1. Come si era già osservato in un precedente articolo su questo sito, l’entrata in vigore del Regolamento UE n. 2023/956 istitutivo del c.d. CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism) è stata accompagnata da un interessante dibattito sui possibili impatti economici e sui limiti non solo della misura in commento, ma dell’intera politica ambientale dell’Unione Europea.

Da un lato, la necessità, per il CBAM, di non porsi in contrasto con le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e con gli obblighi internazionali dell’UE, diretti ad evitare una discriminazione dei prodotti extraeuropei rispetto a quelli interni e, dall’altro, sotto un profilo più marcatamente operativo, la presenza di criticità relative alla sua concreta applicazione sono solo alcune tra le considerazioni che hanno indotto i primi commentatori ad interrogarsi sulla reale utilità di tale istituto.

Istituto che, lo si ricorda, si dovrebbe tradurre, con l’entrata in vigore a regime della misura, nell’applicazione di una tariffa doganale sulle emissioni di carbonio di specifiche merci appartenenti principalmente ai settori del cemento, dei fertilizzanti, dei prodotti chimici, di ferro, acciaio, alluminio, e dell’elettricità. Gli importatori nazionali da economie extra-UE saranno così tenuti a pagare, per ogni tonnellata di emissioni di carbonio incorporata in tali merci, un importo determinato in base alla media mobile settimanale del prezzo di collocamento sul mercato primario delle quote di emissione europee (c.d. ETS).

2. In un contesto in cui la politica ambientale dell’Unione è ritenuta potenzialmente lesiva della competitività delle industrie europee e si discute delle criticità applicative del CBAM, ben si possono allora comprendere i vari tentativi di modifica della normativa che regola tale sistema e che sono attualmente allo studio del Parlamento italiano: in particolare, nella seduta della Camera dei Deputati del 10 aprile 2024 si è dato spazio alla discussione e alla votazione di alcune mozioni proprio in materia di revisione dei meccanismi di tassazione delle emissioni di carbonio per le importazioni, a tutela della competitività delle aziende europee.

Leggendo le varie mozioni approvate, tutte finalizzate ad ottenere l’impegno del Governo ad avviare le più opportune interlocuzioni con le istituzioni europee [1], può affermarsi che gli obiettivi principali del Parlamento italiano sono quelli di:

i) valutare l’applicazione della misura a tutta la catena del valore dei prodotti, inclusi i prodotti finiti, al fine di scongiurare il rischio di delocalizzazione anche di alcune sole fasi (come quelle finali) della produzione [2];

ii) semplificare le procedure di autorizzazione degli operatori, le modalità di calcolo delle emissioni incorporate nei prodotti e le regole tecniche per le comunicazioni, scollegandole, in qualche modo, dalla necessità di ottenere le informazioni richieste dai Paesi terzi (spesso poco edotti sul funzionamento del meccanismo e poco inclini a collaborare) e, soprattutto, coordinandole con le norme attualmente in vigore per lo scambio degli ETS [3];

iii) salvaguardare la competitività delle imprese europee in relazione alle esportazioni e prevedere, al contempo, eventuali misure di supporto alle imprese operanti nei settori in cui le importazioni si rendono necessarie a causa di un’insufficiente offerta all’interno dell’Unione europea. Ciò anche perché, come emerge dagli studi più recenti, in mancanza di una seria discussione sull’utilizzo, da parte degli Stati, delle entrate derivanti dalla tariffazione del carbonio, la regolamentazione climatica potrebbe avere anche effetti distributivi importanti in termini di regressività [4].

Da ultimo, sono interessanti anche i riferimenti alla possibilità di maggiore cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, maggiormente esposti sia agli effetti della politica climatica dell’UE che ai suoi impatti sulle loro esportazioni, e all’adozione di misure antielusione, volte ad evitare la ridistribuzione, da parte dei Paesi Terzi, dei flussi di esportazioni dei prodotti, con la destinazione di quelli a basse emissioni di carbonio verso l’Europa e quelli ad alta impronta di carbonio verso Paesi extraeuropei.

3. È chiaro, alla luce di quanto osservato, che la fisionomia del CBAM non è ancora pienamente delineata; per avere un quadro normativo adeguato si dovrà superare, con ogni probabilità, la prima fase transitoria di mero monitoraggio, sperando che il Reg. UE n. 2023/956, da un lato, superi il vaglio del sindacato della Corte di Giustizia e, dall’altro, eviti le censure dell’Organizzazione Mondiale del Commercio [5].

Del resto, come è stato osservato [6], se è vero che la crisi climatica presenta seri rischi per la nostra economia, è anche vero che la transizione verde offre enormi opportunità di rafforzarla, tanto che negli ultimi anni le aziende con elevati ricavi o ingenti piani di investimento concernenti attività economiche ecosostenibili hanno battuto i loro concorrenti meno virtuosi [7].

A ciò deve aggiungersi il possibile effetto di armonizzazione che la misura potrebbe avere rispetto ai Paesi extra-UE e che, secondo gli auspici, dovrebbero essere positivamente condizionati dalla politica dell’Unione in tema di decarbonizzazione anche rispetto alle loro produzioni. In questo, infatti, sta il carattere più originale della misura e, cioè, che essa si prefigge l’obiettivo di sfruttare, a vantaggio dell’ambiente ed in maniera transnazionale [8], la forza dell’UE sui mercati internazionali. Secondo la visione del legislatore europeo, infatti, il rischio di perdere l’accesso al mercato unico dovrebbe essere in grado di spingere anche i Paesi partner a definire, a loro volta, politiche di carbon-pricing per combattere il cambiamento climatico.

Per tutte queste ragioni, è certamente un bene la presenza di una prima fase transitoria: l’applicazione graduale della misura, infatti, si rivela una strategia ponderata per mitigare gli impatti sulle imprese e consentire una transizione graduale verso nuovi equilibri che tengano conto tanto della preservazione della competitività economica delle imprese europee quanto della necessaria, ed ormai non più procrastinabile, esigenza di tutela dell’ambiente.

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[1] Nello specifico, come indicato sul sito internet di riferimento (qui), la Camera ha approvato, con varie modifiche, la mozione Casasco, Caramanna, Andreuzza, Cavo ed altri n. 1-00253 (Nuova formulazione), la mozione Sergio Costa ed altri n. 1-00266, la mozione  Ruffino ed altri n. 1-00268, nel testo riformulato; ha approvato quindi la mozione Peluffo ed altri n. 1-00270 e, infine la mozione Bonelli ed altri n. 1-00272, nel testo riformulato.

[2] Ed infatti, in mancanza di adeguati correttivi, i prodotti finiti extra-UE potranno essere importati secondo le regole del libero mercato senza sostenere i costi del meccanismo CBAM anche se assemblati con i medesimi prodotti ad alta intensità emissiva, garantendo così un vantaggio competitivo nei costi di produzione rispetto a quelli sostenuti per i prodotti trasformati in Europa.

[3] È opportuno ricordare che l’EU ETS e il CBAM si prefiggono l’obiettivo comune di stabilire un prezzo per le emissioni di gas a effetto serra incorporate nelle stesse merci mediante l’uso di quote o certificati specifici. Entrambi i sistemi hanno natura normativa e si differenziano per il fatto che mentre il primo fissa il numero totale di quote rilasciate (“cap” ovvero “massimale”) per le emissioni di gas a effetto serra derivanti dalle attività che rientrano nel suo campo di applicazione e consente la negoziazione delle quote (sistema “cap-and-trade”, ossia “di limitazione e scambio”), il secondo non dovrebbe stabilire limiti quantitativi alle importazioni in modo che i flussi commerciali non siano limitati. Inoltre, mentre l’EU ETS si applica agli impianti situati nell’Unione, il CBAM si applica a determinate merci importate nel territorio doganale UE.

[4] L’esempio classico è proprio rappresentato dalla tariffazione del carbonio per il riscaldamento e l’elettricità, che aumenta i costi energetici in modo sproporzionato per le famiglie a basso reddito ed è, almeno per gli effetti di prim’ordine, regressiva. Peraltro, con la progressiva riduzione dei combustibili fossili, i governi perderanno le entrate derivanti dalla tassazione dei combustibili fossili, in particolare dei carburanti, che rappresentano una quota importante del PIL europeo. La conseguenza è che l’erosione di questa base fiscale avrà effetti significativi sui bilanci nazionali, compensando il contributo positivo dei proventi del carbonio. Così C. Baccianti, Effetti macroeconomici delle politiche climatiche europee, in Rivista Energia, 2/2024, pag. 36.

[5] In questo senso, cfr. L. Del Federico, Il Carbon Border Adjustment Mechanism è entrato in vigore, in Tax News, 8 luglio 2024. L’Autore, inoltre, invita a tenere distaccato il meccanismo CBAM in generale dal prelievo CBAM in senso stretto, e cioè la carbon tax che, dopo la prima fase di monitoraggio, sarà richiesta agli importatori di prodotti ad alte emissioni inquinanti. Così come il meccanismo CBAM, anche il prelievo è ancora in cerca di una sua identità specifica “in quanto l’iniziale ed attuale fase transitoria ha consentito all’Unione di porre in secondo piano le tematiche tipiche della fase attuativa dei tributi”. Per tale ragione, una volta assestata la sua disciplina, sarà necessario comprendere se “al di là dell’impatto sul piano delle politiche ambientali e commerciali emerge una connotazione fiscale di tale prelievo, e quale possa essere la tipologia ed il regime giuridico di un siffatto tributo”.

[6] Helena Vines Fiesta, Le politiche verdi della Ue rafforzano la competitività, in Il Sole 24 Ore del 17 luglio 2024, pag. 14.

[7] Helena Vines Fiesta, cit.

[8] Cfr. Dario Bevilacqua, The green deal through transnational governance: the case of CBAM, in Italian Journal of Public Law (Online), 16/2024, fasc. 2, pag. 385. Tanto più che “il cambiamento climatico è per sua natura transnazionale nelle sue cause e nei suoi effetti” (traduzione nostra), così come sostiene Y. Marique, “Transnational” Climate Change Law. A case for reimagining legal reasoning?, 1 French Y.B. Pub. Law 70, 2023.

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