Il Consiglio di Stato sul silenzio-assenso nelle procedure di VIA
Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n. 867 del 4 febbraio 2025
In data 4 febbraio 2025, il Consiglio di Stato è tornato a pronunciarsi sul tema delle energie rinnovabili, facendo chiarezza su alcuni snodi determinanti delle procedure di Valutazione di impatto ambientale, soffermandosi, in particolare, sulla natura e sulle implicazioni del silenzio serbato dall’Amministrazione.
Il giudizio muove dal ricorso promosso davanti al Tar Puglia da un operatore del settore avverso il Decreto con cui il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, di concerto con il Ministero della Cultura, ha espresso giudizio negativo di compatibilità ambientale su un progetto di impianto agrofotovoltaico.
In primo grado si censurava, in particolare, il parere negativo della Soprintendenza Speciale-PNRR, fondato sull’asserita incompatibilità del progetto con le esigenze di protezione dei beni culturali su cui era destinato ad incidere.
Il giudizio affronta il tema, già noto alla giurisprudenza, degli effetti che discendono dalla non tempestiva produzione del parere da parte delle Amministrazioni partecipanti alla procedura di V.i.a., definendo, di conseguenza, anche il peso da attribuirgli.
Sul punto, il Giudice di prime cure ha ritenuto la tardività del parere fosse elemento determinante al fine dell’accoglimento del ricorso della Società, che correttamente si sarebbe dovuta risolvere nella formazione del silenzio-assenso sulla compatibilità paesaggistica, ai sensi dell’art 17-bis L. n. 241/1990.
In sede di appello, i Ministeri hanno contestato la posizione del Tar, ritenendo che, nel caso di specie, non troverebbe applicazione il silenzio-assenso di cui all’art. 17-bis, configurandosi piuttosto un’ipotesi di silenzio devolutivo (art. 25 co. 2-quater d.lgs. n. 152/2006).
Tuttavia, evidenzia il Consiglio che, quando, come nel caso che qui interessa, vi siano elementi di dissenso sul progetto o, ancora, i pareri previsti non siano resi nei termini prescritti, l’autorità competente è comunque tenuta a procedere, non verificandosi alcuna devoluzione.
Allo stesso modo, non può essere condivisa la ricostruzione dell’art. 26 d.lgs. n. 42/2004 che vorrebbe attribuito al parere negativo espresso dal Ministero della cultura una portata tale da influenzare tutto il procedimento successivo, con la conseguenza che, nel caso, la valutazione dovrebbe necessariamente concludersi in negativo.
A riguardo, il Consiglio sostiene che il parere negativo della Soprintendenza sulla compatibilità paesaggistica del progetto non è tanto da considerarsi come espressione di un potere di veto, quanto di un dissenso qualificato, che diviene semplicemente parte “della valutazione ponderale delle posizioni prevalenti espresse dalle Amministrazioni”.
Si tratta, a ben vedere, di un orientamento già consolidato nella giurisprudenza di primo grado – e ora autorevolmente condiviso dal Consiglio di Stato – che sancisce l’irrilevanza del parere negativo del Ministero della cultura reso tardivamente e, conseguentemente, l’impossibilità che questo sia l’unico elemento posto a base del giudizio negativo di compatibilità (v. Tar Puglia, Bari, Sez. II, Sent. n. 1222 del 2024).
Sul punto sono intervenute anche le Sezioni Unite della Cassazione, che, nel definire il peso da attribuire alle determinazioni che compongono la procedura, hanno chiarito che il parere negativo espresso da una delle Amministrazioni partecipanti non può produrre l’effetto di impedire la prosecuzione del procedimento. Tali pareri, infatti, si limitano a riportare una rappresentazione degli interessi che sono affidati alla tutela dell’ente che ne è espressione, con la conseguenza che sarà poi a discrezione dell’autorità decidente la recezione o meno di quella rappresentazione (Cass. Civ. Sez. Unite, ordinanza n. 10054 del 2023).
Dalla ricostruzione della sentenza risulta evidente l’apporto del Consiglio di Stato nel senso dell’eliminazione di incertezze che possono sorgere nel valutare l’impatto ambientale di un determinato progetto, soprattutto alla luce dell’oggettiva difficoltà di coordinare – nei tempi e nei contenuti – le determinazioni dei diversi soggetti coinvolti nella procedura.