1. Come anticipato su questo sito, nel disegno di legge di bilancio per il 2024 sono presenti previsioni volte a modificare il regime delle plusvalenze sugli immobili diversi dall’abitazione principale, in relazione ai quali il cedente o gli altri aventi diritto abbiano eseguito gli interventi agevolati dal c.d. Superbonus di cui all’articolo 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77.
In particolare, è prevista l’estensione a 10 anni (decorrenti dall’effettuazione degli interventi agevolati) del periodo di rilevanza fiscale delle plusvalenze da cessione che, invece, ordinariamente rilevano solo per i primi cinque anni decorrenti dall’acquisto dell’immobile [1]. Inoltre, quanto alla determinazione della plusvalenza, è prevista la tassazione con l’aliquota del 26% [2] della differenza tra costo d’acquisto e prezzo di cessione dell’immobile, con la peculiarità per cui, nella determinazione del costo d’acquisto, sono esclusi:
- per i primi 5 anni dall’effettuazione dell’intervento agevolato, tutti i costi sostenuti mediante l’applicazione dello sconto in fattura con maturazione di un credito del 110% da parte del fornitore;
- dal sesto al decimo anno, il 50% dei costi sostenuti con il superbonus.
2. Proprio sulla possibile approvazione di tale previsione si è concentrato il CNDCEC nel corso dell’audizione sulla legge di Bilancio 2024 presso le commissioni Bilancio di Camera e Senato, riunite in seduta congiunta.
Nello specifico, il CNDCEC ha osservato che la misura in commento genera
“ex novo un presupposto imponibile sino ad oggi inesistente, in funzione di scelte compiute dal contribuente in un momento in cui egli non poteva sapere che, compiendo tali scelte, si sarebbe determinato questo per lui negativo effetto fiscale”.
Secondo l’Ordine dei commercialisti, quindi, si tratterebbe di un intervento normativo che, pur disponendo per il futuro, va ad incidere retroattivamente su scelte pregresse dei contribuenti che – quando hanno deciso di fruire delle agevolazioni fiscali c.d. superbonus – non sapevano che sarebbero andati incontro a nuove e diverse regole di tassazione. In tal modo, a loro dire, le nuove disposizioni si porrebbero in contrasto con il principio del legittimo affidamento.
Per tale ragione, quindi, nel corso dell’audizione parlamentare, il CNDCEC ha suggerito di limitare l’imponibilità della plusvalenza ai soli immobili ceduti entro cinque anni dall’ultimazione degli interventi agevolati. In tal modo, infatti, la previsione
“potrebbe comunque essere riconosciuta come “a suo modo sistematica” rispetto all’attuale previsione, sempre nell’ambito dei redditi diversi, dell’imponibilità delle plusvalenze relative agli immobili rivenduti prima che siano trascorsi 5 anni dalla loro acquisizione”.
3. Sicuramente l’obiezione dell’Ordine dei commercialisti sulla possibile lesione dell’affidamento e sulla portata retroattiva delle norme in commento coglie nel segno: ed infatti, benché le norme predette si applicheranno alle cessioni realizzate dal 1° gennaio 2024 in avanti e, dunque, successivamente alla loro entrata in vigore, non v’è dubbio che al momento della realizzazione degli interventi edilizi agevolati, i proprietari non potevano sapere che in un qualche modo i costi di ristrutturazione sarebbero stati fiscalmente rilevanti.
Senonché, pur con la sintesi argomentativa che è richiesta in questa sede, si ritiene opportuno osservare che la giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di retroattività della norma che assoggettava a tassazione le plusvalenze derivanti da indennità di esproprio o dalla cessione volontaria di terreni sottoposti a procedimenti ablatori [3] (e, quindi, concernente una questione similare a quella qui in commento [4]) era, già in epoca risalente, nel senso di giustificare la retroattività delle norme impositive in ragione
- “della sussistenza di un elemento di prevedibilità dell’imposta”, ravvisabile, nel caso da essa esaminato, nella “previsione di nuove fattispecie, sostanzialmente riconducibili alla medesima ratio di quelle già disciplinate” dall’art. 81 TUIR (nella versione all’epoca vigente [5]); e
- “del breve lasso di tempo entro il quale il legislatore ha stabilito che tale retroattività è destinata ad operare”, quale elemento idoneo a desumere l’attualità della capacità contributiva al momento dell’imposizione, ma anche a dedurre la prevedibilità del mutamento legislativo [6].
Più recentemente, sempre in tema di disciplina retroattiva dei rapporti di durata, la Corte costituzionale ha anche precisato che
“il legislatore dispone di ampia discrezionalità e può anche modificare in senso sfavorevole la disciplina di quei rapporti, ancorché l’oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti; ciò a condizione che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non trasmodi in un regolamento irrazionalmente lesivo del legittimo affidamento dei cittadini (ex plurimis, sentenze n. 241 del 2019, n. 16 del 2017, n. 203 del 2016 e n. 236 del 2009)” [7].
Ora, anche a prescindere dal riferimento alla prevedibilità della nuova fattispecie impositiva (che pure, come si è visto, ha consentito di legittimare l’imposizione di plusvalenze realizzate addirittura prima dell’entrata in vigore della norma), se si sposta il discorso sul piano della sola ragionevolezza, appare doveroso richiamare i ben diversi e numerosissimi interventi normativi che hanno caratterizzato la disciplina del superbonus e che, rispetto alle norme in commento, risultano ben più lesivi del legittimo affidamento dei cittadini (basti pensare al repentino cambio delle aliquote, all’introduzione di termini irragionevoli o al blocco delle cessioni).
Nel coacervo delle disposizioni che regolano le agevolazioni da bonus edilizi, sembra, quindi, che quelle in commento siano le norme dotate di maggiore razionalità e coerenza sistematica.
4. A ben vedere, infatti, nonostante le diverse critiche ricevute [8], la disciplina in commento sembrerebbe essere già dotata di rilevanti “paletti” applicativi che la rendono meno censurabile sotto il profilo applicativo. In particolare, infatti, essa dovrebbe escludere dal suo ambito operativo gli immobili destinati ad abitazione principale o ricevuti per successione e si dovrebbe applicare solamente a coloro che hanno beneficiato del superbonus nella forma dello sconto in fattura (non anche, quindi, mediante detrazione diretta in dichiarazione o cessione del credito). In tal modo, si andrebbero a colpire coloro che, speculando sulla rivendita di un immobile integralmente ristrutturato grazie alle agevolazioni concesse dallo Stato (senza sostenere alcun costo grazie alla modalità dello sconto in fattura), finiscono con l’aggirare la ratio della disciplina del superbonus, consistente nella intensione del Legislatore di garantire il ripristino e l’efficientamento energetico del patrimonio immobiliare italiano, ma non anche la speculazione immobiliare.
In proposito, all’obiezione dell’Ordine dei Commercialisti che contesta la norma in questione giacché animata da “una certa volontà di colpire chi, in ultima analisi, ha semplicemente fruito di una opportunità che lo stesso legislatore gli aveva offerto”, si potrebbe rispondere che essa serve, sotto il profilo sostanziale, ad evitare l’effetto distorsivo derivante, nella determinazione della plusvalenza, dalla possibilità di dedurre costi che in concreto il cedente non ha sostenuto, avendo appunto beneficiato dello sconto in fattura. Diversamente, oltre ad aver beneficiato delle agevolazioni fiscali (non sostenendo alcun esborso finanziario per la ristrutturazione dell’immobile), il cedente si troverebbe a poter beneficiare altresì di un prezzo di vendita maggiore, decurtando addirittura dal valore della plusvalenza (comunque imponibile per tutti, in caso di cessione infraquinquennale) anche i costi oggetto di sconto in fattura [9]. Inoltre, si potrebbe ritenere che la disciplina in commento serva ad evitare forme di indebita monetizzazione dell’agevolazione fiscale che, in mancanza di tassazione della plusvalenza, sarebbero ovviamente insite nella determinazione del prezzo di cessione [10].
Quanto, invece, al tema dell’estensione a dieci anni della rilevanza impositiva degli interventi agevolati, occorre considerare che, attualmente, è piuttosto raro assistere a trasferimenti che incappano nella tassazione vigente per le “normali” vendite infraquinquennali, in quanto i proprietari di norma evitano di vendere l’abitazione prima che sia passato il periodo minimo richiesto dalla legge [11]. In questa prospettiva, l’estensione del periodo di imponibilità della plusvalenza da cinque a dieci anni rappresenterebbe forse l’unico strumento per dare attuazione concreta alla norma in commento.
Si tratterebbe, del resto, di una misura dall’effetto analogo a quelle previste in relazione a diverse tipologie di agevolazione fiscale: il riferimento, per esempio, potrebbe essere ai cd. meccanismi di recapture dei crediti d’imposta per investimenti in beni strumentali. In proposito, infatti, il Legislatore ha disposto l’obbligo per il beneficiario di rideterminare il credito d’imposta per investimenti in beni strumentali, escludendo dall’originaria base di calcolo il costo dei beni distolti entro un predefinito periodo di sorveglianza dal complesso aziendale a cui sono stati destinati. Proprio per spiegare la ratio del meccanismo di recapture, la circolare n. 9/E del 2021 ha chiarito che lo scopo è quello di “garantire che la concessione dell’agevolazione sia collegata al concreto sfruttamento dei beni agevolati per un periodo minimo nell’economia dell’impresa (…). La norma intende, in altri termini, escludere dall’agevolazione investimenti a carattere temporaneo, realizzati al solo fine di fruire del credito d’imposta”.
Mutatis mutandis, le stesse considerazioni potrebbero validamente applicarsi anche alla disciplina in commento, rispetto alla quale si può sostenere che la previsione delle condizioni di fruizione dell’agevolazione (ivi inclusa quella relativa all’introduzione di una sorta di “periodo di sorveglianza”) non può che rientrare nella discrezionalità del Legislatore.
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[1] La norma di riferimento è l’art. 67, comma 1, lettera b) del TUIR, secondo cui, costituiscono redditi diversi “le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, nonché, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione. In caso di cessione a titolo oneroso di immobili ricevuti per donazione, il predetto periodo di cinque anni decorre dalla data di acquisto da parte del donante”.
[2] Dell’imposta sostitutiva dell’IRPEF del 26%, di cui all’art. 1 comma 496 della L. 266/2005.
[3] Cfr. Corte costituzionale, sent. n. 410 del 27 luglio 1995; sentenza n. 315 del 1994 e ordinanza n. 14 del 19 gennaio 1995. In queste sentenze il Giudice delle leggi ha dichiarato la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma impositiva retroattiva affermando il principio secondo cui “per accertare se una legge tributaria retroattiva comporti violazione del principio della capacità contributiva, occorre verificare, di volta in volta, se la legge stessa, nell’assumere a presupposto della prestazione un fatto o una situazione passati, abbia spezzato il rapporto che deve sussistere tra imposizione e capacità contributiva, violando così il precetto costituzionale sopra richiamato. Sulla base di tale principio, questa Corte ha ritenuto sussistente – nel caso della retroattività conferita dall’art. 11, comma 9, della legge n. 413 del 1991, alla norma sulla tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione volontaria di terreni sottoposti ad espropriazione- un elemento di prevedibilità dell’imposta non privo di significato, quanto alla verifica della permanenza della capacità contributiva, specie a tener conto del breve lasso di tempo entro il quale il legislatore ha stabilito che tale retroattività è destinata ad operare”. Gli stessi principi sono stati recentemente ribaditi anche dalla Corte di cassazione. Cfr., ex multis, ord. del 21 gennaio 2021, n. 1230.
[4] A ben vedere, la questione sottoposta al vaglio costituzionale (e risolta nel senso della piena legittimità dell’imposizione retroattiva) era ancor più “rilevante” di quella evidenziata dal CNEDC, atteso che la norma allora denunciata assoggettava a tassazione plusvalenze verificatesi nel corso del triennio precedente alla sua entrata in vigore. Diversamente, nel caso in commento, si tratterebbe di tassare plusvalori realizzati a partire dal 2024 (e quindi, dopo l’entrata in vigore della norma), ancorché con l’attribuzione di una certa rilevanza impositiva ai costi per ristrutturazione antecedenti all’approvazione della nuova disciplina.
[5] Come si legge nella sentenza n. 315/1994 della Corte costituzionale, detta norma, nel capo VII dedicato ai “redditi diversi”, considerava come “cespiti tassabili tra le plusvalenze – da intendere come incremento del valore di scambio di un bene fra il momento in cui esso entra nel patrimonio del soggetto e quello in cui ne esce – quelle realizzate a seguito di lottizzazione di terreni o di esecuzione di opere intese a renderli edificabili, con successiva vendita, anche parziale, dei terreni e degli edifici, come pure quelle realizzate, salvo alcune eccezioni, mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni”.
[6] Questa giurisprudenza della Corte costituzionale ha progressivamente dilatato il concetto di prevedibilità dell’imposizione, modificando la precedente impostazione (si veda sent. n. 75 del 1969) secondo cui si riteneva che una norma tributaria retroattiva fosse prevedibile solo quando la capacità contributiva era già stata individuata dalla norma legislativa anteriore al momento dell’entrata in vigore della nuova legge (“una legge può colpire una capacità contributiva esistente in un momento anteriore e rivelata da fatti passati, senza per ciò solo violare l’art. 53, purché vi sia una ragionevole presunzione che, nella normalità dei casi, quella capacità contributiva permanga al momento della imposizione. … nella specie, la retroattività inerisce alla sostituzione di un tributo precedente con altro, strutturato bensì in modi sotto alcuni aspetti diversi, ma rispondente alla stessa funzione economico-sociale e diretto a colpire – con aliquote minori – gli stessi fatti produttivi di ricchezza del primo”). In particolare, il nuovo riferimento introdotto dalla Consulta al breve lasso di tempo intercorso tra il momento in cui si è verificata la fattispecie tassata retroattivamente e l’entrata in vigore della legge retroattiva è stato fortemente criticato da larga parte della dottrina. Sul punto, si veda in particolare Falsitta, Illegittimità costituzionale delle norme tributarie imprevedibili, le civiltà del diritto e il contribuente Nostradamus, in il Fisco, 1995, p. 8130, il quale stigmatizza l’anomalia del riferimento, da un lato, alla prevedibilità delle imposte retroattive (“ogni norma nuova, quando non abbia natura oggettivamente interpretativa, è sempre imprevedibile”) e, dall’altro, al profilo temporale che, di per sé, non può essere garanzia di attualità della capacità contributiva.
[7] Cfr. Corte costituzionale, sent. n. 234 del 22 ottobre 2020.
[8] Si veda, ex multis, N. Forte, Cessione degli immobili oggetto di superbonus e maxi plusvalenza: una norma dai confini incerti, in Quotidiano Ipsoa, 11 novembre 2023.
[9] In altri termini, soprattutto per le cessioni entro cinque anni, la previsione risulta non solo ragionevole, ma addirittura opportuna se si vuole evitare che i proprietari, in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., vadano a tassare una plusvalenza più bassa perché calcolata sulla bade di costi di fatto non sostenuti; del resto, se l’indice da assoggettare a tassazione consiste nell’incremento di valore dell’immobile intervenuto tra il momento dell’acquisto e quello della rivendita, al netto dei costi afferenti all’immobile, e si considera che le spese di ristrutturazione sono rimaste a carico dello Stato, si dovrebbe concludere per l’irrilevanza fiscale delle spese predette.
[10] Vale a dire che, in caso di acquisto di un immobile a centomila euro e di una ristrutturazione di cinquantamila euro, mediante sconto in fattura, l’ipotetica rivendita a duecentomila euro dell’immobile stesso determinerebbe, per cinquantamila euro, l’immediata monetizzazione dei costi di ristrutturazione.
[11] Cfr. D. Aquaro – C. Dell’Oste, Superbonus 110% e plusvalenze: così è a rischio una casa su cinque, in il Sole 24 Ore del 7 novembre 2023.