1. Con sentenza del 30 maggio 2024 pronunciata nella causa C-743/22, la Corte di Giustizia dell’UE ha concluso per la contrarietà al sistema previsto dalla Direttiva 2003/96 di una norma interna che, nell’ambito della tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, preveda l’applicazione di un’imposizione aggiuntiva con aliquote differenziate sulla base di un mero criterio geografico e distinte per il medesimo prodotto ed il medesimo uso a seconda del territorio in cui il prodotto è consumato, potendo tale approccio arrecare un pregiudizio al buon funzionamento del mercato interno e alla libera circolazione delle merci.
La causa trae origine dalla domanda di pronuncia pregiudiziale del Tribunale spagnolo in merito alla conformità alla citata Direttiva (che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità) di una normativa interna che autorizza le comunità autonome spagnole a fissare un’aliquota d’imposta regionale per l’accisa sugli oli minerali aggiuntiva rispetto all’aliquota nazionale e differenziata in funzione del territorio. La normativa nazionale in vigore prevede in sostanza due imposte: da un lato, un’imposta nazionale, la cui aliquota è uniforme su tutto il territorio nazionale, e, dall’altro, un’imposta regionale supplementare, la cui aliquota è fissata da ciascuna comunità autonoma per gli oli minerali consumati nel proprio territorio. A tal proposito, il giudice remittente ha formulato la seguente domanda:
“se la direttiva [2003/96], in particolare l’articolo 5, debba essere interpretata nel senso che osta ad una norma nazionale, come l’articolo 50 ter della [legge sulle accise], che autorizzava le comunità autonome a fissare per uno stesso prodotto aliquote dell’accisa sugli oli minerali diverse a seconda del territorio”.
In merito, la CGUE ha anzitutto rilevato che:
“l’articolo 5 della direttiva 2003/96 prevede che gli Stati membri possono applicare, sotto controllo fiscale, aliquote d’imposta differenziate, a condizione che dette aliquote rispettino i livelli minimi di tassazione stabiliti da tale direttiva e siano compatibili con il diritto dell’Unione, nei seguenti casi, vale a dire, anzitutto, quando le aliquote differenziate sono direttamente connesse con la qualità del prodotto, altresì, quando le aliquote differenziate dipendono dai livelli quantitativi del consumo di elettricità e dei prodotti energetici utilizzati per il riscaldamento, inoltre, per i seguenti usi: trasporti pubblici locali di passeggeri (compresi i taxi), raccolta di rifiuti, forze armate e pubblica amministrazione, disabili, ambulanze, ed infine, tra uso commerciale e non commerciale, per i prodotti energetici e l’elettricità di cui agli articoli 9 e 10 della stessa direttiva”.
Tale disposizione, prosegue la Corte, di converso,
“non prevede la possibilità per uno Stato membro di fissare aliquote di accisa per il medesimo prodotto e il medesimo uso che siano diverse a seconda delle regioni o dei territori di tale Stato membro in cui tale prodotto è consumato, come prevedeva la normativa di cui trattasi nel procedimento principale. Inoltre l’utilizzo, all’articolo 5 della direttiva 2003/96, dei termini «nei seguenti casi» per designare i quattro casi in cui possono essere applicate aliquote d’imposta differenziate, indica che l’elenco indicato in tale disposizione è esaustivo (v., in tal senso, sentenza del 2 giugno 2016, ROZ-ŚWIT, C-418/14, EU:C:2016:400, punto 29)”.
Pertanto
“sia dall’articolo 5 sia dall’analisi dell’insieme delle disposizioni della direttiva 2003/96, che prevedono riduzioni o esenzioni di tassazione, risulta che, anche se il settore della tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità è solo parzialmente armonizzato e tale direttiva riconosce agli Stati membri un certo margine di manovra affinché essi possano attuare politiche adeguate ai contesti nazionali, resta tuttavia il fatto che tale margine di manovra è circoscritto. Ne consegue che, a prescindere dal rispetto dei livelli minimi di tassazione imposti da detta direttiva, le facoltà offerte agli Stati membri di instaurare aliquote d’imposta differenziate, esenzioni dalla tassazione o riduzioni delle accise possono essere attuate solo nel rigoroso rispetto delle condizioni stabilite dalle pertinenti disposizioni della direttiva 2003/96”.
Solo una tale interpretazione, d’altronde,
“è conforme agli obiettivi della direttiva 2003/96 enunciati ai considerando da 2 a 5 e 24 di quest’ultima e che mirano a promuovere il buon funzionamento del mercato interno nel settore dell’energia, evitando, in particolare, le distorsioni della concorrenza (sentenza del 30 gennaio 2020, Autoservizi Giordano, C-513/18, EU:C:2020:59, punto 30 e giurisprudenza citata)”.
Né a diverse conclusioni si giunge riconducendo l’accisa aggiuntiva in questione tra le altre imposte indirette di cui all’art. 1, par. 2, della Direttiva 2008/118 relativa al regime generale delle accise. Ed infatti, secondo il predetto art. 1, gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette purché siano rispettate due condizioni: la sussistenza di una finalità specifica e il rispetto delle norme fiscali dell’Unione applicabili all’accisa o all’IVA per la determinazione della base imponibile, nonché per il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta, restando escluse da tali norme le disposizioni relative alle esenzioni.
In particolare la Corte ha chiarito che per poter essere considerata perseguire una finalità specifica ai sensi dell’art. 1, paragrafo 2, della direttiva n. 2008/118, un’imposta il cui gettito sia stato destinato ad un determinato scopo deve, di per se stessa, mirare a garantire la realizzazione della finalità specifica invocata, di modo che sussista un nesso diretto tra l’uso del gettito derivante dall’imposta e la finalità dell’imposizione in questione (sentenza del 22 giugno 2023, Endesa Generación, C‑833/21, EU:C:2023:516, punto 41 e giurisprudenza citata).
In assenza di un siffatto meccanismo di destinazione predeterminata del gettito, un’imposta che grava sui prodotti soggetti ad accisa può perseguire una finalità specifica ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva n. 2008/118 soltanto qualora tale contributo sia concepito, per quanto riguarda la sua struttura – in particolare la materia imponibile o l’aliquota d’imposta – in modo tale da influenzare il comportamento dei contribuenti in un senso che consenta la realizzazione della finalità specifica invocata, segnatamente mediante una forte tassazione dei prodotti di cui trattasi al fine di scoraggiarne il consumo.
Ebbene, secondo la CGUE, nel caso della disciplina spagnola, detto requisito non sarebbe comunque rispettato posto che “dalle osservazioni presentate dal governo spagnolo risulta che tale aliquota d’imposta regionale era destinata a finanziare l’insieme delle competenze delle comunità autonome”.
Sulla base di tutto quanto sopra la CGUE ha, dunque, concluso che:
“la direttiva 2003/96/CE del Consiglio, del 27 ottobre 2003, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, come modificata dalla direttiva 2004/74/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, e dalla direttiva 2004/75/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, in particolare il suo articolo 5, dev’essere interpretata nel senso che: essa osta a una normativa nazionale che autorizza regioni o comunità autonome a fissare aliquote di accisa diverse per il medesimo prodotto e il medesimo uso a seconda del territorio in cui il prodotto è consumato, al di fuori dei casi previsti a tal fine”.
2. Per connessione di argomento, giova peraltro appena ricordare che principi analoghi a quelli enunciati nella sentenza in commento circa l’interpretazione del requisito della c.d. finalità specifica richiesto dall’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva n. 2008/118 sono già stati espressi dalla CGUE in pronunce più risalenti (cfr. Corte di Giustizia UE, 5 marzo 2015, C-553/13, Statoil Fuel & Retail, punti 35 – 36; analogamente Corte di Giustizia UE, 25 luglio 2018, C-103/17, La Messer France SAS, punti 35 ss.; Corte di Giustizia UE, 27 febbraio 2014, C82/12, Transportes Jordi Besora, punto 22)([1]).
Ed è proprio sulla scorta di tali principi che la Corte di Cassazione, come già diffusamente argomentato in precedenti contributi pubblicati su questo sito, ha ritenuto non ravvisabile detta finalità specifica nelle addizionali provinciali al consumo dell’energia elettrica nazionali di cui all’art. 6, del D.L. n. 511 del 1988, sancendo l’illegittimità del prelievo effettuato sino alla loro abrogazione ([2]). Di qui la genesi dell’ampio contenzioso instaurato dai consumatori per ottenere la restituzione di quanto indebitamente versato ai fornitori di energia a titolo di addizionale.
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[1] La CGUE aveva infatti già affermato che, secondo il diritto unionale, un’imposizione indiretta, aggiuntiva sul consumo di energia elettrica – consumo già colpito dalle accise armonizzate – è possibile, ai sensi dei paragrafi 1 e 2 della Direttiva 2008/118/CE, ove tale imposizione aggiuntiva: “sia, da un lato, rispondente a una o più finalità specifiche e, dall’altro, rispetti le regole di imposizione dell’unione applicabili ai fini delle accise o dell’IVA per la determinazione della base imponibile, del calcolo, dell’esigibilità e del controllo dell’imposta, ciò in quanto occorre evitare che le imposizioni indirette supplementari ostacolino indebitamente gli scambi” (Corte di Giustizia UE, 5 marzo 2015, C-553/13, Statoil Fuel & Retail, punti 35 – 36; analogamente Corte di Giustizia UE, 25 luglio 2018, C-103/17, La Messer France SAS, punti 35 ss.; Corte di Giustizia UE, 27 febbraio 2014, C82/12, Transportes Jordi Besora, punto 22).
Punto decisivo ai fini della sopravvivenza, secondo il diritto dell’Unione Europea (al fine della applicazione della disciplina di diritto interno), delle imposte addizionali è, pertanto, la sussistenza di una finalità specifica, intendendosi come tale una finalità “che non sia puramente di bilancio (Corte di Giustizia UE, 24 febbraio 2000, C-434/97, Commissione/Francia, punto 19; Corte di Giustizia UE, 9 marzo 2000, C-437/97, EKW e Wein & Co., punto 31; Corte di Giustizia UE, 27 febbraio 2014, C-82/12, Transportes Jordi Besora, cit., punto 23)”. Tra queste finalità specifiche non può rientrare la generica previsione che una parte del gettito di un’imposta addizionale si risolva in una contribuzione al bilancio interno di uno Stato.
[2] Abrogazione avvenuta proprio a seguito dell’avvio di un’istruttoria finalizzata all’apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea nei confronti dello Stato italiano a causa del conflitto tra la normativa nazionale e la Direttiva 2008/118/CE.