1. Con sentenza n. 43 depositata il 15 aprile 2025 la Corte Costituzionale ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica di cui all’art. 6 del d.l. n. 511/1988 “per violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE”.

Merita brevemente ricordare che l’art. 6 cit. è stato abrogato dal 2012 a seguito dell’apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea stante il contrasto tra la disciplina nazionale e l’art. 1, comma 2, della Direttiva 2008/118/CE il quale legittima un’imposizione indiretta, aggiuntiva sul consumo di energia elettrica già colpito dalle accise armonizzate, solo ove essa “sia … rispondente a una o più finalità specifiche”. Tra tali finalità non può rientrare, come invece accadeva nel caso di specie, la generica previsione che una parte del gettito di un’imposta addizionale si risolva in una contribuzione al bilancio interno di uno Stato ([1])([2]) (sul punto, cfr. ex multis un precedente contributo su questo sito).

Proprio in ragione della constatata assenza di una siffatta finalità specifica, la Corte di Cassazione ha, sin dal 2019, sancito l’illegittimità dell’art. 6 cit. e del prelievo effettuato fino alla sua abrogazione a titolo di addizionale provinciale. Di conseguenza, i giudici di legittimità hanno riconosciuto il diritto al rimborso delle somme versate a tale titolo statuendo che:

1) l’addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica … va disapplicata per contrasto, con l’art. 1, comma 2, Direttiva n. 2008/118/CE” ([3]), per l’effetto;

2) “il consumatore finale, al quale il fornitore abbia addebitato le suddette imposte, può esercitare nei confronti di quest’ultimo l’ordinaria azione di ripetizione dell’indebitoex art. 2033 c.c. ([4]);

3) il fornitore, in quanto soggetto passivo dell’imposta, può “presentare istanza di rimborso all’Amministrazione finanziaria”, ai sensi e nei termini di cui all’art. 14, co. 4, TUA ([5]), ossia entro due anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna alla restituzione delle somme al consumatore pronunciata nel giudizio civile (cfr. e pluribus sent. Cass. n. 19 novembre 2019 n. 29980).

Sulla scorta delle indicazioni fornite dalla corte di Cassazione, i consumatori hanno instaurato un annoso contenzioso civile volto al recupero, mediante l’esperimento dell’azione ex art. 2033 c.c. nei confronti dei fornitori, dell’addizionale versata negli anni d’imposta in relazione ai quali non era ancora decorso il termine decennale di prescrizione. Per quanto qui di interesse, una delle principali difese svolte dai fornitori resistenti in tali giudizi si è fondata sull’impossibilità, per il giudice a quo, di riconoscere il diritto al rimborso del consumatore data l’impossibilità di disapplicare, come invece riconosciuto dalla Corte di Cassazione, la disciplina nazionale per contrasto con la normativa unionale. E ciò in ragione del noto principio di inefficacia c.d. orizzontale delle direttive europee (i.e. nel rapporto tra privati). I consumatori avrebbero pertanto dovuto rivolgersi direttamente nei confronti dello Stato.

2. L’assetto dei rapporti sostanziali e processuali intercorrenti tra l’Amministrazione finanziaria, il fornitore e il consumatore chiaramente delineato dalla Corte di Cassazione e già avversato dai fornitori, si è notevolmente complicato a seguito della sentenza della CGUE dell’11 aprile 2024, resa nella causa C-316/22, con cui i giudici unionali hanno ribadito la pacifica inefficacia orizzontale della citata Direttiva e riconosciuto la legittimazione dell’utente ad agire direttamente nei confronti dell’Amministrazione finanziaria ove il giudice nazionale ritenga di non poter riconoscere, nel giudizio tra consumatore e fornitore, il diritto al rimborso delle addizionali “in ragione dell’impossibilità di invocare in quanto tale una direttiva in una controversia tra privati”.

Sebbene tale pronuncia abbia, di fatto, lasciato immutati i presupposti per l’azione civilistica ex art. 2033 c.c. del consumatore nei confronti del fornitore ed esteso, piuttosto, la tutela del primo anche attraverso il riconoscimento di un’azione diretta nei confronti dello Stato, la giurisprudenza di legittimità formatasi successivamente a tale pronuncia ha gettato nuovamente tutti gli operatori in un clima di incertezza. Ed infatti, la Corte di Cassazione e alcune corti di merito ([6]) pronunciatesi successivamente all’intervento della CGUE, hanno interpretato il dictum della CGUE in modo invero solo parzialmente coerente con l’intento della Corte (sul punto cfr. precedente articolo su questo sito) dando adito alla tesi di coloro i quali ritenevano che il soggetto legittimato passivo dell’azione di restituzione di indebito proposta dal privato potesse essere solo lo Stato, stante la predetta impossibilità per il giudice di disapplicare la disciplina nazionale alla luce dell’inefficacia orizzontale della Direttiva nel rapporto tra privati.

3. In tale complesso scenario – qui solo brevemente tratteggiato – si inserisce la sentenza della Corte Costituzionale in commento che, previa riunione dei relativi giudizi, si è pronunciata sulle questioni di costituzionalità promosse dal Collegio Arbitrale di Vicenza con ordinanza del 26 marzo 2021 e dal Tribunale di Udine con ordinanza del 30 dicembre 2021 rispettivamente in relazione:

a) alla compatibilità dell’art. 14, comma 4, del TUA con gli artt. “3, 24, 41, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 16 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. Secondo il collegio rimettente, infatti, la censurata disposizione imporrebbe un onere eccessivamente gravoso in capo al fornitore il quale sarebbe costretto, in virtù del meccanismo sopra ricordato, ad anticipare il rimborso dell’addizionale richiesta dal cliente e sopportare un intero giudizio prima di poter ottenere a sua volta il rimborso da parte dell’Amministrazione finanziaria;

b) dell’art. 6, commi 1, lettera c), e 2, del d.l. n. 511 del 1988, come convertito e sostituito, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE secondo cui è sì possibile per gli Stati membri introdurre ulteriori imposizioni indirette sui prodotti già sottoposti ad accisa, ma solo se aventi «finalità specifiche». Finalità specifiche che nel caso in esame non sussisterebbero.

4. Quanto alla prima questione, la Corte ha rilevato il difetto di rilevanza in relazione al giudizio a quo. Secondo la Consulta, infatti, il giudice remittente non ha motivato sul perché l’art. 14 cit., disciplinante “la richiesta di rimborso che il soggetto passivo dell’accisa (il fornitore) può avanzare nei confronti dell’amministrazione finanziaria”, dovrebbe trovare applicazione nel giudizio arbitrale nel quale il Collegio “è invece chiamato a pronunciare sulla domanda di ripetizione dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica proposta dal cliente verso il fornitore” (par. 6). Più specificatamente, i giudici costituzionali hanno osservato che il rapporto tributario inerente al pagamento di accise e addizionali si svolge solo tra l’amministrazione finanziaria e i soggetti passivi d’imposta (i fornitori) e rispetto a tale rapporto rimane del tutto estraneo il consumatore tenuto a pagare al fornitore il prezzo dell’energia e, con esso (in caso di rivalsa dell’imposta), il costo delle accise e addizionali quale componente del prezzo di vendita dell’energia (Cass. 24 maggio 2019 n. 14200). E siccome il citato art. 14 inerisce al rapporto tributario tra il fornitore e l’amministrazione finanziaria, per la Consulta la questione non è rilevante perché ha “ad oggetto una disposizione attinente al compimento di un atto che si colloca “a valle” della risoluzione della controversia oggetto del giudizio a quo e che resta comunque estraneo all’ambito della cognizione del Collegio rimettente”

5. La Corte ha, invece, ritenuto rilevante e fondata la seconda delle questioni esaminate concernente la norma istitutiva dell’addizionale provinciale in questione. Sotto un primo profilo, la Consulta ha ritenuto rilevante la questione proposta in quanto il giudice a quo, investito di una controversia tra privati (fornitore e consumatore) avente ad oggetto la restituzione dell’addizionale, non potrebbe accogliere la domanda del consumatore stante l’impossibilità di “disapplicare, nell’ambito di una controversia tra privati, la norma nazionale” che “istituisce un’imposta indiretta contraria ad una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non trasposta o non correttamente trasposta”.

In altre parole,

il giudice civile, constatata la preclusione della strada della non applicazione, dovrebbe sempre rigettare la domanda di ripetizione di indebito proposta dal cliente nei confronti del fornitore e basata sulla contrarietà dell’imposta alla direttiva” ([7]). “Solo in caso di accoglimento della questione sollevata, infatti, il giudice a quo potrebbe condannare il fornitore (che potrà, a sua volta, rivalersi nei confronti dello Stato) alla ripetizione dell’indebito, dato l’effetto ex tunc, salvo per i rapporti esauriti, della sentenza di questa Corte che dichiari costituzionalmente illegittima l’addizionale in questione”.

Quanto al merito della questione sollevata, la Corte ha ritenuto fondata la questione posto che l’art. 6 cit. viola gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1, paragrafo 2, della direttiva n. 2008/118/CE in quanto “deve escludersi che l’addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica rispetti il requisito della finalità specifica, dal momento che il citato art. 6, al comma 1, lettera), prevede solo una generica destinazione del gettito dell’addizionale provinciale c «in favore delle province», che trova conferma nel preambolo del d.l. n. 511 del 1988, nella quale si afferma che le misure impositive in esso previste sono rivolte ad «assicurare le necessarie risorse agli enti della finanza regionale e locale, al fine di garantire l’assolvimento dei compiti istituzionali»”.

6. Con tale pronuncia la Corte pare aver scelto una strada “mediana” che forse non soddisfa in pieno le esigenze di tutte le parti private coinvolte nei giudizi in corso.

A seguito della declaratoria di incostituzionalità, infatti, è venuta meno ogni questione relativa all’individuazione del soggetto tenuto alla restituzione ai consumatori dell’addizionale. Sebbene, infatti, la Consulta abbia di fatto smentito tutta la giurisprudenza di legittimità formatasi prima dell’intervento della CGUE (che postulava la necessaria disapplicazione da parte del giudice a quo della disciplina nazionale in materia di addizionale), tale pronuncia “ripristina” (ove mai questa sia stata in dubbio) la tutela civilistica originariamente riconosciuta al consumatore il quale potrà ora pacificamente esercitare l’azione di ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c. direttamente nei confronti del fornitore, dato l’effetto ex tunc, salvo per i rapporti esauriti, della pronuncia della Corte.

D’altro canto, però, sembrerebbero rimanere insoddisfatte le ragioni dei fornitori i quali, pur a fronte di un’imposta illegittima, devono comunque attenersi alle previsioni dell’art. 14, comma 4, TUA sulla cui legittimità la Corte non si è pronunciata. I fornitori, dunque, dovranno comunque attendere l’esito (certamente) sfavorevole di un giudizio civile e solo dopo aver anticipato al consumatore le somme loro spettanti potranno chiedere il rimborso all’Amministrazione finanziaria, il che solleva qualche interrogativo quantomeno con riferimento al principio di economia processuale. E ciò, peraltro con l’ulteriore incognita dell’effettiva restituzione dell’intero importo anticipato. È, infatti, noto che le Dogane abbiano già da tempo escluso la rimborsabilità degli oneri accessori connessi con la soccombenza nel giudizio (compresi gli interessi) e delle somme versate a titolo di addizionale provinciale sull’accisa in relazione a forniture di energia elettrica con potenza disponibile non superiore a 200 kW, per le quali l’Amministrazione finanziaria ritiene competenti le Provincie in cui sono ubicate le utenze ([8]).

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[1] Occorre, in altre parole, che il gettito di tale imposta sia obbligatoriamente utilizzato “al fine di ridurre i costi ambientali specificamente connessi al consumo di energia elettrica su cui grava l’imposta in parola nonché di promuovere la coesione territoriale e sociale, di modo che sussiste un nesso diretto tra l’uso del gettito derivante dall’imposta e la finalità dell’imposizione in questione … un’assegnazione predeterminata del gettito di una tassa rientrante in una semplice modalità di organizzazione interna del bilancio di uno Stato membro, non può, in quanto tale, costituire una condizione sufficiente a siffatto riguardo, poiché ogni Stato membro può decidere di imporre, a prescindere dalla finalità perseguita, l’assegnazione del gettito di un’imposta al finanziamento di determinate spese” (CGUE 25 luglio 2018, in causa C-103/17, La Messer France SAS).

[2] Sul punto, cfr. CGUE 24 febbraio 2000, in causa C-434/97, Commissione/Francia, punto 19; CGUE 9 marzo 2000, in causa C-437/97, EKW e Wein & Co., punto 31; CGUE 27 febbraio 2014, in causa C-82/12, Transportes lordi Besora, punto 23. Cfr. anche Corte di Giustizia UE, 5 marzo 2015, C-553/13, Statoil Fuel & Retail, punti 35 – 36; analogamente Corte di Giustizia UE, 25 luglio 2018, C-103/17, La Messer France SAS, punti 35 ss.; Corte di Giustizia UE, 27 febbraio 2014, C82/12, Transportes Jordi Besora, punto 22.

[3] Cfr. sent. n. 3233 dell’11 febbraio 2020; sent. n. 15198 del 4 giugno 2019; sent. n. 27101 del 23 ottobre 2019; n. 28047 del 31 ottobre 2019.

[4] La Cassazione ha altresì riconosciuto che “soltanto nel caso in cui dimostri l’impossibilità o l’eccessiva difficoltà di tale azione – da riferire alla situazione in cui si trova il fornitore – può in via di eccezione chiedere direttamente il rimborso all’Amministrazione finanziaria, nel rispetto del principio unionale di effettività della tutela”.

[5] Ai sensi del quale «[q]ualora, al termine di un procedimento giurisdizionale, il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme»

[6] In senso contrario, di recente, cfr. Corte d’Appello di Firenze sent. n. 476/2025, Corte d’Appello di Genova sent. n. 28/2025.

[7] La Corte ha altresì affermato che, proprio in ragione del fatto che il giudizio a quo coinvolge solo parti private, non priva di rilevanza la questione proposta “l’effetto prodotto nel giudizio a quo dalla recente sentenza della Corte di giustizia 11 aprile 2024, causa C-316/22, Gabel industria tessile spa e Canavesi spa” e dalla più recente giurisprudenza di legittimità che, come ben noto, ha “riconosciuto che il cliente del servizio di fornitura di energia elettrica deve potere esercitare un’azione diretta nei confronti dello Stato anche nel caso di impossibilità giuridica di agire contro il fornitore”.

[8] E ciò nonostante la Corte di Cassazione abbia chiaramente affermato il seguente principio di diritto “spetta in via esclusiva all’Agenzia delle dogane e dei monopoli la legittimazione passiva nelle liti promosse dal cedente della fonte energetica per il rimborso dell’addizionale provinciale sulle accise, di cui all’ abrogato art. 6, del decreto-legge 511/1988, per forniture di energia elettrica con potenza disponibile non superiore a 200 kW ” (sent. n. 21883/2024).

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