L’Adunanza Plenaria chiamata a pronunciarsi sui provvedimenti del GSE di riconoscimento e revoca degli incentivi
Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza non definitiva 27 aprile 2020, n. 2682
La IV Sezione del Consiglio di Stato, con sentenza non definitiva e contestuale ordinanza di rimessione del 27 aprile 2020, n. 2682, ha sottoposto all’Adunanza Plenaria tre quesiti volti a fare chiarezza su alcuni importanti aspetti della disciplina in materia di incentivi pubblici per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
In particolare, i quesiti riguardano la natura, unitaria o scomponibile, del procedimento amministrativo, di competenza del Gestore dei Servizi Energetici – GSE S.p.A., volto al riconoscimento degli incentivi – secondo la c.d. “tariffa base” o con eventuali “maggiorazioni” –, nel quadro della nozione di “violazione rilevante” che, ai sensi dell’art. 42, comma 3, del d.lgs. n. 28/2011, legittima il Gestore a disporre la “decadenza” dagli incentivi già riconosciuti.
La vicenda trae origine dalla revoca degli incentivi ad un’impresa inizialmente ammessa a fruire delle tariffe incentivanti di cui al DM 5 maggio 2011 (c.d. Quarto Conto Energia), per l’energia prodotta da un impianto fotovoltaico collocato sul tetto del proprio edificio.
Più nel dettaglio, il Gestore aveva riconosciuto l’erogabilità, oltre che della c.d. tariffa base, anche della maggiorazione tariffaria del 10%, di cui all’art. 14, comma 1, lett. d) del medesimo DM, in quanto l’impresa, in sede di domanda, aveva certificato che l’impianto in questione era stato realizzato con moduli fotovoltaici prodotti nell’Unione Europea (il c.d. premio UE).
Sennonché, ad esito di un procedimento di controllo, il GSE aveva accertato la non conformità del certificato sull’origine europea dei moduli (il c.d. Factory Inspection Attestation) prodotto dall’impresa e, di conseguenza, aveva disposto la decadenza, ai sensi dell’art. 42, comma 3, del d.lgs. n. 28/2011, per la “violazione rilevante” consistente nella “presentazione al GSE di dati non veritieri o di documenti falsi, mendaci o contraffatti, in relazione alla richiesta di incentivi, ovvero mancata presentazione di documenti indispensabili ai fini della verifica della ammissibilità agli incentivi” (all. n. 1, lett. a, del DM 31 gennaio 2014).
In primo grado, il TAR Lazio, con sentenza 7 agosto 2018, n. 8838, ha respinto il ricorso presentato dall’impresa, richiamando la propria costante giurisprudenza, facente leva sul “principio di autoresponsabilità nella produzione di dichiarazioni e di documenti”, che
“governa le procedure per il riconoscimento degli incentivi, anche al di là dell’elemento soggettivo sottostante: è onere dell’interessato fornire tutti gli elementi idonei a dar prova della sussistenza delle condizioni per l’ammissione ai benefici, ricadendo sullo stesso eventuali carenze che incidano sul perfezionamento della fattispecie agevolativa”.
Adìto in appello, il Consiglio di Stato, con la sentenza in questione, ha innanzitutto confermato la pronuncia di primo grado nella parte in cui ha riconosciuto la sussistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento di decadenza.
Tuttavia, nella seconda parte della medesima sentenza, il Collegio ha ritenuto di doversi avvalere dell’ausilio interpretativo dell’Adunanza Plenaria con riferimento all’ulteriore doglianza dell’appellante, volta a vedersi riconosciuta quantomeno la “tariffa base” dell’incentivo – senza, cioè, la maggiorazione per il “premio UE” – sul presupposto che l’irregolarità contestata dal GSE avrebbe inciso unicamente sul riconoscimento di tale maggiorazione e non, invece, sulla spettanza, in radice, dell’incentivo energetico.
Invero, su tale ulteriore doglianza, il Consiglio di Stato ha rilevato l’esistenza di due distinti orientamenti ermeneutici:
- secondo un primo orientamento, la dichiarazione non veritiera del privato dovrebbe sempre condurre alla decadenza dagli incentivi, anche nell’ipotesi in cui si sia rivelata “innocua o priva di effettivi vantaggi concreti”, come nel caso di specie riguardo al riconoscimento dell’incentivo “base”;
- secondo un diverso orientamento, invece, la violazione riscontrata avrebbe rilevanza ai soli fini della maggiorazione del 10%, come affermato nella sentenza della stessa IV Sezione del 18 maggio 2016, n. 2006, con salvezza del c.d. incentivo base.
Proprio al fine di dirimere tale controversia interpretativa, il Giudice dell’appello ha dunque evidenziato la necessità di chiarire se, a fronte di una domanda unitaria volta ad ottenere sia la tariffa base incentivante che la maggiorazione, il provvedimento del GSE di ammissione agli incentivi possa configurarsi come un provvedimento amministrativo “plurimo”, scindibile in due distinte ed autonome determinazioni (i.e., l’una avente ad oggetto l’incentivo di base, l’altra la sua maggiorazione), oppure se debba ritenersi un provvedimento sostanzialmente unico.
Invero, solo nel caso in cui si optasse per l’unicità sostanziale del provvedimento di ammissione, la violazione riscontrata determinerebbe la decadenza sia dal beneficio base che dalla sua maggiorazione.
Diversamente, ove invece si ammettesse la natura plurima del provvedimento, ovvero che lo stesso contiene due determinazioni distinte (sebbene contenute in un unico documento formale),
“si potrebbe concludere nel senso della scissione dei relativi effetti giuridici e, quindi, che la violazione riscontrata, se afferente alla sola maggiorazione, sia ritenuta ‘rilevante’ per la stessa, ma non anche per la tariffa base incentivante”,
la quale resterebbe dovuta.
Peraltro, la Sezione rimettente ha ulteriormente precisato che, ove dovesse ritenersi che la violazione riscontrata sia rilevante ai fini dell’erogazione dell’intero beneficio, andrebbe altresì indagata la natura, sanzionatoria o meno, del provvedimento di decadenza del Gestore, al fine di stabilire se su quest’ultimo
“gravi l’obbligo di motivare in ordine alla presenza dell’elemento soggettivo della condotta, attiva od omissiva, che ha generato la violazione riscontrata”.
Alla luce di tali considerazioni, la IV Sezione del Consiglio di Stato ha quindi sottoposto all’Adunanza Plenaria i seguenti quesiti:
“a) se la richiesta, da parte di un operatore economico, degli incentivi previsti dal D.M. 5 maggio 2011 e della maggiorazione economica prevista dall’art. 14, comma 1, lettera d) dello stesso D.M. determini l’avvio di un unico procedimento (nel quale la maggiorazione ha natura non dissimile dall’incentivo base) e, in caso affermativo, se il provvedimento conclusivo dello stesso debba essere considerato plurimo, qualora si dovesse ravvisare una diversità tra gli effetti giuridici derivanti dalla richiesta della tariffa base e quelli derivanti dalla richiesta della relativa maggiorazione;
b) se, ai sensi dell’art. 42, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011, quando la violazione riscontrata riguardi una certificazione prodotta al fine di ottenere la maggiorazione del 10% di cui all’art. 14, comma 1, lett. d), del D.M. 5 maggio 2011, la violazione stessa debba intendersi rilevante ai fini della decadenza dalla intera tariffa incentivante, ovvero dalla sola maggiorazione del 10% per ottenere la quale era stata prodotta;
c) se, il provvedimento di decadenza di cui all’art. 42, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011, nell’ipotesi in cui esso riguardi l’intero beneficio, abbia natura sanzionatoria e, quindi, richieda l’accertamento dell’elemento soggettivo della condotta attiva od omissiva in capo all’interessato, oppure se la perdita dell’intero beneficio – e non della sola maggiorazione (perdita da considerare, come si è visto, automatica per l’oggettiva insussistenza del presupposto) – sia anch’essa la conseguenza della oggettiva insussistenza di tutti i presupposti richiesti per ottenere l’importo complessivamente richiesto”.