L’orientamento delle Sezioni unite di Cassazione non è d’ostacolo alla fruizione del Superbonus da parte del condomino c.d. “esclusivista”
Corte di Cassazione, sentenza n. 28972 del 17 dicembre 2020
In relazione agli interventi edilizi effettuati sulle parti comuni condominiali, il riconoscimento del Superbonus al 110% di cui all’art. 119 del D.L. n. 34/2020 deve essere verificato alla luce dell’innovativa sentenza delle Sezioni unite di Cassazione del 17 dicembre 2020, n. 28972.
Rovesciando gli orientamenti precedenti ([1]), la pronuncia in questione ritiene invalide le pattuizioni con le quali si costituiscono diritti reali atipici di uso esclusivo su parti comuni condominiali, come il cortile, il giardino, i posti auto, ecc. ([2]). All’infuori del lastrico solare – per il quale è lo stesso art. 1126 c.c. a prevedere un caso di “uso esclusivo” di un bene comune – le Sezioni unite precludono, dunque, il diritto del singolo condomino di vantare una posizione piena e assoluta su uno spazio comune dal momento che, ferma restando la titolarità della proprietà del bene in capo al condominio, tale diritto priverebbe gli altri condòmini del relativo godimento ([3]).
Sennonché, le conclusioni raggiunte dalla Suprema Corte con la richiamata sentenza vengono ridimensionate dallo Studio del Consiglio nazionale del notariato n. 30-2021/C, secondo il quale l’uso delle parti comuni condominiali può essere correttamente regolamentato nel titolo con cui si dispone del diritto, senza che ciò implichi la costituzione di alcun diritto reale atipico ([4]). Tale Studio, invero, nell’intento di preservare la validità dei negozi giuridici stipulati in data antecedente alla pronuncia della Cassazione, riconosce la legittimità della configurazione di un diritto d’uso esclusivo, semplicemente attribuendo ai condòmini “esclusivisti” diritti reali su cose comuni di durata limitata, qualificati alla stregua “di un diritto di usufrutto, di uso, di una servitù prediale o anche di una limitazione del diritto d’uso di ciascun contitolare”.
Orbene, il raffronto tra le due interpretazioni fornite in ordine alla legittimità dell’uso esclusivo su parti comuni condominiali rischia di mettere in crisi il quadro delle detrazioni fiscali previste dal decreto Rilancio, suscitando notevoli incertezze allorquando ci si trovi ad affrontare il problema di individuare il soggetto che, ai sensi del comma 9 dell’art. 119 del D.L. n. 34/2020, può in concreto beneficiare del Superbonus.
Stando all’orientamento restrittivo elaborato dalle Sezioni unite, le agevolazioni fiscali connesse agli interventi edilizi effettuati sulle parti comuni condominiali spetterebbero, in concreto, all’intera platea dei condòmini, non essendo mai configurabile in capo a taluno di essi un diritto d’uso esclusivo. Diversamente, in base alla lettura proposta dallo Studio, la detrazione del 110% riguarderebbe il titolare del diritto d’uso esclusivo – riqualificato come di uso, di usufrutto, di abitazione, di superficie e di enfiteusi – sul bene comune su cui vengono eseguiti i lavori (c.d. condomino “esclusivista”).
Seguendo tale ultima ricostruzione, si porrebbe, sul fronte fiscale, l’ulteriore problema di stabilire se il condomino esclusivista – potendo confidare sulla natura esclusiva del diritto riconosciutogli – possa eseguire gli interventi edilizi autonomamente, ovvero se, trattandosi di lavori effettuati su parti comuni condominiali, sia legittimato a procedere previa delibera assembleare.
In assenza di chiarimenti in materia, è ragionevole sostenere che la detrazione del 110% possa essere riconosciuta al titolare del diritto d’uso esclusivo, purché vi sia il consenso degli altri condòmini ([5]). Il difetto di una manifestazione di volontà espressa dall’assemblea dei condòmini parrebbe, infatti, mettere in crisi il riconoscimento dell’agevolazione fiscale in capo al condomino esclusivista, considerato che gli interventi vengono, di fatto, eseguiti su un bene di proprietà del condominio (seppur vi sia un diritto d’uso esclusivo per un solo condomino) ([6]).
In considerazione di ciò, il titolare del diritto d’uso esclusivo su parti comuni condominiali che procede all’esecuzione degli interventi edilizi in assenza di delibera assembleare potrebbe, per ciò solo, essere assoggettato al rischio della verosimile negazione del beneficio fiscale, in virtù della ritenuta nullità del negozio giuridico stipulato.
Dunque, anche nei confronti del condomino esclusivista devono ritenersi applicabili le previsioni dettate per gli interventi su parti comuni condominiali. In merito, la legge consente di ripartire le spese sostenute ponendole a carico solo di uno o di alcuni condomini, con le maggioranze assembleari esprimenti almeno un terzo del valore dell’edificio nel caso degli interventi 110% e se i condomini a cui sono imputate le spese esprimono parere favorevole (art. 119, comma 9-bis, D.L. n. 34/2020); o all’unanimità nel caso di lavori non 110% (in applicazione dell’art. 1123 c.c.).
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[1] Pur concorde nel negare che l’uso esclusivo potesse essere ricondotto al diritto d’uso previsto dall’art. 1021 c.c., la giurisprudenza maggioritaria aveva ritenuto valido il contratto con il quale si concedeva un diritto d’uso esclusivo, argomentando che lo stesso fosse estrinsecazione del potere di autonomia negoziale riconosciuto alle parti; le quali, derogando convenzionalmente al disposto dell’art. 1102 c.c., si sarebbero limitate a conformare secondo i loro desiderata il contenuto e l’ampiezza delle facoltà di godimento di ciascun comproprietario (condomino) sulla cosa comune, senza tuttavia incidere sulla titolarità (v. Cass. civ. 16 ottobre 2017, n. 24301; in senso conforme, v. Cass. civ. 10 ottobre 2018, n. 24958; Cass. civ. 31 maggio 2019, n. 15021; Cass. civ. 4 luglio 2019, n. 18024; Cass. civ. 3 settembre 2019, n. 22059).
[2] In dettaglio, la Suprema Corte enuncia il seguente principio di diritto: «La pattuizione avente ad oggetto la creazione del c.d. “diritto reale di uso esclusivo” su una porzione di cortile condominiale, costituente come tale parte comune dell’edificio, mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, tale da incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune, sancito dall’art. 1102 c.c., è preclusa dal principio, insito nel sistema codicistico, del “numerus clausus” dei diritti reali e della tipicità di essi». In senso conforme, già Cass. civ. 9 gennaio 2020, n. 193, secondo cui non può ipotizzarsi la costituzione «[…] di un uso reale atipico, esclusivo e perpetuo, che svuoterebbe di ogni significato il diritto di proprietà e darebbe vita a un diritto reale incompatibile con l’ordinamento».
[3] In particolare, secondo la Cassazione, l’uso esclusivo eliderebbe il collegamento tra il diritto e il suo contenuto, giacché concentrerebbe l’uso in capo ad uno o più condomini ed escluderebbe gli altri. Si parla, a tal proposito, di uso “quasi” “uti dominus”, ossia di un uso quasi parificato al diritto di proprietà.
[4] Peraltro, anche laddove comportasse la costituzione di un diritto reale atipico, l’uso esclusivo su parti comuni condominiali non parrebbe per ciò solo precluso. In dottrina (v. U. Morello, Tipicità e numerus clausus dei diritti reali, in A. Gambaro, U. Morello, Trattato dei diritti reali, I, Proprietà e possesso, Milano, 2008, 75), si ritiene, invero, che siano «[…] venute meno in modo definitivo […] quelle ragioni di ordine pubblico che un tempo erano alla base del principio del numero chiuso dei diritti reali. Di conseguenza, la frantumazione della proprietà […] col rischio di pregiudicare l’efficiente gestione dei beni non è più considerato un limite che possa impensierire i giuristi. Ma non sembrano più attuali neppure le ragioni che giustificavano limitazioni al sorgere di nuovi diritti reali parziari per concentrare nel proprietario tutti i poteri di gestione. Parimenti, non si considera più un problema la limitazione delle tecniche giuridiche che consentono di tramandare per lungo tempo interi patrimoni o legittimano diritti reali di durata eccessiva […]». E, per vero, N. Lipari, Le categorie del diritto civile, Milano, 2013, 124, ha potuto trattare, sia pure con riguardo all’intervento comunitario in tema di multiproprietà, della «preistorica prospettiva del c.d. numero chiuso dei diritti reali».
[5] In proposito, si richiama quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate nella risposta ad interpello n. 499 del 27 ottobre 2020, ossia che le spese per l’effettuazione dell’intervento possono essere sostenute per intero dal singolo condomino proprietario del lastrico solare, previa delibera all’unanimità dell’assemblea del condominio, con computo dei massimali di spesa in relazione al numero delle unità immobiliari presenti nell’edificio, ammettendo, quindi, la possibilità che sia il solo condomino dell’ultimo piano ad accollarsi tutte le spese, nel rispetto di questi massimali.
[6] Discorso analogo potrebbe valere per l’eventuale inquilino che, in virtù del diritto di uso esclusivo riconosciuto in capo al locatore proprietario, abbia effettuato interventi “edilizi”, confidando nella propria posizione giuridica di detenzione qualificata. Sul punto, v. I. Pero, A. Zeni, Criticità per il superbonus con interventi su parti comuni in uso esclusivo, in Eutekne.info, 16 ottobre 2021.