Nuovamente in dubbio la (in)compatibilità tra la sanzione per ritardato versamento e l’indennità di mora di cui all’art. 3, comma 4, TUA. La Cassazione demanda all’Ufficio del Massimario un approfondimento storico-sistematico della disciplina
Cass. civ. sent. 26 giugno 2020, n. 12762
Con l’ordinanza interlocutoria n. 12762 del 26 giugno 2020, la Corte di Cassazione è tornata sul dibattuto tema della compatibilità dell’indennità di mora applicabile ex art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 504/95 (“Testo unico delle accise” o “TUA”) per l’ipotesi di tardivo versamento delle accise (applicabile nella misura del “6 per cento riducibile al 2 per cento”) e la sanzione di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 471/1997 per ritardati od omessi versamenti (pari al 30% dell’imposta dovuta).
Come già ampiamente illustrato in un precedente contributo pubblicato su questa rivista (cfr. Tardivo pagamento delle accise: le Commissioni di merito si allineano all’orientamento della Cassazione e sanciscono l’incompatibilità della sanzione per ritardato versamento con l’indennità di mora prevista dall’art. 3, comma 4, del TUA a cui si fa rinvio per una più approfondita trattazione della tematica) la cumulabilità delle due misure è stata al centro di un acceso dibattito che ha visto formarsi in seno alla Suprema Corte due differenti linee interpretative.
Secondo un orientamento più risalente e confermato nel tempo (cfr. e pluribus Cass. civ. 27 febbraio 2017, n. 4960; Cass. civ., 3 agosto 2016, n. 16165), le previsioni in esame possono trovare applicazione contestuale stante la diversità di natura: afflittiva, con riferimento alla sanzione amministrativa di cui all’art. 13, del dl.gs. n. 471/1997, e reintegrativa del patrimonio erariale leso con riguardo all’indennità di mora ed agli interessi di cui all’art. 3, comma 4, decreto legislativo n. 504/1995.
Più di recente, invece, la Suprema Corte (cfr. e pluribus Cass. civ., Sent., 21 novembre 2018, n. 30034, seguita da Cass. civ., Ord., 24 gennaio 2019, n. 1969), ha, diversamente, ritenuto che all’indennità di mora di cui all’art. 3, comma 4, cit., debba essere ascritta una funzione sanzionatoria e non già risarcitoria, con conseguente non cumulabilità delle previsioni normative in esame, stante la loro identità di funzione. Tale filone interpretativo è stato recepito anche dalla più recente giurisprudenza di merito.
Sennonché con l’ordinanza in commento la Corte parrebbe aver rimesso in dubbio l’interpretazione sposata dall’orientamento più recente scegliendo di non prendere una posizione precisa in merito alla compatibilità delle due misure e demandando all’Ufficio del Massimario un approfondimento storico-sistematico della disciplina dell’indennità de quo.
In detta occasione la Corte, infatti,
- non solo ha ritenuto di dover nuovamente vagliare la natura della indennità di mora e, in particolare, “se la stessa debba essere considerata quale misura avente funzione sanzionatoria della condotta del ritardato pagamento, quindi secondo una prospettiva di intervento normativo con finalità preventivo-repressivo della condotta illecita in ambito fiscale, ovvero se abbia, invece, funzione risarcitoria, secondo la diversa prospettiva della finalità di una reintegrazione del danno subito dall’erario”,
- ma ha bensì ritenuto opportuna “l’acquisizione di una relazione dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo” rendendosi “necessaria: a) una ricostruzione del quadro normativo di riferimento, in particolare sull’origine della previsione di cui all’art. 3, comma 4, decreto legislativo n. 504/1995, e sulla evoluzione dell’istituto dell’indennità di mora, facendo, altresì, riferimento al medesimo istituto previsto in materia dì imposte dirette, nonché alla soprattassa, prevista in materia di imposte indirette; b) una ricostruzione dell’eventuale impatto di sistema nella qualificazione dell’indennità di mora di cui all’art. 3, comma 4, decreto legislativo n. 504/1995, in termini di misura sanzionatoria ovvero di misura risarcitoria; c) una ricostruzione della giurisprudenza ordinaria e dei contributi anche dottrinali, sulla questione in esame”.
In attesa di conoscere gli esiti dell’indagine affidata all’Ufficio del Massimario e le conseguenti decisioni che verranno assunte della Corte di Cassazione, non possiamo che ribadire quanto già anticipato in altra sede (cfr. il contributo richiamato supra a cui si rinvia) e, in particolare, che, a nostro avviso, la soluzione offerta dalla più attuale giurisprudenza di legittimità appare l’unica:
- coerente con un’interpretazione sistematica dei decreti della riforma del sistema sanzionatorio tributario non penale da cui, come noto, emerge l’applicabilità della sanzione di omesso versamento di cui all’art. 13 cit. ai soli versamenti relativi alle imposte dirette e all’IVA;
- idonea a prevenire una palese e illogica disparità di trattamento tra i trasgressori dei pagamenti delle accise (costretti a pagare tanto l’indennità di mora quanto la sanzione di cui all’art. 13 cit.) e coloro che non effettuano/effettuano tardivamente i versamenti delle imposte dirette e dell’IVA (i quali sconterebbero solo la sanzione di cui all’art. 13 cit.);
- conforme al principio di ragionevolezza in quanto diversamente argomentando, colui che versa le accise in ritardo sarebbe più gravemente sanzionato rispetto al contribuente che non versa affatto l’imposta.