20/12/2024

Abstract

La Corte di Cassazione con ordinanza n. 24373 dell’11 settembre 2024 è tornata a pronunciarsi sui presupposti dell’azione di rimborso dell’addizionale provinciale di cui all’art. 6, comma 2, del d.l. n. 511/1988 del consumatore nei confronti dell’Erario. La Corte stabilisce opportunamente il principio di diritto per cui l’impossibilità per il consumatore finale di far valere l’azione di indebito oggettivo nei confronti del fornitore costituisce presupposto per formulare la stessa nei confronti dell’Amministrazione finanziaria. Tuttavia, in motivazione, Essa pare “eccedere” nell’interpretazione dei principi espressi dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza dell’’11 aprile 2024, causa C-316/22 la quale, lungi dal rappresentare la base per una rilettura del perimetro della legittimazione del consumatore, appronta in astratto una tutela aggiuntiva per l’ipotesi in cui esso non possa azionare il diritto alla restituzione delle addizionali verso il fornitore.

Il caso

La vicenda trae origine dall’impugnazione del provvedimento di diniego dell’istanza di rimborso dell’addizionale provinciale presentata da una società in qualità di consumatore finale all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Sulla società, infatti, era stata traslata, in via di rivalsa, l’addizionale versata all’Erario ex art. 6, comma 4 del D.L. n. 511/1988 da parte della fornitrice. I giudici di primo grado avevano dichiarato inammissibile il ricorso per difetto di legittimazione attiva (e per intervenuta decadenza del termine biennale ex art. 14 TUA). Anche i giudici di seconde cure avevano respinto l’appello evidenziando come nel caso di specie non sussistessero le eccezionali condizioni[1] necessarie a far sì che la società consumatrice fosse legittimata ad agire direttamente verso l’Erario. Nello specifico, i giudici d’appello hanno ritenuto che la società fornitrice – sottoposta a procedura di concordato preventivo ancora in fase di esecuzione – non fosse allo stato degli atti in una condizione di tale gravità da rendere definitivamente impossibile o eccessivamente gravosa la restituzione della somma versata a titolo di addizionale provinciale.

Il contesto normativo e giurisprudenziale.

Nell’affrontare la questione, la Suprema Corte ripercorre in maniera sistematica l’ormai nota questione del rimborso delle addizionali provinciali alle accise sull’energia elettrica e, in particolare, dell’analisi del rapporto tributario intercorrente tra fornitore, consumatore finale e la stessa Amministrazione doganale.

Ricordiamo che l’addizionale alle accise sull’energia elettrica è stata introdotta dall’art. 6 del d.l. n. 511/88, recante “Disposizioni urgenti in materia di finanza regionale e locale”. Quest’ultima disposizione prevedeva l’istituzione di un’addizionale all’accisa sull’energia elettrica di cui agli articoli 52, e seguenti, del TUA (testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative approvato con d.lgs. n. 504/1995, di seguito anche Testo unico accise). Tuttavia, poiché in contrasto con la Direttiva 2000/118/CE[2], l’art. 6 del D.L. n. 511/1988 è stato successivamente abrogato dall’art. 4 del D.L. n. 16/2012, con effetti a far data dal 1° aprile 2012.

Richiamando i noti precedenti (Cass. S.U. n. 33687 del 31/12/2018Cass. n. 19618 del 01/10/2015Cass. n. 9567 del 12/03/2013), la Cassazione ricorda ancora una volta che secondo il Testo unico accise, nella versione applicabile ratione temporis, per i prodotti sottoposti ad accisa, l’obbligazione tributaria sorge al momento della loro fabbricazione ovvero della loro importazione (art. 2, comma 1). Il comma 4 del citato art. 2 invece prevede che è obbligato al pagamento dell’accisa il titolare del deposito fiscale dal quale avviene l’immissione in consumo e gli altri soggetti nei cui confronti si verificano i presupposti per l’esigibilità dell’imposta. Gli obbligati al pagamento dell’accisa sull’energia elettrica sono, tra gli altri, “i soggetti che procedono alla fatturazione dell’energia elettrica ai consumatori finali, di seguito indicati come venditori” (art. 53, comma 1, lett. a), mentre “i crediti vantati dai soggetti passivi dell’accisa verso i cessionari dei prodotti per i quali i soggetti stessi hanno assolto tale tributo possono essere addebitati a titolo di rivalsa” (art. 16, comma 3). All’art. 56 si precisa, altresì, che le società fornitrici “hanno diritto di rivalsa sui consumatori finali”.

Per quanto riguarda il diritto alla restituzione, invece, in via generale, l’art. 14 TUA stabilisce che l’accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata ma il rimborso deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento oppure, qualora al termine di un procedimento giurisdizionale il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa sia condannato alla restituzione addebitati a titolo di rivalsa, il rimborso deve essere chiesto dal predetto soggetto obbligato entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione. Per il rimborso dei tributi rilevanti per l’ordinamento comunitario, inoltre, l’art. 29, comma 2 della L. n. 428/1990 prevede che le imposte di consumo sono rimborsate a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti.

Dal combinato disposto delle già menzionate disposizioni, la Corte riafferma che “il primo soggetto passivo del rapporto tributario è il fornitore di energia, tenuto verso il fisco per il pagamento dell’accisa ovvero della relativa addizionale”. Difatti, siccome l’imposta è dovuta dai soggetti che forniscono direttamente il prodotto ai consumatori, allora il soggetto passivo dell’imposta è il fornitore del prodotto. Di converso, l’onere corrispondente all’imposta viene traslato sul consumatore in virtù e nell’ambito di un fenomeno meramente economico. Da ciò, rileva la Corte di Cassazione “ne deriva che il rapporto tributario inerente al pagamento dell’imposta si svolge soltanto tra l’Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente i prodotti, essendo ad esso estraneo l’utente consumatore.”[3]. Sulla base di quanto sopra, dunque, il consumatore finale può:

  • agire civilisticamente contro il cedente per il rimborso dell’imposta illegittimamente addebitata in rivalsa istaurando un’azione di ripetizione dell’indebito;
  • eccezionalmente chiedere direttamente il rimborso all’amministrazione finanziaria nel caso in cui dimostri l’impossibilità o l’eccessiva difficoltà dell’azione di ripetizione dell’indebito;
  • eventualmente esercitare azione nei confronti dello Stato per ottenere il risarcimento del danno subito per mancato adeguamento del diritto nazionale al diritto dell’Unione Europea.

Il perimetro della legittimazione straordinaria del consumatore alla luce della Corte di Giustizia C-316/22.

Ciò premesso, la Cassazione esamina il punto centrale della controversia in oggetto e, cioè, la legittimazione del consumatore ad agire direttamente nei confronti dell’Agenzia delle Dogane.

Sulla questione è intervenuta di recente la Corte di Giustizia, con sentenza dell’’11 aprile 2024, causa C-316/22 (Gabel Industria Tessile Spa, Canavesi Spa Convenute A2A Energia Spa, Energit Spa, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli), a seguito del rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Como.

Per comprendere l’esatta portata della citata sentenza, occorre preliminarmente sottolineare che il presupposto logico della rimessione operata dal Tribunale di Como è la condivisione dell’orientamento di merito secondo cui l’utente non avrebbe diritto ad ottenere il rimborso delle addizionali versate al fornitore per via dell’impossibilità di applicare nei rapporti tra privati la Direttiva.

In particolare, il Tribunale di Como ha rimesso alla CGUE le seguenti due questioni:

1) se il diritto UE osti alla disapplicazione, da parte del giudice nazionale, in una controversia tra privati, “di una disposizione del diritto interno in contrasto con una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non recepita o non correttamente recepita” e

2) se il principio di effettività osti a una normativa nazionale che riconosce al “consumatore finale … soltanto la facoltà di esperire un’azione civilistica per la ripetizione nei confronti del soggetto passivo” dell’imposta su di esso traslata “laddove l’unica ragione d’illegittimità dell’imposta – ossia la contrarietà a una direttiva – possa essere fatta valere esclusivamente nel rapporto tra il soggetto obbligato al pagamento e l’Amministrazione Finanziaria … o se … debba riconoscersi, in un caso siffatto, la legittimazione diretta del consumatore finale nei confronti dell’Erario”.

I giudici unionali, esaminando la prima delle questioni poste dal giudice remittente, hanno dapprima (ri)affermato il pacifico principio secondo cui: “ai sensi dell’articolo 288, terzo comma, TFUE, il carattere vincolante di una direttiva, sul quale si fonda la possibilità di invocare quest’ultima, sussiste solo nei confronti dello «Stato membro cui è rivolta». Ne consegue, secondo costante giurisprudenza, che una direttiva non può di per sé creare obblighi in capo a un singolo e non può quindi essere invocata, in quanto tale, nei confronti di quest’ultimo dinanzi a un giudice nazionale (sentenza del 22 dicembre 2022, Sambre & Biesme e Commune de Farciennes, C‑383/21 e C‑384/21, EU:C:2022:1022, punto 36 nonché la giurisprudenza ivi citata)” (par. 22).

Tanto premesso la stessa Corte ha tuttavia riconosciuto che: “se, sulla base del diritto dell’Unione, una direttiva non può, di per sé, creare obblighi a carico di un singolo e dunque essere invocata, in quanto tale, nei confronti di quest’ultimo dinanzi ad un giudice nazionale, uno Stato membro può tuttavia conferire ai giudici nazionali il potere di disapplicare, sulla base del suo diritto interno, qualsiasi disposizione del diritto nazionale contraria a una disposizione del diritto dell’Unione priva di effetto diretto (v., in tal senso, sentenza del 18 gennaio 2022, Thelen Technopark Berlin, C‑261/20, EU:C:2022:33, punto 33)” (par. 24).

Ferma restando l’inefficacia orizzontale della Direttiva[4], dunque: “un giudice nazionale può permettere ad un singolo di far valere l’illegittimità di un’imposta che sia stata indebitamente ripercossa su di lui da un venditore, conformemente ad una facoltà riconosciutagli dalla normativa nazionale, al fine di ottenere la neutralizzazione dell’onere economico supplementare che esso ha, in definitiva, dovuto sopportare, qualora tale possibilità sia prevista dalla normativa nazionale, aspetto questo che spetta al giudice del rinvio verificare nella controversia di cui ai procedimenti principali” (par. 25).

Laddove invece l’ordinamento nazionale non permetta ad un singolo di far valere l’illegittimità di un’imposta che sia stata indebitamente ripercossa su di lui in ragione dell’impossibilità di disapplicare la norma interna in contrasto con la normativa dell’Unione priva di effetto diretto, allora l’ordinamento nazionale deve comunque riconoscere al singolo la possibilità di agire direttamente nei confronti dello Stato. Per tale ragione, la CGUE in risposta alla seconda delle questioni sollevate dal giudice remittente ha affermato che viola il principio di effettività una normativa nazionale che “non permette ad un consumatore finale di chiedere direttamente allo Stato membro il rimborso dell’onere economico supplementare che egli ha sopportato a causa della ripercussione, operata da un fornitore sulla base di una facoltà riconosciutagli dalla normativa nazionale, di un’imposta che detto fornitore ha lui stesso indebitamente versato al suddetto Stato membro”. Statuizione, quest’ultima, che ha evidentemente la finalità – per ragioni di tutela – di avvantaggiare i consumatori gravati dalle addizionali in commento laddove essi siano sprovvisti di tutela a causa del rigetto da parte del giudice nazionale delle loro pretese in forza dell’inefficacia orizzontale della Direttiva.

Tirando le somme, la CGUE in sostanza ha:

  1. a) ribadito la pacifica inefficacia orizzontale della Direttiva;
  2. b) ammesso la facoltà per il giudice nazionale di disapplicare la Direttiva e riconoscere, “conformemente ad una facoltà riconosciutagli dalla normativa nazionale”, il diritto del privato di vedersi restituire dal fornitore le addizionali versate;
  3. c) riconosciuto la legittimazione dell’utente ad agire direttamente nei confronti dello Stato solo in una “situazione come quella di cui ai procedimenti principali”, (par. 36) in cui il giudice nazionale ritenga di non poter riconoscere il diritto al rimborso delle addizionali “in ragione dell’impossibilità di invocare in quanto tale una direttiva in una controversia tra privati”.

In altri termini, la CGUE ha inteso approntare, in astratto, una tutela per il consumatore che ipoteticamente non possa azionare il diritto alla restituzione delle addizionali verso il fornitore in quanto la legislazione e la giurisprudenza nazionale non gli consentono di disapplicare la norma istitutiva dell’addizionale in forza della (sola) inefficacia orizzontale della Direttiva. Emerge dunque chiaramente come la questione dell’(in)efficacia orizzontale della Direttiva costituisca, ai fini della risposta alla seconda delle questioni poste dal remittente, solo un mero antecedente logico della decisione della CGUE che ha necessariamente preso le mosse dalla ricostruzione della questione per come prospettata dal giudice comasco.

Tuttavia, tali esigenze di tutela non sussistono nell’ordinamento nazionale il quale appronta tutti gli strumenti necessari per consentire al consumatore di ottenere la ripetizione delle somme indebitamente versate al fornitore a titolo di addizionale provinciale a prescindere dall’efficacia orizzontale della Direttiva. Ed infatti:

1) il giudice nazionale ha il potere di “disapplicare, sulla base del suo diritto interno, qualsiasi disposizione del diritto nazionale contraria a una disposizione del diritto dell’Unione priva di effetto diretto” (i.e. l’art. 6 cit., par. 24 della sentenza CGUE C-316/22) stante il contrasto della norma con il diritto comunitario, come interpretato con efficacia vincolante dalla Corte di Giustizia UE. È infatti noto che il potere di disapplicare la normativa nazionale istitutiva dell’addizionale in questione è stato espressamente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità. La Corte di Cassazione, con sent. n. 22343/2020, nell’esercizio della sua funzione nomofilattica, ha infatti affermato che l’art. 6 d.l. n. 511/1988.: “indipendentemente da qualsiasi questione sul carattere self-executing della direttiva 2008/112/CE, peraltro integralmente recepita dalla normativa interna, va disapplicato in ossequio al ricevuto principio per cui l’interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di Giustizia U.E. è immediatamente applicabile nell’ordinamento interno e impone al giudice nazionale di disapplicare le disposizioni di tale ordinamento che, sia pure all’esito di una corretta interpretazione, risultino in contrasto o incompatibili con essa”;

2) l’utente può “far valere l’illegittimità di un’imposta che sia stata indebitamente ripercossa su di lui da un venditore” (par. 25 sent. CGUE C-316/22) mediante l’ordinaria azione di ripetizione dell’indebito;

3) il carattere indebito di tale versamento non dipende dalla “contrarietà dell’imposta in parola ad una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non trasposta o non correttamente trasposta” (par. 38 sent. CGUE C-316/22) quanto piuttosto dall’effetto che la disapplicazione della norma (art. 6 cit.), poiché contrastante con il diritto UE come interpretato dalla CGUE nel rapporto “a monte”, ha sul rapporto “a valle” (i.e. l’illegittimità della rivalsa esercitata ex art. 16 TUA). In altre parole, l’accertata incompatibilità dell’addizionale con il diritto unionale, come interpretato dalla CGUE, determinando l’illegittimità dell’imposizione nel rapporto verticale e la necessaria disapplicazione della norma istitutiva dell’addizionale, fa venir meno il presupposto fondante il valido esercizio del diritto di rivalsa;

La pronuncia della Corte di Cassazione

Ebbene, tornando alla sentenza in commento, è proprio sulla base di quanto detto finora che ci sembra debba essere letta la decisione dei Giudici di legittimità.

La Corte di Cassazione, nel solco dei principi riconosciuti dalla citata CGUE, afferma che nel caso in cui l’azione del consumatore nei confronti del fornitore non sia astrattamente esperibile perché “manca il presupposto di diritto per l’azione nei confronti del fornitore (nei termini indicati dalla Corte di Giustizia)” allora “cade il presupposto in base al quale doversi accertare l’eccessiva difficoltà dell’esperimento dell’azione nei confronti del fornitore, perché in questo caso l’azione di rimborso nei confronti del fornitore è ipso iure preclusa (“i consumatori finali si trovano giuridicamente impossibilitati a far valere nei confronti dei fornitori di elettricità l’incompatibilità dell’imposta addizionale all’accisa sull’elettricità” CGUE, loc. cit.)”.

Sulla base di ciò, la Suprema Corte pronuncia il condivisibile principio di diritto secondo cui “in caso di addebito, da parte del fornitore di energia al consumatore finale, dell’addizionale provinciale di cui all’art. 6, comma 2, del D.L. n. 511 del 1988, conv. con modif. dalla L. n. 20 del 1989, applicabile ratione temporis, imposta che si pone in contrasto con l’art. 48 della direttiva n. 2008/118/CE, l’impossibilità per il consumatore finale di far valere l’azione di indebito oggettivo nei confronti del fornitore costituisce presupposto per formulare la stessa domanda nei confronti dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli”.

Fin qui, nulla quaestio. Tale principio di diritto è coerente con la finalità sottesa alle statuizioni della CGUE: riconoscere un’ampia tutela per il consumatore finale gravato dalle addizionali provinciali in commento.

Da contestualizzare sono invece le affermazioni secondo cui:

1) il consumatore non potrebbe agire nei confronti del fornitore in ragione della “impossibilità di invocare a fondamento della ripetizione di indebito la mancata o irregolare trasposizione della direttiva nell’ordinamento interno”;

2) la pronuncia della CGUE rappresenta, per l’effetto, un’“importante innovazione nel diritto dell’unione” che “impone […] una rilettura del perimetro di esplicazione della legittimazione straordinaria del consumatore finale nei confronti di ADM in tema di rimborso di addizionali provinciali”.

Queste affermazioni, infatti, lette
sic et simpliciter, senza cioè considerare il contesto giurisprudenziale e normativo prima esaminato, si potrebbero prestare a possibili equivoci interpretativi. Sotto il primo profilo, come poc’anzi analizzato, infatti, i giudici unionali non hanno sostenuto che l’impossibilità di invocare in quanto tale una direttiva in una controversia tra privati sia ostativa al rimborso delle addizionali, ma anzi hanno confermato, in linea con quanto già affermato dalla Corte di Cassazione nelle precedenti pronunce, la facoltà per il giudice nazionale di disapplicare la Direttiva e riconoscere, “conformemente ad una facoltà riconosciutagli dalla normativa nazionale”, il diritto del privato di vedersi restituire dal fornitore le addizionali versate.Sotto il secondo profilo, la CGUE, a differenza di quanto  sembra emergere dalle affermazioni dei Giudici di legittimità, non ha statuito l’obbligo per il consumatore di agire sempre nei confronti dell’Erario “indipendentemente dalla condizione soggettiva del fornitore”, ma si è limitata a fare piana applicazione del principio di effettività stabilendo che, nel solo caso in cui l’ordinamento nazionale non permetta al consumatore di far valere l’illegittimità dell’imposta in ragione dell’impossibilità di disapplicare la norma interna in contrasto con la normativa unionale, debba essere riconosciuta al consumatore la possibilità di agire direttamente nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.

Dunque, ferma restando la legittimità delle azioni intraprese nei confronti dei fornitori di energia anziché verso lo Stato per illegittimità della rivalsa, le affermazioni della Corte di Cassazione ci sembra debbano essere intese nel senso di ampliare (e non, quindi, sostituire) le tutele offerte al consumatore, il quale si potrebbe trovare sprovvisto di tutela nei casi in cui il giudice nazionale ritenga di non poter riconoscere il diritto al rimborso delle addizionali in ragione dell’impossibilità di invocare in quanto tale una direttiva in una controversia tra privati. È in ragione di quest’ultima situazione che quindi la Corte di Cassazione, nel solco di quanto statuito dalla CGUE, ha voluto tracciare una nuova ed aggiuntiva strada percorribile dal contribuente. D’altronde, una differente interpretazione implicherebbe, da un lato, la smentita di tutta la giurisprudenza formatasi sinora sulla possibilità per consumatore di agire nei confronti del fornitore, dall’altro l’effetto di ledere irrimediabilmente i diritti degli utenti che la CGUE e la stessa Corte si prefiggono molto opportunamente di preservare.

___________________________________

[1]Allorquando, cioè, si dimostri che l’azione esperibile nei confronti del fornitore si rivela oltremodo gravosa. Tra tutte si ricorda Cass. sent. n. 29980/2019 secondo cui: “il consumatore finale dell’energia elettrica, a cui sono state addebitate le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui al D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 3 (nel testo applicabile ratione temporis) da parte del fornitore, può agire nei confronti di quest’ultimo con l’ordinaria azione di ripetizione di indebito e, solo nel caso in cui tale azione si riveli impossibile o eccessivamente difficile con riferimento alla situazione in cui si trova il fornitore, può eccezionalmente chiedere il rimborso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, nel rispetto del principio unionale di effettività e previa allegazione e dimostrazione delle circostanze di fatto che giustificano tale legittimazione straordinaria”.

[2] A seguito della sentenza interpretativa del 25 luglio 2018, Messer France (C-103/17, EU C 2018 587), è stato chiarito che l’imposta addizionale all’accisa sull’elettricità, prevista, prima di essere abrogata, dall’articolo 6 del decreto-legge n. 511/1988 , non aveva alcuna finalità specifica ed era dunque contraria all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118.

[3] È stato ancora precisato, sia pure con riferimento all’IVA di rivalsa (Cass. n. 23288 del 27/09/2018), che dal compimento dell’operazione imponibile scaturiscono tre rapporti: uno, tra l’Amministrazione finanziaria e il cedente, relativo al pagamento dell’imposta; un secondo, tra il cedente e il cessionario, concernente la rivalsa; un terzo, tra l’Amministrazione e il cessionario, relativo alla detrazione dell’imposta assolta in via di rivalsa (Cass. S.U. n. 26437 del 20/07/2017). Si tratta di rapporti che, pur essendo collegati, non interferiscono tra loro e soltanto il cedente ha titolo ad agire per il rimborso nei confronti dell’Amministrazione, la quale, pertanto, essendo estranea al rapporto tra cedente e cessionario, non può essere tenuta a rimborsare direttamente a quest’ultimo quanto dallo stesso versato in via di rivalsa (Cass. n. 14933 del 06/07/2011Cass. n. 17169 del 26/08/2015).

[4]ex multis CGUE, C-316/22, punto 27; CGUE, 22 dicembre 2022, Sambre E Biesme e Commune de Farciennes, C-383/21 e C-384/21, punto 36, CGUE; 22 novembre 2017, Cussens, C-251/16, punto 26; CGUE, 12 dicembre 2013, Portgás, C-425/12, punti 18 e 22.

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