La transizione energetica rappresenta una sfida complessa ed ambiziosa.
Per affrontarla, non basta l’adozione di tecnologie innovative: servono modelli di governance in grado di coinvolgere cittadini, imprese e amministrazioni pubbliche in una cooperazione virtuosa.
Le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER), configurandosi come un meccanismo che combina produzione e consumo locale di energia da fonti rinnovabili, rispondono a questa esigenza, offrendo nuove opportunità di collaborazione. Quando però si intrecciano con il modello del Partenariato Pubblico-Privato (PPP), emergono una serie di questioni legate alla compatibilità normativa e operativa.
In effetti, le riflessioni sulle CER, sul loro ruolo di laboratorio di collaborazione pubblico-privato nell’ambito della transizione energetica, e sul rapporto con il modello del partenariato pubblico privato, possono svolgersi su due distinti piani: un primo, teorico, e un secondo, più squisitamente pratico.
Sotto il primo profilo, come già accennato, le CER rappresentano ad oggi un importante esempio di sinergia fra pubblico e privato nel raggiungimento degli obiettivi della transizione green e rispondano pienamente alla logica del Partenariato pubblico-privato.
Questo infatti, come noto, viene definito all’articolo 174 del nuovo Codice dei contratti pubblici come un rapporto contrattuale di lunga durata instaurato fra un ente concedente e uno o più operatori economici e volto al raggiungimento di un risultato di interesse pubblico, quali sicuramente sono la transizione energetica nonché il rispetto dei vincoli ambientali imposti dall’Unione europea.
Se in quanto appena esposto si palesa un evidente punto di contatto fra la disciplina delle CER e il modello del PPP, è altrettanto vero che il legislatore ha disegnato le Comunità incentrandole su alcuni elementi che molto difficilmente ritroviamo in un “ordinario” modello di partenariato.
Fra questi, si possono menzionare, a titolo esemplificativo: la predeterminazione delle categorie di soggetti che possono aderire alle CER, l’apertura e la flessibilità loro richiesta tanto in entrata quanto in uscita, il ruolo paritario attribuito ai soggetti pubblici e privati che vi prendono parte, e, collegato a quest’ultimo punto, il ruolo pienamente attivo e operativo che viene assegnato ai privati, i.e. cittadini e PM imprese.
E proprio in quest’ultima circostanza risiede il fondamento teorico dell’identificazione delle CER come un esempio di laboratorio pubblico-privato per la transizione energetica ed esempio della cosiddetta “democrazia energetica”.
Sempre da un punto di vista strettamente teorico, merita sottolineare che le CER differiscono anche dalle forme classiche di partenariato EPC (energy performance contract), in quanto le Comunità perseguono come fine principale quello della condivisione dell’energia fra i propri membri, e non quello dell’ottenimento di un risparmio energetico, che pure sovente le accompagna.
Se, quindi, le coordinate teoriche del tema appaiono piuttosto chiare, le problematiche si palesano massimamente nel passaggio dalla teoria alla pratica. Nello specifico, tre sembrano le questioni che richiedono una maggiore attenzione.
In primo luogo, nel caso di una CER costituita sul modello del partenariato pubblico-privato, è necessario chiedersi “dove” si ponga il pubblico e “dove” si ponga il privato.
La CER è un soggetto giuridico autonomo, retto da accordi di diritto privato tra i propri membri al fine di regolarne modalità partecipative ed operative, in punto di autoconsumo e condivisione di energia nonché di accesso agli incentivi pubblici.
Non solo. Le direttive collocano le CER fra i soggetti sul mercato in condizioni di competitività con gli altri operatori del settore energia, consentendogli di svolgere, pur sempre in una logica di complessiva non profittevolezza, anche altre attività economiche, oltre che di percepire incentivi pubblici per compensare la situazione di ‘svantaggio’ in cui si trovano.
La presenza del soggetto pubblico, per contro, porta con sé la necessità di applicare le norme di settore – a cominciare da quelle del TUSP -, il che può apparire problematico quantomeno sotto due profili: da un lato, si introducono elementi di rigidità che mal si conciliano con le esigenze di flessibilità cui sono improntate le CER, e dall’altro, i moduli organizzativi e la governance di queste ultime precludono al pubblico di esercitare in quella sede il potere di indirizzo strategico che gli compete.
In secondo luogo, è la soggettività giuridica autonoma elle CER a porre sfide molto complesse, se posta in rapporto con le caratteristiche proprie del Partenariato.
A tal proposito, il Consiglio Superiore del Notariato, nello Studio 38_2024, ha evidenziato come una soggettività giuridica così disegnata può nella pratica contrastare con la struttura tipica del PPP, che come visto si basa su un accordo bilaterale tra pubblica amministrazione e soggetto privato.
Una posizione contraria è stata invece espressa dall’ARERA, che con la Delibera 318/2020/R/eel, ha aperto alla possibilità di utilizzare il PPP per la creazione di CER, purché queste rispettino i requisiti normativi e mantengano la propria autonomia decisionale.
Tale questione richiama necessariamente quella – più generale – della forma giuridica delle CER. Giova ricordare, infatti, come non tutti i “modelli” sono adeguati alla costituzione di una Comunità, e il tema è ampiamente dibattuto in dottrina. I modelli che quantomeno in potenza possono essere assunti da una CER sono: l’associazione, la cooperativa, il consorzio/società consortile, l’impresa sociale, la società benefit, la fondazione di partecipazione.
Il terzo profilo problematico concerne la allocazione del rischio fra pubblico e privato: nei progetti di CER infatti, il rischio di domanda – ovvero la capacità di utilizzare efficacemente l’energia prodotta – è particolarmente rilevante.
Pertanto, una distribuzione equilibrata dei rischi tra pubblico e privato è essenziale per garantire la sostenibilità economica del progetto. In alcuni casi, può essere opportuno condividere anche quei rischi che, in contratti tradizionali, sarebbero interamente a carico del privato.
Ad ogni modo, la realtà giuridica e alcuni esempi concreti ci testimoniano come una integrazione fra CER e PPP sia, nei fatti, possibile.
Ad esempio, la possibilità di una simile integrazione è in qualche modo sottesa all’art. 47, comma 4, del dl 13/2023, il quale, nell’ambito nella normativa PNRR, prevede che
“Fino al 31 dicembre 2025, in deroga all’articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, gli enti locali nei cui territori sono ubicati gli impianti a fonti rinnovabili finanziati a valere sulle risorse di cui alla Missione 2, Componente 2, Investimento 1.2, del PNRR, possono affidare in concessione, nel rispetto dei principi di concorrenza, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, parità di trattamento e non discriminazione, aree ovvero superfici nelle proprie disponibilità per la realizzazione degli impianti volti a soddisfare i fabbisogni energetici delle comunità energetiche rinnovabili”
Questa previsione apre al ricorso al PPP per la costituzione delle CER.
L’Ordinanza n. 66/2023 del Commissario straordinario per la ricostruzione del Centro Italia rappresenta un altro esempio della possibile convivenza fra CER e PPP: essa prevede linee guida per costituire CER tramite finanza di progetto, favorendo la cooperazione tra pubblico e privato.
Un caso concreto è la CER Valnerina, promossa dal Consorzio del Bacino Imbrifero Montano del Nera e Velino. Questo progetto, che mira a creare una delle comunità energetiche più grandi in Italia, prevede l’installazione di impianti FER su terreni pubblici e privati, finanziati con risorse miste (40% pubbliche e 60% private). Il partenariato pubblico-privato è il motore di questo progetto, che punta a coniugare efficienza economica e sostenibilità ambientale.
Un altro esempio significativo è la CER provinciale di Asti, realizzata con il contributo della società privata Green Wolf S.r.l. Questo progetto ha ottenuto un’ampia adesione dai comuni locali, dimostrando che il modello PPP può essere applicato con successo anche in contesti decentralizzati.
Le Comunità Energetiche Rinnovabili e il Partenariato Pubblico-Privato rappresentano due strumenti complementari per affrontare la transizione energetica. Tuttavia, la loro integrazione richiede un’attenta analisi normativa e operativa. Questioni come la soggettività giuridica, l’allocazione dei rischi e la sostenibilità economica richiedono soluzioni flessibili e innovative.
Le esperienze in corso, come quelle della Valnerina e di Asti, offrono spunti importanti per il futuro. Tuttavia, la piena compatibilità tra CER e PPP resta un tema aperto, che richiederà ulteriori sviluppi normativi e giurisprudenziali. Queste sinergie, se ben strutturate, possono accelerare la transizione energetica, garantendo inclusività, efficienza e sostenibilità per il territorio.