22/03/2024

Nel mio precedente intervento “Gli edifici italiani ed il patto europeo: corre l’attuazione del green deal” pubblicato sul blog lo scorso 17/01/2023, avevo illustrato le linee generali del processo di avvicinamento della normativa europea in tema di efficientamento energetico agli ambiziosi obiettivi del green deal. Mi corre dunque l’obbligo di aggiornare i lettori delle recenti novità che riguardano il tema.

Nella sessione plenaria del 12 marzo 2024 il Parlamento europeo (con 370 voti favorevoli, 199 contrari e 56 astenuti) ha approvato la direttiva europea Case green (Energy performance of building directive, Epbd). Il progetto, ed il testo normativo che ne è scaturito, fanno parte del pacchetto di riforme denominato “Fit for 55” che mira a ridurre le emissioni nocive dell’Unione Europea per raggiungere l’obiettivo di emissioni zero entro il 2050, anche attraverso la riqualificazione del patrimonio edilizio europeo e il miglioramento dell’efficienza energetica. Varato il testo, manca ufficialmente solo l’approvazione del Consiglio europeo e la sua pubblicazione.

Nei diversi negoziati tra il Consiglio dell’Unione Europea, il Parlamento Europeo e la Commissione Europea, la direttiva case green ha subito una serie di modifiche che contemplano obiettivi intermedi meno stringenti, termini più estesi e un quadro normativo meno restrittivo rispetto alla versione precedentemente approvata dal Parlamento Europeo a marzo. Inoltre, il compromesso sui target della direttiva EPBD prevede la possibilità per i Paesi membri di richiedere deroghe sugli edifici alla Commissione europea.

Quanto ai macro-obiettivi, ogni Stato membro dovrà adottare un piano nazionale che preveda la riduzione progressiva del consumo di energia degli edifici residenziali; ogni paese potrà stabilire autonomamente su quali edifici concentrarsi, purché complessivamente, il 55% della riduzione dei consumi energetici sia ottenuto tramite la ristrutturazione degli edifici con le prestazioni inferiori.

Sugli edifici residenziali, rispetto alla prima bozza presentata lo scorso 14 marzo, l’attuale scenario richiede comunque ad ogni Stato membro dell’Unione Europea di impegnarsi nell’implementazione di un nuovo piano di riqualificazione degli edifici, adottando misure mirate a garantire una riduzione dell’energia primaria media utilizzata dagli edifici residenziali pari:

  • al 16% entro il 2030
  • al 20-22% entro il 2035

Entro il 2030, dovrà essere prevista la ristrutturazione degli edifici non residenziali con le prestazioni energetiche più basse nella misura del:

  • 16% entro il 2030
  • 26% entro il 2033

Inoltre, dovranno essere a emissioni zero, dal 2028, tutti gli edifici pubblici di nuova costruzione, e dal 2030, anche le nuove costruzioni residenziali private.

Un forte sviluppo è certamente stato dato all’industria di produzione e alla commercializzazione di impianti fotovoltaici. Infatti, Gli Stati membri dovranno garantire che i nuovi edifici siano “solar-ready”, ovvero idonei a ospitare impianti fotovoltaici o solari termici sui tetti. L’installazione di impianti di energia solare diventerà la norma per i nuovi edifici.

Per gli edifici pubblici e non residenziali esistenti, l’energia solare dovrà essere installata gradualmente, a partire dal 2027, laddove ciò sia tecnicamente, economicamente e funzionalmente fattibile. Tali disposizioni entreranno in vigore in momenti diversi a seconda della tipologia e delle dimensioni dell’edificio.

Gli Stati membri saranno tenuti ad installare impianti solari secondo il seguente calendario:

  • entro il 31 dicembre 2026, su tutti i nuovi edifici pubblici e non residenziali con una superficie utile superiore a 250 m²,
  • entro il 31 dicembre 2027, su tutti gli edifici pubblici esistenti con una superficie utile superiore a 2000 m²;
  • entro il 31 dicembre 2028, su tutti gli edifici pubblici esistenti con una superficie utile superiore a 750 m²;
  • entro il 31 dicembre 2030, su tutti gli edifici pubblici esistenti con una superficie utile superiore a 250 m²;
  • entro il 2027, su tutti gli edifici non residenziali esistenti con una superficie utile superiore a 500 m² in cui l’edificio subisce un intervento che richiede un permesso amministrativo rilevante;
  • entro il 31 dicembre 2029, su tutti i nuovi edifici residenziali e su tutti i nuovi parcheggi coperti adiacenti fisicamente agli edifici.

Anche sull’impiego delle caldaie alimentate da combustibili fossili, la direttiva propone una strategia graduale invitando gli Stati membri a formulare misure specifiche per facilitare questa transizione nel settore del riscaldamento e del raffreddamento. Dalla sospensione dei sussidi a partire dal 1° gennaio 2025, all’obiettivo finale di eliminare completamente le caldaie alimentate da tali combustibili entro il 2040.

Restano esclusi dall’ambito della direttiva alcuni immobili a determinate caratteristiche, ovvero:

  • edifici vincolati e protetti;
  • immobili storici;
  • edifici temporanei;
  • chiese;
  • abitazioni indipendenti con superficie < 50 mq;
  • case vacanza, ovvero le seconde case occupate per meno di 4 mesi/anno.

Nel complesso, l’impressione è che la direttiva ridimensioni tempistiche e, soprattutto i primi obiettivi comparsi nelle precedenti bozze, lasciando ampio margine ai singoli Stati membri di autodeterminazione nel raggiungimento degli scopi prefissati, che restano comunque invariati a livello complessivo.

In effetti, ciò è dovuto all’oggettiva disparità, in termini di oneri di adeguamento dei singoli Stati, alcuni dei quali già da anni sono all’avanguardia in termini di sviluppo di abitazioni eco sostenibili e di impianti ad energia solare.

L’Italia possiede un parco immobiliare residenziale estremamente vetusto, e non migliore appare la situazione degli edifici pubblici e dei non residenziali. Questo il motivo del voto addirittura contrario della maggioranza al Governo, nel processo di votazione finale della Direttiva.

Al Superbonus, misura estremamente controversa, si attribuisce quantomeno il merito di aver dato l’abbrivio ad un processo culturale diffuso, volto all’efficientamento energetico del parco immobiliare residenziale, che certamente avrà modo di svilupparsi e di crescere anche nei prossimi anni, mantenendo – sempre che il legislatore trovi gli adeguati spazi di copertura – l’agevolazione con aliquota a regime. Una volta varato, con estrema difficoltà il meccanismo di formazione del credito, sarebbe inutile se non addirittura dannoso dismetterlo a vantaggio di altre forme pubbliche di contribuzione, anch’esse di complicata attuazione. Certo è che gli ambiziosi obiettivi di efficientamento energetico posti dalla Direttiva hanno bisogno di sovvenzioni pubbliche di ingente ammontare a livello dei singoli Stati e a livello europeo, non potendo l’elevato costo degli interventi ricadere interamente sui privati.

Al riguardo, l’art. 11 della Direttiva prevede che

Gli Stati membri usano all’insegna dell’efficacia dei costi i finanziamenti nazionali e i finanziamenti disponibili stabiliti a livello dell’Unione, in particolare il dispositivo per la ripresa e la resilienza, il Fondo sociale per il clima, i fondi della politica di coesione, InvestEU, i proventi delle aste per lo scambio di quote di emissioni in applicazione della direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e altre fonti di finanziamento pubblico. Tali fonti di finanziamento sono impiegate coerentemente con un percorso verso il conseguimento di un parco immobiliare a emissioni zero entro il 2050.

Per sostenere la mobilitazione degli investimenti, gli Stati membri promuovono lo sviluppo e l’uso efficaci di strumenti d’investimento e di finanziamento abilitanti, quali prestiti per l’efficienza energetica e mutui ipotecari per la ristrutturazione degli edifici, contratti di rendimento energetico, regimi finanziari in funzione del risparmio, incentivi fiscali, ad esempio aliquote fiscali ridotte sui lavori e sui materiali di ristrutturazione, sistemi di detrazioni fiscali, sistemi di detrazioni in fattura, fondi di garanzia, fondi destinati a ristrutturazioni profonde, fondi destinati alle ristrutturazioni che garantiscono una soglia minima significativa di risparmi energetici mirati e norme relative al portafoglio di mutui ipotecari.”

Sull’efficientamento del patrimonio immobiliare pubblico, risulta previsto il ricorso ai piani di partenariato pubblico-privato.

Certamente, data l’esigenza del raggiungimento degli obiettivi posti dalla Direttiva, nel prossimo futuro assumeranno estrema importanza i criteri di misurazione del grado di efficientamento raggiunto da ogni singolo edificio e quindi, la capacità di effettiva misurazione del beneficio ottenuto in termini di energia risparmiata e di energia pulita.

Il percorso del green deal, dunque, è ancora molto molto lungo…direi appena iniziato.

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