16/12/2023

1. Nelle more della attesa discussione innanzi alla Corte Costituzionale della questione di costituzionalità del “contributo straordinario contro il caro bollette” a carico del settore energetico, istituito dall’art. 37 del d.l. n. 21/2022, la vicenda si arricchisce di un nuovo episodio.

Un importante operatore del settore petrolifero si è interrogato sulla possibile deducibilità del predetto contributo straordinario dal “nuovo” “contributo di solidarietà di carattere temporaneo”, introdotto dall’art. 1, commi 115-119 della legge n. 197/2022. A fronte di numerosi indici di carattere letterale e sistematico che rendevano quantomeno incerta la questione, il contribuente ha inteso sottoporre il dubbio interpretativo alla Direzione Centrale dell’Agenzia delle Entrate con lo strumento dell’interpello.

La questione assume particolare rilevanza nell’alveo delle più generali critiche di carattere costituzionale che sono state mosse dagli operatori specializzati ai nuovi prelievi straordinari sugli “extraprofitti” introdotti dal legislatore a carico del settore energetico per il 2022 ed il 2023. Il riconoscimento della deducibilità del primo contributo dal secondo avrebbe, infatti, potuto almeno in parte mitigare gli effetti negativi in termini di duplicazione dell’imposizione che l’inclusione del primo contributo nella base imponibile del secondo contributo è idonea a determinare.

Il problema si è posto in quanto, innanzitutto da un punto di vista letterale, l’art. 37, comma 7, del richiamato d.l. n. 21/2022 si limita a prevedere l’indeducibilità del contributo straordinario contro il caro bollette ai soli fini delle imposte sui redditi e non anche dal “nuovo” contributo di solidarietà, che non è una imposta sui redditi.

2. A fronte di numerosi ulteriori profili di dubbio evidenziati dall’istante, che rendevano quantomeno incerta la questione, l’Agenzia delle Entrate – pur dando conto, nel ricostruire gli antefatti della tematica, che la stessa Avvocatura Generale dello Stato si è espressa a favore della deducibilità – ha sorprendentemente inteso dichiarare inammissibile l’interpello presentato – con la risposta n. 956–14952023, emessa il 24 ottobre –, rilevando che nel caso di specie non sussisterebbero margini di incertezza di carattere interpretativo.

Argomento assorbente, fatto proprio dall’Agenzia, è la (presunta) chiarezza del disposto dell’art. 37, comma 7 del predetto d.l. n. 21/2022, che era stata invece motivatamente avversata dall’istante.

La soluzione raggiunta non può essere ritenuta soddisfacente né sotto il profilo letterale né sotto quello sistematico.

3. Era stato, in particolare, ampiamente argomentato come, da un punto di vista letterale, l’art. 37, comma 7, cit. si limita a prevedere l’indeducibilità del primo contributo dalle sole imposte sui redditi e non anche dal “nuovo” contributo di solidarietà, che assoggetta ad imposizione un presupposto incrementale diverso dal mero reddito di periodo, evidenziandosi oltretutto come lo stesso, al momento dell’introduzione del divieto di deducibilità, nemmeno esisteva.

Era stato altresì rimarcato come il disposto letterale del richiamato articolo 1, comma 116 della legge di bilancio 2023 assume come base imponibile del “nuovo” Contributo di Solidarietà l’eccedenza del reddito complessivo 2022 determinato ai fini dell’imposta sul reddito delle societa”, disciplinata dal d.p.r. 917/1986 (cd. TUIR), senza mutuarne in via diretta la medesima base imponibile e senza ulteriori specificazioni o rinvii a leggi speciali.

In tale prospettiva, era stato denunciato come non potessero essere riconosciute applicabili al “nuovo” Contributo di Solidarietà le regole speciali, recate dalle singole leggi di imposta diverse dal TUIR, che – facendo eccezione alla regola generale che presiede al sistema di tassazione delle imposte sui redditi e ne istituisce come presupposto la tassazione di un reddito “netto” (in questo senso per tutte Corte Cost. n. 262/2020) – limitano la deduzione di costi funzionali alla produzione del reddito.  Come è ben noto, infatti, le norme eccezionali sono oggetto di stretta interpretazione e non possono essere oggetto di applicazione generalizzata al di fuori dei luoghi e dei tempi contemplati. Ciò a fortiori con riferimento alle norme tributarie, soggette ai principi di tipicità e di tassatività

Era stato più in generale denunciato che la stessa Corte Costituzionale – come ribadito nella fondamentale sentenza n. 262/2020 – ha rimarcato come il nostro ordinamento non tollera la tassazione di un reddito al lordo dei relativi costi di produzione, tra i quali (ex art. 99 del TUIR) sono normativamente annoverate anche le imposte diverse da quelle sui redditi e da quelle per le quali è previsto l’istituto della rivalsa.

E nel caso di specie, il contributo straordinario di cui all’art. 37 del d.l. n. 21/2022, pur avendo pacificamente – come sancito anche dal TAR Lazio [1]– carattere tributario, non è in alcun modo assimilabile né all’IVA (o ad imposte similari per le quali sia previsto un meccanismo di rivalsa) né ad una imposizione sui redditi.

La relativa struttura normativa prevede, infatti, che la base imponibile coincida con il differenziale tra i saldi IVA di due differenti periodi di riferimento, ma si tratta in ogni caso di prelievo ben diverso dall’IVA.

Ed infatti esso, inter alia:

1) non è un’imposta plurifase di carattere generale posto che colpisce solo determinate imprese;

2) non incide sui consumi in quanto non può essere traslato.

È appena il caso di osservare, in merito al punto 2), che l’art. 37, comma 8, cit., prevede piuttosto un sostanziale divieto di “indebite ripercussioni [del contributo, n.d.r.]  sui prezzi al consumo”.

Difetta altresì uno degli elementi di essenziale rilievo dell’IVA delineati già nella seconda direttiva del Consiglio dell’11 aprile 1967 n. 67/228, ossia il principio di “deduzione di imposta da imposta, per tutto il complesso delle operazioni compiute dal soggetto in un determinato periodo di tempo”. Principio che si traduce nella neutralità dell’imposta che, come è noto e come costantemente afferma la Corte di Giustizia UE, è la caratteristica essenziale ed indefettibile dell’IVA e del suo meccanismo applicativo.

Le caratteristiche strutturali del presupposto del Contributo straordinario ben evidenziano il perché esso non è neppure assimilabile ad un’imposta sui redditi. Il Contributo non colpisce infatti alcun incremento patrimoniale o “ricchezza novella” posto che la disciplina di determinazione dell’imponibile non dà rilievo alle spese di produzione di tale ricchezza. La base imponibile quantificata ex art. 37, commi 2 e 3 in base ai saldi IVA non tiene conto di rilevanti elementi di costo che insistono in maniera significativa sui profitti, e quindi sugli ipotetici “sovraprofitti”, del settore. Si pensi, in particolare, agli oneri di gestione (in primis, i costi del personale), agli ammortamenti dei beni strumentali o ai differenziali realizzati su contratti derivati che, se considerati non soggetti ad IVA, non sono computabili ai fini del Contributo.

Piuttosto, il Contributo potrebbe essere considerato, in linea generale, come un’imposta reale e indiretta su un valore aggiunto di tipo economico in qualche modo assimilabile all’IRAP ([2]), in quanto colpisce un (mal calcolato) risultato incrementale dell’organizzazione in un determinato periodo di tempo. Tuttavia, proprio la natura para-incrementale della base imponibile differenzia il Contributo (anche) dall’IRAP.

4. Su tali basi, ai sensi e per gli effetti del richiamato art. 99, comma 1 del TUIR e del più generale rinvio alle regole di determinazione del reddito ai fini IRES, si sarebbe dovuto concludere per la pacifica deducibilità del contributo straordinario di cui al d.l. n. 37/2022 dalla base imponibile del nuovo Contributo di Solidarietà. Come rimarcato, infatti, ai sensi del predetto articolo, le imposte diverse da quelle sui redditi e da quelle per le quali è previsto il diritto di rivalsa, sono deducibili dal reddito ai fini IRES nell’esercizio in cui sono state pagate, ovvero nel caso di specie dal reddito dell’esercizio 2022, che costituisce la base di riferimento per il calcolo del “nuovo” Contributo di Solidarietà.

Si sottolinea da ultimo che la soluzione prospettata doveva essere riconosciuta valida in quanto è l’unica che risponde ad una interpretazione costituzionalmente orientata della norma.

Va considerato, infatti, il principio generale (più volte ribadito dalla Corte Costituzionale) secondo il quale i costi sostenuti nell’esercizio dell’impresa – se inerenti – devono essere deducibili ai fini del reddito d’impresa, principio che discende direttamente dagli artt. 3 e 53 Cost.. Il Legislatore, all’atto della definizione dei principi fondanti il sistema dell’imposizione IRES, ha infatti indicato una regola assai chiara in ordine all’individuazione di ciò che deve essere inciso da detta forma di prelievo fiscale: solamente una ricchezza effettiva – come tale idonea ad esprimere una reale capacità contributiva – può difatti assurgere a fenomeno rilevante a questi fini. Ed è per tale ragione che il citato art. 75 ha quindi imposto la necessaria considerazione – in sede di computo del quantum imponibile – di tutti i costi sostenuti dal contribuente, ivi inclusi naturalmente gli oneri fiscali.

A garanzia della necessaria attuazione del principio della tassazione del reddito al netto dei costi di produzione, piace conclusivamente richiamare l’ordinanza della Corte di cassazione n. 35504 del 2 dicembre 2022, quale autorevole conferma del fatto che la portata sostanziale del presupposto d’imposta (e cioè la rilevanza del “reddito netto”) deve prevalere in ogni caso, anche rispetto a valutazioni puramente formali.

Secondo la S.C., il principio fondamentale della tassazione del reddito di impresa consiste nella determinazione del reddito netto prodotto nell’attività commerciale dal contribuente, “poiché diversamente si assoggetterebbe ad imposta come reddito di impresa il profitto lordo anziché quello netto in contrasto con il parametro costituzionale della capacità contributiva di cui all’art. 53, comma 1 Cost.

5. Alla luce di tali considerazioni, che deponevano per una soluzione esattamente opposta a quella fatta propria dall’Agenzia e che denotano un quadro di obiettiva incertezza sulla fattispecie (ha discapito di quanto assunto dalla stessa Amministrazione), la vicenda evidentemente non può considerarsi ancora conclusa e sussistono tuttora ampi margini per una sua diversa risoluzione in via giurisprudenziale.

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[1] Sentenza n. 15169/2022, depositata il 16 novembre 2022

[2] Definita in giurisprudenza “un’imposta di carattere reale che colpisce … il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate” (Corte cost., sent. n. 156/2001).

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