18/10/2023

Il 31 dicembre 2023 sarà una data particolarmente importante per la disciplina del superbonus. Com’è noto, infatti, la chiusura dell’anno comporterà la fine della possibilità di usufruire dell’agevolazione al 110%.

Sul punto, un breve riepilogo delle scadenze attualmente in vigore è necessario al fine di assicurare una maggiore facilità nella lettura, dati i numerosi interventi del legislatore[1]sul tema.

Per quanto riguarda i condomini, l’agevolazione sarà disponibile fino al 31 dicembre 2025.

Tuttavia, per detti soggetti è prevista una progressiva riduzione dell’aliquota nel tempo. Si passa, infatti, dal 110% per le spese sostenute nel 2022, al 90% per quelle del 2023, al 70% per il 2024 ed infine al 65% per il 2025.

Di tale situazione è bene precisare, però, che la riduzione dal 110% al 90% per le spese sostenute nel 2023 non si applica in una serie di fattispecie individuate dall’art. 1 co. 894 della L. n. 197/2022. Tale deroga permette dunque, nonostante le spese siano sostenute nel 2023, l’applicazione dell’aliquota massima[2].

Quanto, invece, alle unifamiliari, l’agevolazione terminerà il 31 dicembre del 2023[3] a condizione che siano stati effettuati almeno il 30% dei lavori entro il 30 settembre 2022.

Infine, stesso termine vale per gli IACP e per le cooperative di abitazione, con l’attestazione di aver portato a termine almeno il 60% dei lavori alla data del 30 giugno 2023.

Tanto premesso e riepilogato bisogna, ora, interrogarsi su cosa effettivamente accadrà alla fine di quest’anno e soprattutto cercare di capire come possano essere gestite alcune (delicate) situazioni.

In particolare, alcuni e rilevanti dubbi interpretativi nascono se si pensa ai condomini che hanno potuto godere dell’agevolazione del 110% e che, per ragioni di qualsiasi tipo, non siano riusciti a completare entro tale data i lavori, nonostante la parte di essi più consistente sia stata in ogni caso effettuata.

Si ponga il caso, ad esempio, di un condominio che al 31 dicembre 2023 abbia sostenuto il 95% dei lavori e, pertanto, si ritrovi il 5% del totale che non potrà essere portato a termine entro fine anno. Cosa succede/ potrebbe succedere in casi del genere?

Partendo dal presupposto che manca un’esplicita indicazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, le soluzioni ipotizzabili possono essere almeno di tre tipologie.

La prima di esse potrebbe consistere nell’interpretare in maniera assai restrittiva il requisito della “fine lavori”.

Secondo questa tesi, la condizione di aver terminato la totalità degli interventi entro il 2023 assumerebbe una portata centrale e il suo mancato rispetto potrebbe comportare non solo l’impossibilità di terminare i lavori con l’aliquota del 110%, ma anche l’obbligo di dover restituire l’intero importo del credito, intendendo per tale anche quello relativo agli Stati di Avanzamento Lavori già comunicati all’AdE.

Una simile interpretazione, tuttavia, esprime una rigidità che appare contraria alla stessa ratio dell’agevolazione, nonché alla struttura della stessa, appunto improntata ad una autonomia dei singoli SAL e del credito d’imposta che essi generano.

Inoltre, un altro aspetto importante riguarda l’interpretazione sistematica delle disposizioni in commento. Infatti, attraverso il D.L. n. 11/2023, il legislatore ha previsto la possibilità, per chi consegna la CILAS entro il 16 febbraio del 2023, di beneficiare di una aliquota che, seppur inferiore a quella del 110%, rimane comunque potenziata rispetto a quella ordinariamente applicabile alle detrazioni per interventi di manutenzione straordinaria.

La tesi sopra prospettata mal si concilierebbe dunque con tale disposizione.

Il perché è semplice, in tal modo si giungerebbe alla conclusione per cui se un soggetto non dovesse terminare la totalità dei lavori esso è tenuto a restituire la somma dei precedenti SAL, laddove, invece, se il medesimo soggetto avesse iniziato i lavori in una data successiva avrebbe ottenuto il 70% di detrazione sulle stesse.

Infine, basti immaginare le catastrofiche conseguenze che si potrebbero manifestare, soprattutto a livello economico tanto per le imprese di costruzione quanto per i singoli condomini. I dispendiosi costi che ne deriverebbero possono seriamente portare ad una crisi del settore.

Una seconda, e forse più accettabile tesi, invece, potrebbe essere quella per cui il soggetto beneficerà dell’aliquota al 110%, ma esclusivamente per gli Stati Avanzamento Lavori conclusi entro la fine dell’anno.

Da tale situazione ne conseguirebbe la perdita, per il condominio, della totalità dell’importo dell’ultimo SAL, anche nel caso in cui abbia già sostenuto alcune delle spese in relazione a quest’ultimo.

È il caso, ad esempio, di un condominio che presenta entro dicembre due SAL, entrambi pari al 30% dei lavori ma non riesce, tuttavia, a concludere il SAL finale, nonostante il raggiungimento a fine anno del 95% dell’opera.

In queste circostanze vedrebbe svanita la possibilità di adottare l’agevolazione sul 40% dei lavori (l’intero SAL finale), nonostante il raggiungimento di uno stato di completamento pari al 35% di esso.

Questa soluzione ha sicuramente il pregio di superare la caratteristica negativa della tesi “restrittiva” circa il recupero del credito riguardante i SAL precedenti. Tuttavia, è bene sottolineare che essa non è in grado di risolvere il problema logico cui si accennava in precedenza.

Ebbene, a fronte di quanto detto, è giunto il momento di analizzare un’ultima tesi, quella che forse è la più idonea a bilanciare gli interessi dello Stato e degli operatori.

Essa potrebbe consistere nel riconoscere ai beneficiari la possibilità di accedere al 110% per i costi sostenuti entro la fine del 2023 anche se l’opera non sarà interamente completata, e per la parte finale di essi (sostenuti nel 2024) vedersi riconosciuta l’aliquota più bassa del 70%.

Quest’ultima tesi risulterebbe, a parere di chi scrive, la soluzione adatta a superare le contraddizioni della prima tesi riportata ed, al contempo, di conformarsi maggiormente a quanto in precedenza sostenuto dall’AdE.

A quest’ultimo proposito, si richiama, infatti, l’interpello n. 56/2022 nel quale il contribuente poneva il quesito circa la disciplina da adottare nel caso in cui, a causa di ritardi nelle forniture, il primo SAL veniva emesso solamente nel 2022, nonostante, in verità, esso si riferisse sia alle spese sostenute nel 2021 che nel 2022.

Sul punto, l’Ufficio rispondeva che

Considerato, inoltre, che il SAL emesso rendiconterà il corrispettivo maturato fino a quel momento, gli acconti già corrisposti e, di conseguenza, l’ammontare dell’acconto da corrispondere, sulla base della differenza tra le prime due voci, l’opzione potrà essere esercitata solo per l’importo corrispondente alla detrazione spettante con riferimento agli importi pagati nell’anno 2022, in applicazione del cd. criterio di cassa.

Per gli acconti corrisposti nell’anno 2021, invece, l’Istante potrà fruire del Superbonus nella dichiarazione dei redditi relativa a tale periodo d’imposta e, eventualmente, optare per la cessione del credito corrispondente alle successive rate di detrazione non fruite.”.

Dal momento che detto interpello ha ad oggetto una questione molto affine a quella di cui si parla nel presente elaborato, la soluzione migliore sembrerebbe quella di estrarne il principio ed adottarlo nel caso di specie.

In altri termini, dovrebbe essere consentito o un SAL intermedio che fotografi lo stato dell’intervento e le spese sostenute in relazione ad esso entro dicembre 2023, con ciò derogando ai rigidi criteri di divisione dell’agevolazione in soli tre SAL, oppure il rilascio di una dichiarazione sullo stato di avanzamento del cantiere, a firma della direzione lavori.

Quest’ultima soluzione troverebbe un precedente nella fattispecie di proroga dell’incentivo sulle unifamiliari. Come noto infatti, con il D.L. n. 104/2023, convertito con la L. n. 136/2023, il legislatore ha concesso la proroga (art. 24) dell’agevolazione dal 30 settembre 2023 al 31 dicembre 2023 per le unifamiliari che attestino, alla data del 30 settembre 2022, il completamento del 30% dell’intervento complessivo.

Pertanto, in conclusione, fermo restando che la tesi preferibile sia l’ultima riportata, si resta in attesa di un intervento legislativo che si conformi al principio applicato per le unifamiliari.

Laddove, malauguratamente, quest’ultima emanazione non dovesse arrivare, sarebbe comunque gradito un esplicito chiarimento sul tema da parte dell’Agenzia delle Entrate, confidando in una celere e plausibile soluzione interpretativa che ponga fine a simili incertezze.

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[1] L’agevolazione è stata, infatti, introdotta con il D.L. n. 34/2020. Per quanto riguarda i termini di vigenza si è assistito a continue rivisitazioni. Ad oggi stabiliti per mano del D.L. n. 176/2022, convertito in legge con la L. n. 6/2023; del D.L. n. 11/2023, convertito in legge con la L. n. 38/2023; del D.L. n. 104/2023, convertito in legge con la L. n. 136/2023.

[2] a) se la delibera assembleare che ha approvato l’esecuzione dei lavori risulta adottata entro il 18 novembre 2022 e se alla data del 31 dicembre 2022 risulti presentata la CILAS (Comunicazione inizio lavori asseverata);
b) se la delibera assembleare che ha approvato l’esecuzione dei lavori risulta adottata in una data compresa tra il 19 e il 24 novembre 2022 e se alla data del 25 novembre 2022 risulti presentata la CILAS,
c) per gli interventi comportanti la demolizione e la ricostruzione degli edifici, per i quali alla data del 31 dicembre 2022 risulta presentata l’istanza per l’acquisizione del titolo abilitativo.

[3] Si ricorda che il termine del 31 dicembre è stato oggetto di due proroghe. Infatti, in un primo momento il termine ultimo era fissato al 31 Marzo, poi successivamente prorogato al 30 Settembre ed infine indicato, appunto, al 31 dicembre con il D.L. n. 104/2023.

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