Sulla classificazione in bilancio del contributo straordinario di cui all’art. 37 del d.l. 21 marzo 2022, n. 21 a seguito della sentenza n. 111/2024 della Corte Costituzionale
Corte Cost. sent. n. 111/2024
1. Con la sentenza n. 111/2024 la Corte Costituzionale ha dichiarato che il contributo straordinario di cui all’art. 37 del d.l. n. 21/2022 (di seguito, il “Contributo”) è conforme a Costituzione nel suo complesso. Come già evidenziato su questo sito ([1]), le motivazioni addotte dal Giudice delle Leggi a sostegno di tale decisione presentano numerosi profili di criticità. Tuttavia, esse paiono idonee ad incidere sull’individuazione della corretta classificazione in bilancio del medesimo Contributo e, dunque, a riaprire il dibattito circa un ulteriore profilo di dubbia conformità a Costituzione della disciplina istitutiva del Contributo, ossia il divieto di deduzione dello stesso dalla base imponibile dell’IRAP, stabilito dal comma 7 del medesimo art. 37 ([2]).
2. Come è noto, a seguito dell’entrata in vigore del d.l. n. 21/2022, la gran parte degli operatori incisi dal Contributo che applicano i principi contabili nazionali ha ritenuto corretto rilevare il Contributo nella voce 20 del conto economico (“imposte sul reddito dell’esercizio, correnti, differite e anticipate”), nella quale devono essere classificati i “tributi diretti”, tra i quali rientrano notoriamente le imposte sui redditi e non nella voce B14 (“oneri diversi di gestione”), la quale accoglie, invece, le “altre imposte e tasse diverse dalle imposte dirette da iscrivere alla voce 20”, quali, a titolo esemplificativo, l’imposta di registro, le imposte ipotecaria e catastale.
Detta classificazione è stata, all’epoca dell’introduzione del Contributo, ritenuta ragionevole in virtù del fatto che esso poteva apparire assimilabile ad un’imposta sul reddito, posto che il relativo presupposto risultava rinvenibile nella tassazione di supposti “extra-profitti” conseguiti dalle imprese energetiche in dipendenza dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del medesimo settore e, dunque, in una manifestazione di capacità contributiva assimilabile al “possesso di un reddito” rappresentato dall’utile d’esercizio. Tale interpretazione trovava, d’altronde, conforto nei lavori preparatori del citato d.l. n. 21/2022, ove è affermato che il Contributo Straordinario avrebbe dovuto intercettare una plus-ricchezza congiunturale di cui le imprese del comparto dell’energia avrebbero beneficiato; plus-ricchezza testualmente descritta come “extra-profitto” conseguito per effetto dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico. In particolare, nella relazione illustrativa al citato decreto si legge che:
“è introdotto un contributo, a titolo di prelievo solidaristico straordinario, dovuto per l’anno 2022, a cui sono tenuti i produttori, importatori e rivenditori di energia elettrica, di gas nonché di prodotti petroliferi che hanno beneficiato di extra profitti, a causa dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore”.
Identiche considerazioni sono espresse nella relazione tecnica al medesimo d.l. n. 21/2022, ove si afferma che:
“La normativa introduce un contributo, a titolo di prelievo straordinario, dovuto per l’anno 2022, a cui sono tenuti i produttori, importatori e rivenditori di energia elettrica, di gas nonché di prodotti petroliferi che hanno beneficiato di extra profitti, a causa dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore”.
3. Sennonché, alla luce della citata sentenza n. 111 del 27 giugno 2024 della Corte Costituzionale, tale impostazione appare meritevole di essere riconsiderata. Ed infatti, la Corte Costituzionale, nel dichiarare la legittimità costituzionale del Contributo nel suo complesso, ha, a ben vedere, smentito il fondamentale presupposto in base al quale la classificazione del Contributo nella voce 20 è stata operata, ossia, come detto, la finalità del Contributo di tassare i supposti “extra-profitti” conseguiti dalle imprese operanti nel settore energico.
Più in particolare, con la citata pronuncia, la Corte Costituzionale ha sancito che “il presupposto” del Contributo “non si identifica nei cosiddetti extraprofitti”, ma, al contrario, come “si evince […] dalla disciplina” recata dall’art. 37, cit., esso:
“si identifica – in ragione del comma 1 che seleziona i soggetti passivi, del comma 2 che definisce la base imponibile e del comma 3 che stabilisce il metodo di calcolo – con l’incremento di un saldo differenziale conseguente la vendita, a determinate condizioni, di prodotti energetici da parte di taluni soggetti operanti nel settore energetico in un particolare contesto temporale”.
In proposito, la Corte osserva che, seppur “sporadici accenni” alla nozione di extra-profitti “sono […] presenti nei lavori preparatori e nelle relazioni di accompagnamento del decreto-legge e del susseguente disegno di legge di conversione” essi:
“sono svolti in senso del tutto atecnico, semplicemente per significare che […] la ratio storica dell’intervento normativo risiede nell’intento di colpire con un prelievo straordinario gli scambi di prodotti energetici di quegli operatori economici che, rispetto alla generalità delle altre imprese operanti nel mercato, stavano – in base all’id quod plerumque accidit – beneficiando di un andamento «anticiclico»”.
D’altronde, prosegue la Consulta, se il Legislatore avesse inteso intercettare supposti extra profitti sarebbe stato:
“fisiologico fare riferimento ai dati dichiarati ai fini dell’imposta sui redditi delle società (IRES), dal momento che la maggiore ricchezza è facilmente riscontrabile in termini di surplus di utili conseguiti”
e non, al contrario, mutuare:
“le regole applicative di un’imposta indiretta come l’IVA”, la quale “non garantisce con altrettanta sicurezza il risultato di intercettare la maggiore ricchezza”.
Se, dunque, in base a quanto statuito dalla Corte Costituzionale, il Contributo non è un’imposta volta a tassare gli extra profitti delle imprese energetiche e, dunque, un’imposta assimilabile ad un’imposta sul reddito, pare ragionevole ritenere che, in base a corretti principi contabili, tale Contributo non debba essere classificato nella voce 20 del conto economico (“imposte sul reddito”) bensì nella voce B14 (“oneri diversi di gestione”) nella quale, come detto, devono essere contabilizzate le “altre imposte e tasse diverse dalle imposte dirette da iscrivere alla voce 20”.
4. La rimeditazione della classificazione di bilancio del Contributo per effetto di quanto stabilito nella citata pronuncia della Corte Costituzionale non è, a ben vedere, questione di rilievo meramente teorico.
Ed infatti, se, prima della sentenza della Corte Costituzionale, la classificazione del Contributo nella voce 20 del conto economico – ossia, in una voce non rilevante ai fini IRAP – determinava ex se l’indeducibilità dello stesso, di converso, poiché pare ora corretto ritenere, in base a quanto sopra rilevato, che il suddetto Contributo debba essere classificato nella voce B14 – ossia, in una voce rilevante ai fini del tributo regionale – esso risulta astrattamente deducibile dall’IRAP. Il che, naturalmente, infonde nuova linfa alla questione della legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., del divieto di deduzione dalla base imponibile IRAP del Contributo sancito dall’art. 37, comma 7, del d.l. n. 21/2021.
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[1] S. Supino, Sulla sentenza n. 111/2024 della Corte Costituzionale e sul principio di capacità contributiva in (tempi di) crisi.
[2] Sul tema si veda, in questo sito, L. Salvini, Il contributo straordinario contro il caro bollette a carico delle imprese energetiche, par. 6.