28/11/2020

A conclusione di una vicenda giuridica che ha avuto una particolare risonanza mediatica e con un iter argomentativo assolutamente conforme alle tesi giuridiche più volte espresse su questo blog (si veda, da ultimo, l’articolo “Nuovi spunti di riflessione in materia di accatastabilità delle torri dei parchi eolici sulla base della più recente giurisprudenza di legittimità”), la Corte di Cassazione – nell’affrontare per la prima volta la relativa questione giuridica – , con quattro distinte ordinanze della Sezione Sesta Civile, ha definitivamente confermato che la norma di cui all’art. 1, comma 21, Legge 28 dicembre 2015, n. 208 – con specifico riferimento alle centrali eoliche – va interpretata nel senso che, dal 1° gennaio 2016, le pale di sostegno degli aerogeneratori vanno escluse dalle componenti strutturali rilevanti ai fini della determinazione della rendita catastale del relativo opificio.

In particolare, la Suprema Corte (ordinanze “gemelle”, nn. 20726/2020, 20727/2020, 20728/2020 del 30 settembre 2020 e 21287/2020 del 5 ottobre 2020) – chiamata ad esprimersi in ordine alla corretta portata della richiamata previsione normativa – ha sancito, in maniera inequivocabile, come la cd. “norma imbullonati” sia destinata ad operare con riferimento a tutti quei beni che, a prescindere dalla loro dimensione nonché dall’eventuale grado di fissità, risultano “funzionalmente e strutturalmente destinati allo specifico processo produttivo” svolto nel complesso immobiliare a cui accedono.

E’ stato, in particolare, rilevato che l’art. 1, comma 21, l. n. 208 del 2011

esclude “gli imbullonati” dalla determinazione della rendita catastale innovando quelli che erano i criteri di determinazione della stima dei fabbricati speciali confermata dalla giurisprudenza della Corte di legittimità. In particolare, attraverso una tecnica legislativa “per esclusione”, il legislatore del 2015 nella prima parte della disposizione normativa descrive le caratteristiche di bene immobile o parte integrante di esso (suolo, costruzioni ed altri elementi ad essi strutturalmente connessi), che ne accresce l’utilità ed il valore per poi escludere nell’ultima parte da tale bene tutte quelle componenti che sono funzionali al processo produttivo (macchinari, congegni, attrezzature, impianti), meglio noti con la denominazione di “imbullonati”. La scelta legislativa è quindi quella di sottrarre dal carico impositivo del tributo locale il valore delle componenti impiantistiche secondo un criterio distintivo che privilegia la destinazione ad attività produttive dei settori della siderurgia, manifattura, energia indipendentemente dalla natura strutturale e dalla rilevanza dimensionale del manufatto che fosse o meno infisso al suolo”.

Più in dettaglio, la Suprema Corte, censurando la pronuncia della Commissione regionale posta al suo vaglio, spiega che

la nozione che emerge dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 21, di macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali e strutturali allo specifico processo produttivo e sottratti al regime fiscale, prescinde dal fatto che i manufatti siano o meno infissi stabilmente al suolo, essendo invece essenziale il loro impiego nel processo produttivo. È irrilevante la consistenza fisica della costruzione, ciò che interessa è il rapporto di strumentalità rispetto al processo produttivo. Tale conclusione è conforme alla ratio sottesa alla disciplina introdotta dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 21, che sancisce l’irrilevanza catastale di tutta la componente impiantistica che, in quanto tale, risulta inidonea ad apportare al fabbricato a cui accede – al di fuori dello specifico processo produttivo ivi svolto – un’effettiva (residua) utilità produttiva/reddituale. È, quindi, ben possibile che un elemento strutturalmente connesso al suolo o alla costruzione che ne accresce la qualità o l’utilità debba essere espunto dalla valutazione catastale in ragione della sua specifica funzionalità rispetto al processo produttivo”.

In definitiva – dopo una serie di interventi giurisprudenziali e financo normativi fortemente ondivaghi – è stato ritenuto applicabile il principio già a suo tempo sancito dalla Suprema Corte di Cassazione (cfr. Cass. 6 settembre 2004, n. 17933), secondo cui deve postularsi l’esclusione, dalla rendita castale degli opifici, di tutti quei macchinari che (sottolineature ed enfasi aggiunte dalla scrivente):

“[…]rappresentino una componente del complesso di beni organizzati per l’esercizio di un’attività produttiva, giacché in tale ipotesi la loro consistenza economica, anche se rilevante, si riflette soltanto nella valutazione dell’azienda”.

Tale impostazione, lo si ribadisce, è conforme alla tesi – più volte propugnata su questo blog – secondo la quale del tutto ininfluenti, ai fini della perdurante includibilità di un determinato cespite tra i beni legittimamente suscettibili di valorizzazione catastale, appaiono le caratteristiche strutturali e costruttive dello stesso.

Per capire il senso e la portata dell’art. 1, commi 21 e ss. della legge n. 208/2015 – nell’accezione interpretativa che è stata, da ultimo, fatta propria dalla Suprema Corte –  giova ripercorrerne brevemente la storia.

La nozione ai fini catastali di fabbricato è recata dall’articolo 4 del regio decreto legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, ed è richiamata dalla legislazione ICI ed IMU ai fini dell’individuazione del presupposto impositivo (cfr. art. 1 e 2 d. lgs. n. 504/1992).

Detto art. 4 del citato r.d.l. stabilisce che

Si considerano come immobili urbani i fabbricati e le costruzioni stabili di qualunque materiale costituite, diversi dai fabbricati rurali […]

e, con particolare riferimento ai fabbricati iscrivibili in categoria D, il successivo art. 10 stabilisce che

La rendita catastale delle unità immobiliari costituite da opifici […], è determinata con stima diretta per ogni singola unità”.

La nozione di fabbricato (rectius, quali elementi siano da includere nella nozione di fabbricato e quali no) è stata tuttavia oggetto di una lunga querelle giurisprudenziale.

In un primo momento, presso alcune articolazioni locali dell’Agenzia delle Territorio, su impulso di Comuni evidentemente interessati ai tributi collegati alla rendita catastale, si è infatti diffusa l’idea che nelle centrali elettriche, accatastate come opifici (categoria D), il “fabbricato” non ricomprendesse solo il capannone industriale, ma anche taluni impianti collocati al suo interno (essenzialmente, le turbine e gli alternatori, il valore economico dei quali è elevatissimo e sopravanza di gran lunga quello degli edifici in cui sono collocati).

In tema di accatastabilità (e quindi di tassabilità) di turbine e alternatori, la giurisprudenza di merito e di legittimità per molti anni è stata oscillante, tanto che si rese infine necessaria una norma interpretativa (l’art. 1 quinquies del d.l. n. 44/2005) per porre fine alle annose liti che si erano via via moltiplicate su tutto il territorio nazionale in relazione alle rendite catastali e ai tributi locali a queste connesse. In particolare, detto art. 1 quinquies (significativamente rubricato “Disposizioni per la salvaguardia finanziaria dei comuni”) stabiliva che:

“1. Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 4 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, limitatamente alle centrali elettriche, si interpreta nel senso che i fabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso. Pertanto, concorrono alla determinazione della rendita catastale, ai sensi dell’articolo 10 del citato regio decreto-legge, gli elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili costruiti per le speciali esigenze dell’attività industriale di cui al periodo precedente anche se fisicamente non incorporati al suolo. I trasferimenti erariali agli enti locali interessati sono conseguentemente rideterminati per tutti gli anni di riferimento.” [sottolineature aggiunte, n.d.a.]

Le società elettriche ritennero tale norma incostituzionale in quanto discriminatoria e violativa dell’art. 3 Cost.. Siffatta questione, ritenuta dai giudici di merito rilevante e non manifestamente infondata, pervenne quindi alla Corte Costituzionale.

La Consulta – con la sorprendente sentenza n. 162/2008 – emise una pronuncia interpretativa di rigetto, con la quale spiegò che nella nozione di fabbricato si doveva includere ogni impianto e parte mobile unita all’edificio o al suolo, anche in via transitoria, allo scopo di realizzare un unico bene complesso (quindi andavano tassati non solo turbine e trasformatori, ma anche altri macchinari); e che non vi era discriminazione in danno degli esercenti delle centrali elettriche, perché la norma interpretativa del 2005 esplicitava per le centrali elettriche una più ampia regola generale recata dall’art. 4, valevole per tutti i fabbricati.

Il risultato della sentenza n. 162/2008 non fu quello di placare il contenzioso, ma di estenderlo al di fuori del settore della produzione elettrica, in quanto dopo la pubblicazione di detta pronuncia ogni capannone industriale poteva essere accertato dall’Agenzia del Territorio, che si riteneva legittimata a rideterminare in aumento le rendite in atti andando ad includervi i macchinari ed impianti non inclusi ab origine negli accatastamenti dei fabbricati di categoria D ed E.

L’Agenzia del Territorio, dopo la pubblicazione della sentenza di Corte Cost. n. 162/2008, non ha proceduto ad accertamenti di massa di tutti i capannoni industriali siti nel territorio italiano, ma ha emesso accertamenti “a macchia di leopardo”, alimentando ulteriormente il clima di incertezza presso tutti gli operatori economici.

L’art. 4 del r.d.l. n. 652/1939, in combinato disposto con le norme che assumono come elemento della base imponibile la rendita catastale dei fabbricati, per via di Corte Cost. n. 162/2008, aveva quindi assunto la fisionomia di fonte di una nuova e generale tassazione sui macchinari e sugli impianti produttivi, virtualmente onnicomprensiva (perché idonea a ricomprendere ogni bene, unito al suolo o ad un fabbricato in senso stretto anche solo in via temporanea), che sostanzialmente si configurava come una tassazione sulla capacità e sulla potenzialità reddituale delle imprese. Tutto ciò determinava una distorsione della struttura originaria dell’imposizione collegata alla rendita catastale, che sostanzialmente era di tipo “patrimoniale” e non “reddituale”; e comunque si poneva in contrasto con la ratio di tutte le norme di agevolazione agli investimenti delle imprese e alle politiche di sviluppo economico del Paese.

Per rimediare alle problematiche (di ordine giuridico, amministrativo e di politica economica) determinate dal combinato disposto dell’art. 4, r.d.l. n. 652/1939, dell’art. 1 quinquies, d.l. n. 44/2005, e di Corte Cost. n. 162/2008, il Legislatore, nel 2015, con apposita norma di legge, ha quindi deciso – in modo espresso ed inequivoco – di escludere da ogni tassazione correlata alla rendita catastale gli impianti e i macchinari funzionali al processo produttivo.

Con l’art. 1, comma 21, della Legge  28 dicembre 2015, n. 208 (c.d. legge di stabilità 2016) è stato infatti espressamente sancito che

A decorrere dal 1° gennaio 2016, la determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, censibili nelle categorie catastali dei gruppi D e E, è effettuata, tramite stima diretta, tenendo conto del suolo e delle costruzioni, nonché degli elementi ad essi strutturalmente connessi che ne accrescono la qualità e l’utilità, nei limiti dell’ordinario apprezzamento. Sono esclusi dalla stessa stima diretta macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo”.

Tale norma ridisciplina, in senso limitativo, la nozione di fabbricato (a destinazione speciale e particolare) suscettibile di accatastamento e tassabile. Essa, infatti, agisce sulla nozione di unità immobiliare urbana attraverso la riduzione del perimetro di ciò che è accatastabile, in quanto – in base all’art. 10, r.d.l. n. 652/1939 – vi è una corrispondenza biunivoca tra l’oggetto della stima diretta e la consistenza dell’opificio.

A conferma della corretta lettura che di tale disposizione deve essere offerta, come si è rilevato, la Suprema Corte, con le ordinanze in questa sede in analisi, ha definitivamente statuito che, alla luce della rilevata ratio legis e della sua interpretazione sistematica, non devono far parte del valore catastale dell’opificio iscritto in Catasto tutti quei beni che, considerati nella loro individualità ed a prescindere dalla loro rilevanza dimensionale, non apportano alcuna autonoma utilità (“trasversale”) al fabbricato in quanto tale, atteso che, a ben vedere, l’utilità dagli stessi generata riguarda unicamente l’impresa (intesa nell’accezione di cui all’art. 2555 cod. civ.) ivi esercitata.

Venuta meno l’attività d’impresa svolta nel fabbricato a cui accedono i beni de quibus, questi ultimi non sono ex se in grado di apportare alcun valore – degno di rilevanza catastale – all’opificio stesso: da qui, pertanto, la loro legittima esclusione, in quanto meramente “funzionali allo specifico processo produttivo” svolto dall’imprenditore nell’immobile oggetto di stima catastale

Sul punto sono state oggetto di espresso superamento le posizioni più volte espresse dall’Amministrazione finanziaria fin dalla originaria circolare n. 2/E del 1° febbraio 2016, secondo la quale la mera fissità al suolo delle pale eoliche doveva costituirne caratteristica necessaria e sufficiente al fine di postularne la perdurante natura immobiliare e la conseguente rilevanza ai fini catastali.

Appurata, invece, nel caso di specie, l’univoca destinazione dell’insieme unitario ed inscindibile di aerogeneratore e relativa torre di sostegno all’esercizio dell’attività di produzione di energia elettrica da fonte eolica, è stata legittimamente e definitivamente confermata la necessaria riconducibilità di entrambi i beni, unitariamente considerati, entro l’alveo degli “impianti” catastalmente irrilevanti ai sensi dell’art. 1, comma 21, Legge 28 dicembre 2015, n. 208.

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