Tassazione dell’energia elettrica: la nozione di “costo effettivo” in una recente posizione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 13 giugno 2024, causa C-266/2023
1. Con la sentenza 13 giugno 2024, relativa alla causa C-266/2023, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (“CGUE”) ha reso la propria posizione sulla nozione di “costo effettivo” dell’energia elettrica con riguardo ai livelli minimi di tassazione, nonché alle possibili deroghe a tali livelli minimi, previsti dalla Direttiva 2003/96/CE (“Direttiva”) allo scopo di mantenere un buon funzionamento del mercato unionale.
2. Per quanto di interesse ai fini del caso esaminato dalla CGUE, la Direttiva anzitutto stabilisce (art. 4) che i livelli di tassazione applicati dagli Stati membri al consumo di elettricità non possano essere inferiori a quelli minimi in essa previsti e che per “livello di tassazione” debba intendersi l’onere fiscale complessivo derivante dalla somma di tutte le imposte indirette (esclusa l’IVA), calcolate sulla quantità di elettricità, all’atto dell’immissione al consumo (ad esempio, le accise).
La Direttiva prevede poi (art. 17) la possibilità per gli Stati membri, in deroga ai minimi previsti nella Direttiva, di ridurre fino a zero il livello di tassazione dell’elettricità per le imprese a forte consumo di energia (c.d. energivore).
Un’impresa è “energivora” se, alternativamente:
a) il costo di acquisto dell’elettricità è almeno pari al 3% del valore produttivo, ovvero;
b) l’imposta nazionale sull’energia è almeno pari allo 0,5% del valore aggiunto.
Ai fini del presupposto di cui alla lett. a), il costo di acquisto dell’elettricità comprende il costo della materia prima e tutte le imposte, esclusa l’IVA detraibile.
Infine, la Direttiva non si applica (art. 2), e quindi gli Stati membri non sono tenuti a prevedere un livello minimo di tassazione conforme al suo contenuto, all’elettricità utilizzata principalmente per la riduzione chimica e nei processi elettrolitici e metallurgici.
3. Esaurito l’inquadramento normativo unionale, è opportuno soffermarsi sul caso oggetto della sentenza in commento.
Esso riguardava una società di diritto polacco che nel 2016, nello svolgimento della propria attività d’impresa, aveva beneficiato di un’esenzione domestica sulle accise applicate al consumo di energia elettrica utilizzata nei processi elettrolitici, in conformità all’esclusione dal perimetro di applicazione dei livelli minimi di tassazione previsti dalla Direttiva.
La società, tuttavia, riteneva di poter beneficiare, per lo stesso anno e per il resto dell’elettricità da essa consumata (cioè diversa da quella impiegata nei processi elettrolitici, già oggetto di esenzione dalle accise), di un’ulteriore esenzione disposta dall’ordinamento domestico in conformità al diritto degli Stati membri previsto dalla Direttiva di ridurre fino a zero i livelli di tassazione minimi dell’elettricità, dedicata alle imprese energivore e configurata come rimborso parziale dell’accisa pagata sull’energia elettrica consumata.
Secondo la legislazione domestica, un’impresa è qualificata come “energivora” se il costo dell’energia elettrica utilizzata è superiore al 3% del valore della produzione; si tratta di una definizione sostanzialmente sovrapponibile a quella prevista dalla Direttiva (cfr. supra par. 2, lett. a).
Alla luce di quanto sopra, la società riteneva di soddisfare il presupposto per essere qualificata come “impresa energivora” includendo nel “costo dell’energia elettrica”, da confrontare con il valore della produzione, anche le spese di distribuzione (rectius, le tasse sulla distribuzione per la fornitura di servizi di distribuzione di elettricità) e il costo dei certificati di origine, previsti obbligatoriamente dalle norme nazionali a carico delle imprese utilizzatrici.
La società, quindi, presentava istanza di rimborso parziale delle accise già versate sul consumo di energia elettrica ricevendo però un diniego dall’Amministrazione finanziaria polacca.
Il motivo del diniego non emerge chiaramente dalla lettura della sentenza ma sembra essere correlato alla circostanza che l’Amministrazione finanziaria non riteneva possibile includere, come invece sostenuto dalla società, le spese di distribuzione nella nozione di “costo dell’energia elettrica” da confrontare con il valore della produzione ai fini della qualificazione di “impresa energivora”. Di conseguenza, il “costo dell’energia elettrica” sostenuto dalla società sarebbe stato inferiore alla soglia prevista per la qualificazione di “energivora” e, per l’effetto, la società non avrebbe potuto beneficiare del rimborso parziale, previsto dalla norma nazionale, delle accise già versate.
Successivamente, la società instaurava un giudizio avverso detto diniego che giungeva dinanzi alla Corte Suprema Amministrativa e veniva da questa rinviato alla CGUE. In particolare, si chiedeva alla CGUE se la Direttiva potesse essere interpretata nel senso di includere nel costo di acquisto dell’elettricità soltanto il suo prezzo, comprese le imposte, con l’esclusione invece di eventuali tasse (es: spese di distribuzione) obbligatorie per disposizione di legge domestica.
4. La CGUE, osservando preliminarmente che la Direttiva non contiene una definizione puntuale di “costo effettivo”, riteneva che le spese di distribuzione, benché diverse dalle imposte richiamate dalla norma unionale di riferimento, dovessero essere comunque ricomprese nel costo dell’elettricità da confrontare con il valore della produzione per la qualificazione di “impresa energivora”, in quanto si sarebbe trattato di tasse imposte dalla legge. Tale conclusione si reggeva nello specifico su tre argomenti:
- conformemente al suo senso abituale nel linguaggio corrente, la nozione di “costo effettivo” comprende qualsiasi costo necessariamente collegato all’acquisto dell’elettricità (argomento letterale);
- la disposizione in commento non limita la portata dell’espressione “costo effettivo” al solo prezzo. Laddove infatti, nella medesima disposizione, il legislatore unionale ha voluto limitare la portata di tale nozione, lo ha fatto espressamente, ad esempio escludendo l’IVA detraibile (argomento sistematico);
- l’inclusione delle spese di distribuzione nel “costo effettivo” dell’elettricità è compatibile con lo scopo della Direttiva che è quello di promuovere il buon funzionamento del mercato interno nel settore dell’energia evitando, in particolare, le distorsioni della concorrenza (argomento finalistico).
In sostanza, facendo concorrere alla formazione del primo termine di confronto (“costo dell’energia”) anche le spese di distribuzione, si aumentano le possibilità che esso superi il secondo termine di confronto (3% del valore della produzione) così da qualificare l’impresa come “energivora”. L’effetto è quello di consentire a tali imprese di beneficiare delle disposizioni nazionali, quale quella polacca che prevede il rimborso parziale delle accise versate sul consumo di elettricità, che recepiscono il diritto degli Stati membri, di cui alla Direttiva, di ridurre anche fino a zero il livello minimo di tassazione previsto sul consumo di energia elettrica.
5. La pronuncia della CGUE è foriera di alcune considerazioni riguardanti l’applicazione dei principi in essa esposti all’interno dell’ordinamento tributario nazionale.
Infatti, in epoca recente il legislatore ha attribuito una certa rilevanza alla nozione di “imprese energivore” e ai costi da esse sostenuti allo scopo di determinare l’ambito di applicazione di alcune agevolazioni. In particolare, si possono menzionare:
a) i contributi straordinari, attribuiti sotto forma di credito d’imposta, previsti per il 2022 e per il 2023, per contenere i prezzi dell’energia elettrica, anche in ragione della crisi in Ucraina ([1]);
b) i contributi a copertura degli oneri generali di sistema per la componente riferita al sostegno delle energie rinnovabili (c.d. ASOS [2]).
Senza pretesa di esaustività, ci si limita a ricordare che sia l’agevolazione sub a) sia quella sub b) spettano alle imprese che si qualificano come “energivore” ai sensi del d.m. MISE 21 dicembre 2017. Queste sono identificate, tra le altre, come le imprese che raggiungono una determinata soglia percentuale ottenuta dal rapporto tra diverse grandezze ([3]) che tengono conto del costo dell’elettricità di modo che tanto più esso aumenta quanto più la percentuale cresce. Pertanto, più il costo dell’elettricità è elevato più aumenta la possibilità di raggiungere la soglia percentuale minima necessaria per la qualificazione di “impresa energivora” ai fini della spettanza delle anzidette agevolazioni.
In aggiunta, la sola agevolazione sub a) richiede il superamento di una soglia di incremento del costo medio per kWh della componente energia elettrica.
Si può notare quindi che, per entrambe le agevolazioni, è fondamentale perimetrare la nozione di “costo dell’energia elettrica”.
A tale riguardo, in assenza di indicazioni normative, è intervenuta l’Agenzia delle Entrate che, con varie circolari ([4]), ha a più riprese fornito la propria interpretazione:
“si tiene conto dei costi sostenuti per l’energia elettrica (incluse le perdite di rete), il dispacciamento (inclusi i corrispettivi relativi alla copertura dei costi per il mercato della capacità o ai servizi di interrompibilità) e la commercializzazione, ad esclusione di ogni altro onere accessorio, diretto e/o indiretto, indicato in fattura diverso dalla componente energetica. Si tratta, sostanzialmente, della macrocategoria abitualmente indicata in fattura complessivamente alla voce ‘spesa per la materia energia’ […].
Diversamente, non concorrono al calcolo del costo medio sopra indicato, a titolo esemplificativo, le spese di trasporto, le coperture finanziarie sugli acquisti di energia elettrica, né, per espressa previsione normativa, le imposte inerenti alla componente energia. Il costo medio così calcolato va ridotto, inoltre, dei relativi sussidi. Si ritiene, al riguardo, che per ‘sussidio’ debba intendersi qualsiasi beneficio economico (fiscale e non fiscale) conseguito dall’impresa energivora, a copertura totale o parziale della componente energia elettrica e ad essa direttamente collegata. Si tratta, in particolare, di sussidi riconosciuti in euro/MWh ovvero in conto esercizio sull’energia elettrica” ([5]).
Stante quanto sopra, secondo l’Agenzia, sarebbe necessario escludere dalla nozione di “costo dell’energia elettrica”, salvo poche specifiche eccezioni, ogni altro costo sostenuto dall’impresa diverso dalla componente relativa alla materia prima.
6. Tuttavia, alla luce dei principi espressi dalla CGUE nella sentenza in commento, la posizione dell’Agenzia non sembra affatto centrata. Infatti, come ricordato dalla CGUE e riassunto sub 4, in assenza di specifiche preclusioni normative, non individuabili nella legislazione nazionale richiamata, nella nozione di “costo dell’energia elettrica” dovrebbe essere incluso qualsiasi costo necessariamente correlato al consumo di energia elettrica, cioè imposto da norme e/o regolamenti e quindi non evitabile, purché tale inclusione non generi distorsioni nel mercato, ciò che la normativa unionale ha lo scopo di evitare.
Pertanto, contrariamente alla posizione dell’Agenzia delle Entrate, vi sarebbe spazio interpretativo per includere nel costo dell’energia elettrica tutti quegli oneri o componenti tariffarie (si pensi ad esempio agli oneri generali di sistema) che tali imprese sono per legge obbligate a sostenere, consentendo quindi alle “imprese energivore” non soltanto di accedere più facilmente, pro-futuro, alle agevolazioni parametrate a detto costo, ma anche di riflettere sulla possibilità di recuperare le agevolazioni per il passato, laddove non godute in ragione dell’interpretazione restrittiva fatta propria dall’Agenzia delle Entrate.
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[1] D.l. 4/2022 (“Decreto Sostegni-ter”), d.l. 17/2022 (“Decreto Energia”), d.l. 21/2022 (“Decreto Ucraina”), d.l. 50/2022 (“Decreto Aiuti”), d.l. 115/2022 (“Decreto Aiuti-bis”), d.l. 144/2022 (“Decreto Aiuti-ter”), d.l. 176/2022 (“Decreto Aiuti-quater”), d.l. 34/2023 (“decreto Bollette”).
[2] Il riferimento è al d.m. MISE 21 dicembre 2017. Con efficacia dal 1.1.2.2024, tale disciplina è stata rivisitata con d.l. 131/2023 che richiama indirettamente, tra le altre, le imprese definite “energivore” di cui al d.m. MISE citato.
[3] Ad esempio, il c.d. indice di intensità elettrica sul VAL.
[4] Si vedano le circolari 13/E/2022, 25/E/2022, 36/E/2022 e 24/E/2023.
[5] È opportuno mettere in evidenza che tale interpretazione si riferisce, secondo la lettera delle circolari menzionate in nota 4, al contenuto dell’espressione “costo medio per kWh della componente energia elettrica” che è correlato al secondo presupposto di cui all’agevolazione sub 5.a). Tuttavia, dal momento che anche la nozione di “imprese energivore”, che è presupposto sia dell’agevolazione sub 5.a) sia di quella sub 5.b), fa perno sul costo dell’energia elettrica, si potrebbe ragionevolmente ritenere che la posizione dell’Agenzia delle Entrate vada riferita anche alla verifica della qualificazione di “impresa energivora”.