Le politiche fiscali per una transizione green: dal G7 di Stresa soluzioni per un futuro sostenibile
Il 24 ed il 25 maggio 2024 i Ministri delle Finanze ed i Governatori delle Banche Centrali del G7 si sono riuniti a Stresa per discutere e definire un pacchetto di opzioni politiche finalizzate a delineare i parametri entro i quali sia possibile raggiungere una transizione verso un’economia a emissioni nette zero.
Questo incontro, sotto la presidenza italiana, ha posto l’accento sulla necessità di sviluppare politiche fiscali ambientali efficaci che siano in grado sia di ridurre le emissioni di gas serra ma allo stesso tempo anche di promuovere la crescita economica e garantire l’accettabilità sociale delle misure adottate.
Il documento “Finance Track Menu of Policy Options for a Just Transition” rappresenta il risultato di tali discussioni, fornendo una guida dettagliata su come affrontare le sfide della decarbonizzazione attraverso politiche ambientali lungimiranti. I paesi del G7, rappresentando circa il 40% dell’economia globale e il 25% delle emissioni dirette di CO2, hanno una responsabilità cruciale nel guidare il cammino verso la decarbonizzazione, al fine di raggiungere il complesso risultato di azzerare le emissioni di gas serra entro il 2050.
La presidenza italiana ha sottolineato l’importanza di fornire un contributo sostanziale agli sforzi globali per ridurre le emissioni di gas serra del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035, rispetto ai livelli del 2019. Tuttavia, la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio presenta sfide significative, tra cui l’aumento dei prezzi dell’energia, l’instabilità geopolitica e le crescenti disuguaglianze sociali. Proprio per questo è di vitale importanza che nel “Finance Track Menu of Policy Options for a Just Transition” discusso a Stresa si siano identificate soluzioni politico – fiscali tese al raggiungimento di una transizione “equa”, che tenga cioè quanto più possibile conto di problematiche altrettanto importanti come quelle poc’anzi citate nel perseguimento degli obiettivi prefissati.
Tra le varie politiche fiscali volte a contrastare i cambiamenti climatici, il carbon pricing emerge come uno degli strumenti più rilevanti. Questo meccanismo economico, come noto, si basa su un principio tanto semplice quanto efficace: attribuire un costo alle emissioni di anidride carbonica (CO2), incentivando così le aziende e i consumatori a ridurre il loro impatto ambientale. Il carbon pricing può assumere diverse forme, tra cui le più comuni sono le tasse sul carbonio ed il sistema di scambio di emissioni
Tra le soluzioni di politica fiscale tese alla promozione di una economia sostenibile identificate nel G7 di Stresa, altrettanto rilevanti sono le cosiddette tariffe feed–in o FIT (Feed – in Tariff). Queste ultime rappresentano un meccanismo di incentivazione economica cruciale per il sostegno e lo sviluppo delle energie rinnovabili. Infatti, questo sistema prevede che i produttori di energia da fonti rinnovabili, come solare, eolico, idroelettrico e biomasse, ricevano una tariffa garantita per l’energia che producono e immettono nella rete elettrica[1].
Tali politiche fiscali green, non hanno effetti positivi solo sul clima, ma anche sull’economia. Infatti, come asserito nel “Finance Track Menu of Policy Options for a Just Transition” sono numerosi gli studi che indicano come gli strumenti a tutela dell’ambiente riescano, nel lungo periodo, a generare moltiplicatori positivi per l’economia, incrementando le entrate dei paesi che li adottano soprattutto tramite la creazione di nuovi posti di lavoro.
La problematica più grande, però, riguarderebbe il breve periodo, poiché i paesi più poveri o i cittadini più vulnerabili subirebbero effetti prevalentemente negativi in virtù della decarbonizzazione, a causa del forte legame tra carbonio ed economie meno sviluppate. Per questo è assolutamente necessario, come sottolineato dai rappresentati del G7, analizzare gli impatti distributivi delle politiche climatiche, che appunto variano da paese a paese, intervenendo, dove necessario, con politiche di sostegno economico, magari con gettito fiscale derivante proprio dalla riduzione dei sussidi economici ai combustibili fossili o derivante dalla tassazione green dei paesi più sviluppati, nell’ottica di una proficua cooperazione internazionale. Cooperazione che risulta fondamentale anche per evitare il fenomeno del “carbon leakage” (letteralmente “fuga di carbonio”) cioè la delocalizzazione delle attività economiche altamente inquinanti in paesi dove la sensibilità alle tematiche ambientali è minore, e quindi le regole risultano essere meno stringenti.
Infine il “Finance Track Menu of Policy Options for a Just Transition” pone l’attenzione sull’importanza di una corretta informazione ai cittadini riguardo le politiche fiscali green. Infatti, una comunicazione chiara, trasparente e basata su prove degli effetti positivi di quest’ultime, su quale sia la loro logica e il loro impatto, è fondamentale per costruire il sostegno, anche in quei segmenti della società che in linea di principio si opporrebbero.
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[1] Questa tariffa è solitamente superiore a quella di mercato e viene garantita per un periodo di tempo prolungato, comunemente tra i 15 e i 20 anni. Risulta evidente come i vantaggi delle tariffe feed–in siano molteplici: forniscono sicurezza a tutti coloro che decidano di investire in energie rinnovabili grazie ad un flusso di entrate garantito e prevedibile, stimolando la crescita del settore. Inoltre, contribuiscono alla diversificazione delle fonti energetiche ed alla riduzione della dipendenza dai combustibili fossili, aiutando a ridurre le emissioni di gas serra.
Tuttavia, le tariffe feed–in presentano anche delle insidie: infatti, ad esempio, il costo degli incentivi può essere trasferito sui consumatori sotto forma di tariffe energetiche più elevate; o, ancora, gli incentivi possono, se non adeguatamente calibrati, generare effetti distorsivi sul mercato, tipici della cosiddetta “sovraincentivazione”.