tutti parenti dell’architetto legale rappresentate e amministratore delegato della stessa – esclusivamente al solo fine di costituire
“un formale ma fasullo condominio e quindi, in ultima analisi, costituire un escamotage per aggirare il divieto, previsto dalla legge agevolativa, di riconoscere il beneficio all’impresa appaltatrice nel caso di acquisto diretto dell’immobile e sua successiva ristrutturazione”.
Da tale circostanza risulterebbe, quindi, inequivocabilmente che “l’impresa acquirente ed appaltatrice dei lavori, con le varie cessioni e compravendite, ha avuto il solo scopo di simulare la costituzione di un condominio in modo da poter accedere non solo al “Superbonus 110%” ma, utilizzando la modalità di cessione del credito, realizzare la completa ristrutturazione di un immobile, acquistato in stato fatiscente ed inagibile, a totale spese dello Stato”.
Uno dei passaggi salienti della pronuncia qui in commento attiene, ad avviso di chi scrive, al particolare “adattamento” della nozione civilistica di condominio di cui all’art. 1117 c.c. alla materia del Superbonus che attraverso le proprie parole la Corte di Giustizia sembrerebbe voler proporre, laddove viene affermato che il legislatore ha, si, concesso il beneficio fiscale in questione ai condomini, ma sul presupposto della loro reale esistenza e con riferimento a parti comuni agibili, nel caso di specie escluse dalle pessime condizioni dell’edificio, disabitato e in via di ristrutturazione.
Sul punto, come si è detto, il concetto di condominio viene, per così dire, rivisitato nel contesto dei benefici connessi alle agevolazioni edilizie, laddove si afferma che
“sebbene la L. n. 34 del 2020 non abbia espressamente indicato i termini del concetto di condominio, non può non applicarsi un concetto estremamente rigoroso vertendosi in materia di benefici fiscali. Pertanto, non può condividersi la tesi avanzata dalla difesa del contribuente che ritiene sussistente, nel caso di specie, fin dal maggio 2022 sia il presupposto oggettivo che quello soggettivo richiesti per l’esistenza di un condominio ai sensi dell’art. 1117 c.c., poiché il concetto di condominio deve necessariamente, in questo caso, traguardarsi con la volontà del legislatore che ha chiaramente delimitato i contorni del beneficio fiscale”.
Pur ammettendo, quindi, la fruibilità del beneficio fiscale anche da parte di soggetti titolari di reddito di impresa nel caso in cui gli stessi siano anche condomini e siano chiamati a partecipare alla ripartizione delle spese riguardanti le parti comuni, è come se, nel caso di specie, pur essendo presenti tutte le caratteristiche formali e civilistiche di un condominio la Corte non ravvisasse, in concreto, nella sua costituzione la ratio sottesa alla concessione delle agevolazioni fiscali.
Ecco quindi che ci si troverebbe di fronte a quello che per il Collegio rappresenterebbe un chiaro esempio di elusione fiscale per abuso del diritto, presagito e preannunciato nelle parole della Corte da quella che viene considerata una vera e propria simulazione della costituzione di condominio.
Si arriva, così, ad introdurre – forse pericolosamente – per la prima volta nel panorama delle agevolazioni fiscali connesse agli interventi Superbonus un concetto giuridico dalla portata deflagrante come quello di abuso del diritto, istituto originariamente di matrice giurisprudenziale che ha trovato, poi, la sua definitiva disciplina e pieno riconoscimento normativo nell’art. 10-bis dello Statuto del contribuente.
Ai sensi della menzionata norma, giova ribadirlo per completezza, “Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.
Ai fini del comma 1 si considerano:
a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato;
b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario”.
Stando al tenore letterale della norma, l’abuso del diritto, quindi, sarebbe così “configurabile ogni qualvolta il contribuente ricorre ad una condotta tortuosa, ponendo in essere atti negoziali non lineari, anche tra loro correlati, che legittimano lo stesso all’ottenimento di vantaggi fiscali indebiti, i quali vengono ottenuti in contrasto con la finalità della norma e con i principi dell’ordinamento tributario, cercando dunque di aggirare le stesse”.
Ma v’è di più.
Poste queste considerazioni di carattere generale, la Corte sembra spingersi oltre, laddove vorrebbe sostenere che la modifica dell’art. 122-bis del D.L. n. 34/2020 – e, quindi, l’introduzione di controlli preventivi da parte dell’Amministrazione Finanziaria sulla cessione dei crediti fiscali in base alle risultanze delle banche dati – avrebbe come obiettivo proprio quello di “evitare aggiramenti della normativa agevolativa”, con conseguente legittima emissione dei provvedimenti di sospensione in presenza di eventuali anomalie che risultino riscontrabili.
Ora, appare evidente come la pronuncia esaminata offra molteplici spunti di riflessione e sia ricca di concetti rilevanti che, per essere esaustivamente trattati, richiederebbero un individuale approfondimento non sviluppabile in questa sede.
Tra questi, in primis, il concetto di abuso del diritto, protagonista di innumerevoli pagine di diritto scritte tanto dalla giurisprudenza quanto dalla dottrina che, ripetutamente, sono intervenute per individuarne in concreto i contenuti e le ipotesi applicative prima che l’istituto trovasse una copertura normativa.
Appare, forse, più logico in questo contesto circoscrivere il campo di indagine e domandarsi quali effetti la sentenza qui in commento sia destinata a produrre nel panorama delle agevolazioni connesse al Superbonus, nell’ambito del quale – per la prima volta – l’istituto dell’abuso del diritto fa il suo ingresso e viene associato ad una condotta propedeutica a creare le condizioni necessarie per poter legittimamente fruire del beneficio, proprio come la costituzione del condominio.
Pur essendo stata la sentenza in oggetto debitamente contestualizzata, il rischio che tale precedente potrebbe comportare è, in generale, quello di aprire la strada ad un sindacato all’Amministrazione Finanziaria sulla legittimità o meno di scelte soggettive anche di natura infra-familiare, ogni qualvolta si verifichi l’insorgenza di entità condominiali poco prima – o a ridosso – dell’inizio dei lavori che siano idonee a comportare l’accesso al Superbonus di cui all’art. 119 del DL 34/2020. Così facendo, quindi, il pericolo che si corre è quello di camminare su un terreno farraginoso, dove al centro dell’indagine vi sarebbero dinamiche individuali difficilmente valutabili secondo un parametro oggettivo.
Tale risvolto della pronuncia qui in esame, tuttavia, merita di essere notevolmente ridimensionato non solo perchè le argomentazioni esaminate sono state rese da una mera sentenza di primo grado, ma anche in considerazione del fatto che, oggettivamente, nella fattispecie sottoposta al vaglio del Collegio i profili di rischio rilevati fossero a dir poco lampanti ed evidenti.
Ci si riferisce, a titolo esemplificativo, alla contestualità e alla tempistica con cui i contratti di compravendita sono stati stipulati, alla formazione della compagine sociale che caratterizzava la società di ristrutturazione e ai rapporti di parentela intercorrenti fra i soggetti coinvolti, tutti elementi macroscopici che, se sommati, ben ragionevolmente potevano prestare il fianco a legittimi sospetti di abuso.
Nell’attesa che in tema di Superbonus intervengano future ed eventuali pronunce di analogo tenore, volte ad esaminare la ratio sottesa alla costituzione di una proprietà condominiale, appare opportuno segnalare in questa sede come il precedente in esame sia strettamente correlato – anche in termini cronologici – ad un intervento della Corte di Cassazione di poco precedente, datato 5 aprile 2023, avente ad oggetto sempre profili connessi alla figura del condominio.
Con l’ordinanza n. 9388/2023 pronunciata il 30 marzo 2023 e depositata, appunto, sei giorni prima della pubblicazione della decisione triestina, la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata in ordine all’approvazione di lavori straordinari o innovazioni condominiali senza la costituzione del fondo speciale previsto dall’art. 1135, comma 1, n. 4), c.c..
A tale proposito, la Cassazione – riportandosi a quel filone della giurisprudenza di merito che ha interpretato in maniera molto restrittiva il nuovo adempimento richiesto dall’art. 1135 c.c. – ha stabilito, appunto, che l’approvazione di lavori straordinari o innovazioni senza la costituzione di un fondo speciale rende nulla la delibera assembleare, andando così a sanzionare con la caducazione dei suoi effetti fin dall’origine la deliberazione che si sia limitata a disporre i lavori nel condominio senza garantire un preventivo stanziamento delle somme necessarie per realizzarlo.
La controversia trae origine dall’opposizione di un condòmino avverso il decreto ingiuntivo notificatogli dal condominio per il mancato pagamento delle spese condominiali relative alla manutenzione straordinaria delle facciate dei balconi. Il tribunale adito, in sede di appello, aveva sancito la nullità della deliberazione assembleare che aveva approvato i lavori evidenziando come, nel caso concreto, pur trattandosi di opere di manutenzione straordinaria non si fosse provveduto alla costituzione del fondo speciale di cui all’art. 1135, comma 1, n. 4, c.c..
Tale impostazione trova conferma da parte della Corte, per la quale la delibera condominiale di approvazione della spesa costituisce, di base, titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condomino a pagare le somme nel processo oppositorio. Condizione per la sua validità è, però, ai sensi dell’art. 1135, comma 1, n. 4 “l’allestimento anticipato del fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori, ovvero la costituzione progressiva di un fondo per i pagamenti man mano dovuti, in base a un contratto, correlati alla contabilizzazione dell’avanzamento dei lavori”
Ciò in quanto alla norma in esame viene attribuita una funzione di natura garantista, essendo volta a tutelare non solo l’interesse collettivo al corretto funzionamento della gestione condominiale, ma anche l’interesse del singolo condomino a veder scongiurato il rischio di dover personalmente garantire nei confronti del terzo creditore il pagamento dovuto dai morosi.
Secondo la Corte, quindi,
“Una deliberazione maggioritaria dell’assemblea non può, pertanto, avere un contenuto contrario 1135, comma 1, n. 4, e.e., decidendo di soprassedere dall’allestimento del fondo stesso, o a modificarne le modalità di costituzione stabilite dalla legge, pur ove abbia ricevuto il consenso dell’appaltatore, in quanto potenzialmente pregiudizievole per ciascuno dei partecipanti, oltre che per le esigenze di gestione condominiale, e perciò nulla”.
Le pronunce esaminate attraverso il presente contributo evidenziano sicuramente una particolare attenzione alle vicende sia giuridiche che fattuali che interessano la figura del condominio, istituto centrale nella normativa vigente in tema di Superbonus destinato ad assumere un ruolo sempre più determinante.
Sarà quindi interessante notare come e se i connotati principali di questa figura, avente matrice tipicamente civilistica, potranno essere dinamicamente rivisitati e diventare oggetto di eventuali adattamenti a seconda della casistica affrontata nel contesto degli interventi Superbonus, materia attualmente in costante evoluzione.