24/04/2024

1. Con la risposta a interpello n. 14 del 24 gennaio 2024 l’Agenzia delle Entrate ha fornito ulteriori chiarimenti in merito all’ipotesi di esclusione dal credito d’imposta per investimenti in beni strumentali nuovi per i beni gratuitamente devolvibili delle imprese operanti in concessione e a tariffa nei settori della raccolta e smaltimento rifiuti.

Giova ricordare a questo riguardo che la disciplina istitutiva di tale credito d’imposta – sia nella versione prevista dall’art. 1, commi da 184 a 197, della L. n. 160/2019, sia in quella recata dall’art. 1, commi da 1051 a 1063, della L. n. 178/2020 – ha previsto l’esclusione dal campo di applicazione dell’agevolazione degli investimenti in beni gratuitamente devolvibili effettuati dalle imprese operanti in concessione e a tariffa nei settori di attività ivi elencati, incluso quello dell’energia ([1]).

Tale esclusione di carattere “oggettivo” è rinvenibile, a ben vedere, nella ratio della misura agevolativa in commento, la quale è diretta a incentivare l’effettuazione di nuovi investimenti che altrimenti l’impresa non intraprenderebbe o intraprenderebbe in misura minore, da parte dei soggetti che sopportano i rischi degli investimenti stessi. Di talché non possono essere inclusi nel novero degli investimenti agevolabili quelli:

1) “la cui realizzazione costituisca adempimento dei precisi obblighi assunti dalle imprese operanti nell’ambito della gestione in concessione di attività regolate”;

2) “la cui effettuazione e la cui “remunerazione” trovano diretta corrispondenza nel piano economico-finanziario del contratto di concessione e nella determinazione della tariffa” ([2]).

Tant’è che, proprio per le ragioni suesposte, le convenzioni regolanti i rapporti tra l’Ente concedente e il gestore del bene prevedono di norma che i beni rientranti nel perimetro concessorio siano oggetto di devoluzione obbligatoria al soggetto concedente al termine del rapporto, non potendo l’impresa concessionaria disporne autonomamente così come avviene per i beni appartenenti alla propria sfera patrimoniale.

2. Venendo nello specifico all’ambito oggettivo di applicazione della norma di esclusione in commento, occorre richiamare la posizione espressa dall’Agenzia delle Entrate in precedenti documenti di prassi, in cui ha individuato, in via interpretativa, le condizioni al ricorrere delle quali gli investimenti in beni strumentali nuovi effettuati dalle società operanti in concessione devono essere esclusi dall’agevolazione.

Sotto un primo profilo, l’Agenzia ha precisato che gli investimenti in beni non rientranti nel perimetro concessorio – i.e. quelli per i quali non sussiste l’obbligo di devoluzione finale all’Ente concedente – sono ammessi al credito d’imposta de quo, ferma restando la ricorrenza degli altri requisiti normativamente previsti. Ciò in quanto l’effettuazione di tali investimenti “non discende da un obbligo assunto nell’ambito della concessione” e “non sussiste alcun obbligo di devoluzione finale all’ente concedente ovvero al soggetto subentrante” di tali beni, su cui “il gestore-proprietario può esercitare gli ordinari diritti di disposizione, sia nel corso della concessione, sia al termine della stessa” ([3]).

Per quanto concerne i beni rientranti nel perimetro concessorio, l’Agenzia ha invece chiarito, in coerenza con la ratio della disposizione agevolativa in commento, che le società operanti in concessione nei settori di attività sopra richiamati non possono accedere al credito d’imposta in commento, quando congiuntamente:

1) l’effettuazione degli investimenti costituisce un adempimento degli obblighi assunti nei confronti dell’ente pubblico concedente;

2) sono previsti meccanismi (sub specie di adeguamento del corrispettivo del servizio fornito, comunque denominato, e/o contribuzione del soggetto concedente) che sterilizzano il rischio economico dell’investimento nei beni strumentali nuovi ([4]).

3. A questo proposito, l’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di precisare che non ha alcuna incidenza sulla qualificazione di “beni gratuitamente devolvibili” la circostanza che la concessione preveda, nel caso in cui i beni non siano stati interamente ammortizzati al termine del rapporto concessorio, che il gestore subentrante corrisponda al gestore uscente un importo – a titolo di “indennizzo” – pari al costo non ancora ammortizzato degli stessi.

La previsione di tale indennizzo, ad avviso dell’Agenzia, non risulta invero in contrasto né con l’obbligo di devoluzione di tali beni all’Ente concedente, né con la “gratuità” di tale devoluzione, posto che detto indennizzo “non costituisce il corrispettivo ottenuto a seguito di una (libera) cessione a titolo oneroso dei beni, ma trova causa nello stesso rapporto di concessione”. Ed infatti, per il gestore uscente l’indennizzo assume “natura e funzione di elemento di riequilibrio economico-finanziario della gestione (nel caso in cui le relative vicende non abbiano consentito il completo recupero, sotto forma di ammortamento, degli investimenti nei beni rientranti nel perimetro concessorio)”, mentre per il gestore subentrante costituisce “il costo degli investimenti che lo stesso sarebbe stato tenuto a effettuare in attuazione degli obblighi previsti dalla convenzione con l’ente concedente” ([5]).

Analoghe conclusioni sono poi estendibili anche ai beni rientranti nel perimetro concessorio la cui vita utile risulti inferiore alla durata della concessione e che, dunque, devono essere medio tempore dismessi e sostituiti con beni nuovi. Anche in tal caso, infatti, secondo l’Agenzia, “permane l’obbligo di devoluzione al momento della cessazione della Concessione e il diritto all’ottenimento di un indennizzo in funzione di riequilibrio economico-finanziario, non mutando in tal caso la qualificazione di beni gratuitamente devolvibili nel senso sopra chiarito”.

4. In aggiunta, secondo l’Agenzia, il riferimento testuale alle imprese operanti “in concessione” e “a tariffa” operato dalla norma in commento deve essere interpretato tenendo conto dell’evoluzione nel tempo delle modalità di affidamento dei servizi da parte degli enti pubblici ai privati.

In questo contesto, l’esclusione opera dunque anche nel caso in cui le concessioni prevedano, quale corrispettivo del servizio reso dal concessionario, un canone corrisposto dall’Ente concedente in luogo di una tariffa corrisposta dall’utenza ([6]). Ciò che invero assume rilievo ai fini dell’esclusione dall’agevolazione è la previsione di una tariffa “remuneratoria” fissata dall’Ente concedente o regolamentata, che copra tutti i costi dell’attività e, in particolare, quelli relativi agli investimenti in beni strumentali realizzati.

Di converso, l’Agenzia ha ritenuto applicabile l’agevolazione per gli investimenti in beni strumentali effettuati nell’ambito di un contratto di appalto pubblico (e non di una concessione), nel presupposto che non risulta integrato il presupposto oggettivo di applicazione della norma ([7]). Ciò con la precisazione che l’accesso all’agevolazione è consentito per i soli investimenti in beni destinati a permanere nella titolarità e nella disponibilità della società appaltatrice anche dopo la conclusione del contratto, su cui la stessa può esercitare gli ordinari diritti di disposizione ([8]).

5. Venendo alla risposta a interpello in commento, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto applicabile la norma di esclusione anche ad una società concessionaria operante esclusivamente nel settore dello “smaltimento” dei rifiuti e non anche nel settore della “raccolta”.

Ciò in quanto, ad avviso dell’Agenzia, il legislatore non ha inteso limitare l’esclusione prevista dal comma 1053 esclusivamente ai soggetti che esercitano entrambe le attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti; in tal caso, infatti, si determinerebbe la conseguenza che il credito d’imposta in commento sarebbe fruibile da parte dei soggetti che, pur operando nel medesimo ambito, svolgono solo una delle predette attività oggetto della concessione.

Ne consegue che, secondo l’Agenzia, lo svolgimento della sola attività di smaltimento (e non anche di quella di raccolta) non è ostativa alla possibilità che la società sia esclusa dal credito d’imposta in commento.

Inoltre, l’Agenzia ha ribadito, in linea con le indicazioni rese nel richiamato principio di diritto n. 7 del 2023, che “l’effettuazione di investimenti non obbligatori e relativi a un’attività il cui corrispettivo ottenuto dal concessionario non sia in alcun modo costituito da un prezzo fissato dall’ente concedente o regolamentato (ma determinato a seguito di ‘libera trattativa’ tra le parti e in ‘completa autonomia’) non integra i presupposti per la sussistenza di ‘imprese operanti in concessione e a tariffa’ come richiesto dal comma 1053”. Nello specifico, secondo l’Agenzia, ai fini dell’applicazione dell’esclusione in commento, occorre verificare in concreto se la tariffa applicata preveda dei meccanismi tariffari che sterilizzino il rischio economico dell’investimento nei beni strumentali nuovi effettuato dall’impresa concessionaria.

6. Dal quadro interpretativo sopra delineato si ricava dunque che anche per le società operanti in concessione che effettuano investimenti in beni strumentali nuovi – ivi comprese quelle operanti nel settore dell’energia – non è escluso tout court l’accesso alla disciplina agevolativa in commento.

Ciò in quanto:

1) non v’è dubbio sulla possibilità di beneficiare del credito d’imposta de quo in relazione agli investimenti effettuati in beni strumentali non rientranti nel perimetro concessorio, in quanto realizzati non in forza di obblighi convenzionali e non devolvibili all’Ente concedente al termine della concessione;

2) inoltre, è possibile fruire della misura agevolativa anche in relazione agli investimenti realizzati in beni rientranti nel perimetro concessorio, a condizione che detti investimenti:

(i) non abbiano alcuna relazione con l’adempimento degli obblighi convenzionali assunti nei confronti dell’Ente concedente, né sono menzionati nel piano economico-finanziario, ma la loro realizzazione è rimessa alla discrezionalità della società concessionaria;

(ii) siano relativi ad un’attività in cui non è previsto un corrispettivo a carico degli utenti a regolazione pubblicistica, né uno specifico contributo da parte dell’ente concedente, ma tale corrispettivo sia determinato a seguito di “libera trattativa” tra le parti e in “completa autonomia”.

Per poter verificare se gli investimenti che le società concessionarie intendono realizzare possono accedere all’agevolazione in commento, occorre dunque effettuare un’analisi delle obbligazioni assunte dalla stessa nei confronti dell’Ente concedente in forza delle concessioni stipulate, oltre che un’indagine di tipo fattuale sulla tipologia di investimenti da realizzare e sulla struttura del corrispettivo ivi previsto, onde scongiurare la presenza di meccanismi remuneratori, volti a coprire il costo dei medesimi investimenti.

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[1] Analoga esclusione è stata prevista anche nella disciplina istitutiva del credito d’imposta per investimenti rientranti nel c.d. «Piano Transizione 5.0» di cui all’art. 38, comma 6, lett. d), del d.l. n. 19/2024.

[2] Si vedano, a questo proposito, le risposte a interpello n. 721 del 18 ottobre 2021 e n. 848 del 22 dicembre 2021, nonché il principio di diritto n. 7 dell’11 aprile 2023.

[3] Ed infatti, tali beni – osserva l’Agenzia – “possono formare oggetto di cessione nei confronti di qualunque soggetto e nell’ambito di una ordinaria operazione commerciale effettuata sulla base del prezzo riconosciuto dal mercato e delle scelte gestionali più convenienti per l’impresa” (cfr. risposta a interpello n. 721/2021, nonché risposta a interpello di 389/E del 2020).

[4] Cfr. principio di diritto n. 7 dell’11 aprile 2023. Sulla necessità che i requisiti ricorrano congiuntamente, si veda anche la risposta a interpello n. 14 del 24 gennaio 2024.

[5] Cfr. risposte a interpello n. 721 del 18 ottobre 2021 e n. 848 del 22 dicembre 2021.

[6] Cfr. principio di diritto n. 7 dell’11 aprile 2023.

[7] Cfr. risposta a interpello n. 134 del 23 gennaio 2023.

[8] Diversamente, l’Agenzia ha ritenuto esclusi dal campo di applicazione dell’agevolazione gli investimenti effettuati in ragione di un preciso obbligo scaturente dal contratto di appalto stipulato con l’ente pubblico (nella specie, sostituzioni, reintegri e migliorie) in quanto aventi ad oggetto beni per i quali esiste un obbligo di restituzione all’ente pubblico e di cui la società appaltatrice non può disporre autonomamente (cfr. risposta a interpello n. 134 del 23 gennaio 2023).

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