Sebbene in questi mesi sia stata in più occasioni esclusa da parte dell’Esecutivo la proroga dei termini che consentono di fruire del c.d. Superbonus 110% – attualmente fissati al 31 dicembre 2023 –, il Ministro dell’Economia ha recentemente reso noto che è allo studio da parte del Governo una soluzione per “sbloccare” le cessioni dei crediti rimasti incagliati nei cassetti fiscali di privati, professionisti e imprese.
È quanto emerge dalla risposta all’interrogazione parlamentare n. 3-00631 del 13 settembre scorso, in occasione della quale il Ministro Giancarlo Giorgetti ha rassicurato i membri della Camera affermando che:
“… il mercato di acquisto dei crediti è ripartito, grazie anche all’impegno del Governo, e con le certificazioni della natura di tali crediti. Proprio per questo sono allo studio dell’Esecutivo strumenti attraverso i quali consentire la verifica della bontà di quelli ancora in possesso dei cittadini e imprese e sorti nel periodo antecedente l’introduzione dei vincoli di appropriatezza. Tale circostanza dovrebbe contribuire a rimuovere gli ostacoli frapposti alla loro cessione”.
Da tale dichiarazione emerge che il Governo starebbe lavorando ad un meccanismo di “certificazione” dei crediti fiscali sorti prima dell’entrata in vigore delle misure cc.dd. anti-frode (primo fra tutte, il d.l. n. 157/2021, entrato in vigore il 12 novembre 2021, con cui, come è noto, sono stati introdotti obblighi documentali sempre più stringenti in relazione alla maturazione dei crediti di imposta derivanti dai cc.dd. bonus edilizi). Si pensi, per tutti, al c.d. bonus facciate di cui all’art. 1, commi 219-224 della legge n. 160/2019, che, nel periodo compreso tra il 2020 e il 2021, ha generato crediti d’imposta pari a circa 25 miliardi di euro ([1]).
Tali crediti, infatti, risultano ad oggi quasi impossibili da monetizzare, stante la pressoché totale assenza di garanzie in ordine alla loro corretta formazione, determinata dalla mancata previsione – al tempo in cui il credito è sorto – di norme disciplinanti oneri minimi di acquisizione documentale al momento della loro genesi in capo al cedente, con tutto ciò che ne consegue in termini di responsabilità dei soggetti che si rendano eventualmente cessionari dei crediti in questione.
Secondo le previsioni del Governo, l’impasse ora descritta sarebbe superabile mediante l’apposizione di un “bollino blu” sui crediti in discorso da parte dell’Agenzia delle Entrate, a seguito dello svolgimento in via preventiva da parte della stessa Agenzia e della Guardi di Finanza dei controlli (ordinariamente svolti ex post) circa la corretta formazione del credito. I controlli de quibus, presumibilmente, dovrebbero fondarsi sulla raccolta e l’analisi di un corredo documentale idoneo a supportare l’esistenza e la spettanza del credito d’imposta. Tale corredo documentale, sebbene non ci siano ancora conferme ufficiali sul punto, potrebbe ragionevolmente coincidere con quello previsto dal nuovo comma 6-bis dell’art. 119, d.l. Rilancio (introdotto dal d.l. n. 11/2023, conv. in l. n. 38/2023) ai fini dell’esonero da responsabilità per colpa grave del cessionario.
In tal modo, i rischi legati all’acquisto di detti crediti risulterebbero sensibilmente ridotti, con conseguente ripresa degli scambi sul mercato.
La soluzione proposta in sede governativa, sicuramente apprezzabile, lascerebbe tuttavia aperto un duplice ordine di questioni.
La prima riguarda, in particolare, la documentazione che il Fisco dovrebbe verificare ai fini del rilascio della certificazione del credito. Ed invero, muovendo dal presupposto che la verifica operata dall’A.F. e dalla Guardia di Finanza si incentri sui documenti di cui al comma 6-bis, cit., non può non osservarsi come l’elenco documentale individuato da tale disposizione non contenga, a ben vedere, alcun riferimento alla documentazione in grado di attestare l’effettiva realizzazione degli interventi agevolati (i.e. foto e/o video degli interventi). Ne conseguirebbe, evidentemente, un possibile vulnus per i cessionari, ai quali il controllo preventivo svolto dall’Amministrazione potrebbe dunque non offrire sufficienti garanzie in termini di bontà del credito acquistato nell’ipotesi di successivi controlli, per così dire, “sostanziali”.
Di qui la seconda tematica, altrettanto meritevole di approfondimento in sede di regolamentazione del nuovo sistema di certificazione: cosa succede in ipotesi di sequestro penale di un credito già provvisto della certificazione?
È noto, infatti, che secondo la più recente giurisprudenza anche il cessionario terzo e in buona fede può subire il sequestro c.d. impeditivo di crediti di cui si sospetti l’inesistenza ([2]). In quest’ottica, pertanto, il “bollino blu” non sembrerebbe in grado di mettere il cessionario al riparo da future misure ablative disposte in sede penale, con conseguente impossibilità per quest’ultimo di monetizzare il credito acquistato mediante utilizzo in compensazione o ulteriore cessione.
Le risposte a tali interrogativi, com’è evidente, risultano decisive ai fini della efficace riuscita del piano del Governo per sbloccare i crediti incagliati. Si auspica quindi che tali riflessioni siano valutate nelle competenti sedi, al fine di offrire maggiori garanzie ai cessionari e di rimettere così in moto, una volta per tutte, la “macchina” dell’acquisto dei crediti d’imposta.
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[1] Dati estratti dall’audizione del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, presso la VI commissione Finanze della Camera dei Deputati del 2 marzo 2023, reperibile al seguente link: https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/documents/20143/232968/Audizione+Commissione+finanze+DL+n.+11_2023.pdf/191b9ce8-3083-1fb4-55e9-4f2c4190c046 .
[2] La Corte di Cassazione, infatti, si è pronunciata in varie occasioni sul tema, affermando, anzitutto, che il sequestro dei crediti d’imposta inesistenti può essere disposto tanto nei confronti del cessionario di “secondo grado”, quanto nei confronti del primo acquirente (si vedano sul punto Cass., sentt. nn. 40865, 40866, 40867, 40868, 40869 del 2022). Inoltre, adottando un orientamento piuttosto rigoroso, la Corte di legittimità ha espresso il principio per cui il sequestro c.d. “impeditivo” ex art. 321, co. 1, c.p.p., non implica un collegamento diretto tra il reato e il suo autore, bensì tra il reato e la cosa ad esso pertinente. Di conseguenza, la res pertinente al reato – la cui libera disponibilità possa aggravarne o protrarne le conseguenze, ovvero agevolare la commissione di altri reati – è suscettibile di sequestro ancorché posseduta da un terzo in buona fede (cfr. Cass. pen., sent. n. 44647/2022).