Come noto, l’immissione in consumo di un prodotto sottoposto ad accisa determina l’esigibilità del tributo, e l’art. 7, par. 4, della direttiva 2008/118/CE del Consiglio del 16 dicembre 2008, relativa al regime generale delle accise, stabilisce che
“La distruzione totale o la perdita irrimediabile dei prodotti sottoposti ad accisa in regime di sospensione dall’accisa per una causa inerente alla natura stessa di tali prodotti, per un caso fortuito o per causa di forza maggiore, o in seguito all’autorizzazione delle autorità competenti dello Stato membro, non è considerata immissione in consumo”.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (di seguito, “CGUE”) ha di recente interpretato tale disposizione nell’ambito di un giudizio pregiudiziale ex art. 267 TFUE scaturente da un contenzioso tra l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e una società italiana, con una sentenza – la pronuncia 18 aprile 2024 nella causa C-509/22 – che merita di essere qui segnalata per il suo contenuto precettivo e di particolare rigore.
Giova considerare il caso da cui la CGUE ha preso le mosse: presso un impianto autorizzato di denaturazione di alcol etilico di una società italiana (la denaturazione è il processo attraverso cui l’alcol è reso inadatto al consumo umano), durante le operazioni di carico nel serbatoio e in presenza di un funzionario dell’Agenzia delle Dogane, una parte del prodotto è fuoriuscito e andato irrimediabilmente perduto a causa di una valvola lasciata erroneamente aperta da parte di un dipendente della Società. Quest’ultima ha quindi chiesto all’ADM un abbuono dell’accisa per “caso fortuito” o comunque “colpa non grave” in relazione al quantitativo di alcole non immesso in consumo ma andato accidentalmente disperso (ciò, naturalmente, richiamando l’art. 4, comma 1, Testo Unico Accise a mente del quale, nella formulazione al tempo vigente,
“In caso di perdita irrimediabile o distruzione totale di prodotti che si trovano in regime sospensivo, è concesso l’abbuono della relativa imposta qualora il soggetto obbligato provi, in un modo ritenuto soddisfacente dall’Amministrazione finanziaria, che la perdita o la distruzione dei prodotti è avvenuta per caso fortuito o per forza maggiore. Fatta eccezione per i tabacchi lavorati, i fatti imputabili a titolo di colpa non grave, a terzi o allo stesso soggetto passivo, sono equiparati al caso fortuito ed alla forza maggiore.”).
L’ADM ha però negato l’abbuono, opponendo che la perdita era dovuta a negligenza di un dipendente della Società. Nei gradi di merito i giudici hanno condiviso le tesi della contribuente; tuttavia, nel successivo grado di legittimità, la Corte di Cassazione ha aperto un giudizio incidentale interpretativo trasmettendo gli atti alla CGUE, alla luce del fatto che in base a taluni precedenti della stessa CGUE le nozioni di «caso fortuito» e di «forza maggiore», ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 4, della direttiva 2008/118, non sembrano riferirsi a condotte colpose né, in particolare, a condotte meramente disattente, di per sé prevedibili e agevolmente evitabili, essendo entrambe caratterizzate da un elemento oggettivo, relativo alle circostanze anormali ed imprevedibili, e un elemento soggettivo, costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate pur senza incorrere in sacrifici eccessivi. In altre parole, per la Cassazione equiparare mediante legge nazionale la colpa lieve al caso fortuito e alla forza maggiore equivale a prevedere, quale motivo distinto di esenzione dall’accisa, un’ipotesi ulteriore che non sembra però emergere dalle disposizioni della direttiva 2008/118: occorreva quindi che la CGUE interpretasse il menzionato art. 7, par. 4 della direttiva, per verificare i) se esso permetta o meno che specifici eventi ulteriori rispetto a quelli a cui si riferiscono il caso fortuito e la forza maggiore, non individuabili aprioristicamente, ma relativi a peculiari elementi di fatto che, in quanto sottoposti alla preventiva valutazione dell’autorità competente, giustifichino l’adozione di un provvedimento di distruzione del prodotto; e ii) se la nozione di «caso fortuito» possa avere una portata diversa da quella di «forza maggiore». Sulla base di queste premesse, la Cassazione ha proposto alla CGUE quattro questioni pregiudiziali, in relazione alle quali quest’ultima ha svolto ampi approfondimenti, di cui qui si riportano le conclusioni:
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“la nozione di «caso fortuito», ai sensi di tale disposizione, deve essere intesa, al pari di quella di «forza maggiore», come riferita a circostanze estranee a colui che l’invoca, anormali e imprevedibili, le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso”;
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“affinché sia riconosciuta l’esistenza di un «caso fortuito», ai sensi di tale disposizione, occorre, da un lato, che la distruzione totale o la perdita irrimediabile dei prodotti sottoposti ad accisa sia dovuta a circostanze anormali, imprevedibili ed estranee all’operatore interessato, il che è escluso qualora tali circostanze rientrino nella sfera di responsabilità dell’operatore, e, dall’altro lato, che quest’ultimo abbia dato prova della diligenza normalmente richiesta nell’ambito della sua attività al fine di premunirsi contro le conseguenze di un tale evento”;
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L’art. 7, par. 4 cit. “osta a una disposizione di diritto nazionale di uno Stato membro che equipara in tutti i casi i fatti imputabili al soggetto passivo a titolo di colpa non grave al caso fortuito e alla forza maggiore. Tuttavia, qualora i fatti imputabili a titolo di colpa non grave che hanno comportato la distruzione totale o la perdita irrimediabile del prodotto sottoposto ad accisa siano stati commessi nell’ambito di un’operazione di denaturazione preventivamente autorizzata dalle autorità nazionali competenti, si deve ritenere che tale distruzione o tale perdita si sia verificata in seguito all’autorizzazione delle autorità competenti dello Stato membro interessato, cosicché detta distruzione o detta perdita non deve essere considerata un’immissione in consumo ai sensi dell’articolo 7 della direttiva 2008/118” (par. 75);
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L’art. 7, par. 4 cit. “deve essere interpretato nel senso che l’espressione «in seguito all’autorizzazione delle autorità competenti dello Stato membro», di cui al primo comma di tale disposizione, non può essere intesa nel senso di consentire agli Stati membri di prevedere in via generale che la distruzione totale o la perdita irrimediabile dei prodotti sottoposti ad accisa in regime di sospensione dall’accisa non costituisca un’immissione in consumo qualora risulti da colpa non grave”
La CGUE ha quindi ricordato che gli Stati membri non possono introdurre con la loro legislazione nazionale categorie generali ulteriori rispetto a quelle previste dall’art. 7, par. 4, della direttiva 2008/118; e ha stabilito che la legislazione italiana, nella parte in cui essa ha equiparato al caso fortuito ed alla forza maggiore “i fatti imputabili a titolo di colpa non grave, a terzi o allo stesso soggetto passivo”, non è in linea con il diritto comunitario e pertanto va disapplicata. Ciò costituisce una evidente restrizione delle ipotesi in cui potrà essere riconosciuto agli operatori l’abbuono per perdite.
D’altra parte, la CGUE sembra allargare le maglie dell’abbuono allorché stabilisce che il fatto colposo non grave che ha comportato la distruzione o la perdita del prodotto, se è stato commesso a seguito e nell’ambito di un’operazione preventivamente autorizzata dalle autorità nazionali competenti, non determina una distruzione o una perdita riconducibile all’immissione in consumo.
Calando tali principi nel caso concreto, la Corte di Cassazione, alla luce della qui segnalata pronuncia della CGUE, dovrebbe cassare la pronuncia di secondo grado posta al suo vaglio, dal momento che i giudici di appello – ritenuta sussistente la colpa lieve – avevano ricondotto l’ipotesi di dispersione al caso fortuito previsto dall’art. 4, comma 1, TUA, ma tale riconduzione non è più possibile perché in contrasto con la corretta interpretazione dell’art. 7, par. 4, della direttiva 2008/118/CE. Nondimeno, dal momento che la CGUE ha stabilito che non vi è immissione in consumo ai sensi dell’art. 7 della citata direttiva se la perdita è avvenuta per fatti di colpa lieve “commessi nell’ambito di un’operazione di denaturazione preventivamente autorizzata dalle autorità nazionali competenti” è altresì ragionevole prevedere che la Suprema Corte cassi con rinvio affinché il giudice di merito verifichi che i fatti che hanno comportato la perdita (l’erronea apertura della valvola) risultano commessi nell’ambito della operazione di denaturazione preventivamente autorizzata dall’ADM, nel qual caso l’abbuono dovrebbe essere concesso.