29/11/2021

Il 13 novembre 2021 si è conclusa a Glasgow la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, conosciuta ai più con l’acronimo di COP 26. La “conference of parties” è stata la 26ª riunione delle parti della convenzione, ospitata dal Regno Unito in partenariato con l’Italia. L’accordo di Glasgow (c.d. Glasgow Climate Pact), approvato da 197 Paesi, ha ridefinito con chiarezza l’obiettivo principale dell’Accordo di Parigi del 12 dicembre 2015[1], ossia mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi dai livelli pre-industriali, attraverso un taglio del 45% delle emissioni di anidride carbonica al 2030 rispetto ai parametri del 2010, per poi giungere a zero emissioni nette nel 2050.

Uno tra i principali passi avanti compiuti grazie alla COP 26 è stata l’implementazione del meccanismo di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra, disciplinato dall’art. 6 dell’Accordo di Parigi. Il meccanismo di cui all’art. 6 si fonda sull’assunto che i “mercati del carbonio[2]” rappresentino uno strumento fondamentale per ridurre le emissioni di gas serra, consentendo agli Stati di raggiungere, in parte, i loro obiettivi climatici acquistando quote di emissione da Stati più virtuosi. Lo scambio di quote potrebbe aprire importanti spazi di cooperazione fra gli Stati aderenti all’Accordo, consentendo agli stessi di ridurre le emissioni in modo più conveniente.

A tal proposito, occorre ricordare che l’Unione Europea è stata il principale pioniere del meccanismo di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra, avendo introdotto già nel 2005 con la  Direttiva n. 2003/87/CE l’European Union Emissions Trading System (c.d. ETS).

La direttiva ETS, successivamente implementata e modificata con la Direttiva n. 2018/410, prevedeva che dal primo gennaio 2005 le c.d. imprese grandi emettitori dell’Unione Europa non potessero operare senza un’autorizzazione alle emissioni di gas serra.

Il meccanismo ETS si fonda sul concetto di cap&trade, in base al quale viene fissato un tetto massimo complessivo alle emissioni consentite sul territorio europeo nei settori interessati (cap) cui corrisponde un equivalente numero di “quote” di emissione[3] che possono essere acquistate/vendute su un apposito mercato (trade).

Ogni grande emittore rientrante nel sistema ETS è obbligato a “compensare” su base annuale le proprie emissioni effettive (verificate da un soggetto terzo indipendente) con un corrispondente quantitativo di quote. L’allocazione di quote di emissione può avvenire a titolo oneroso o gratuito: nel primo caso, la vendita si realizza mediante asta pubblica alla quale partecipano soggetti accreditati, che acquistano principalmente al fine di compensare le proprie emissioni; nel caso di allocazione a titolo gratuito, invece, le quote vengono assegnate gratuitamente al fine di disincentivare la delocalizzazione delle produzioni in Paesi caratterizzati da standard ambientali meno stringenti rispetto a quelli europei (viene in rilievo, in questo caso, il fenomeno del c.d. carbon leakage).

Il quantitativo complessivo di quote disponibili per gli operatori (cap) diminuisce nel tempo imponendo di fatto una riduzione delle emissioni di gas serra nei settori ETS: in particolare, al 2030, il meccanismo dovrebbe garantire un calo del 43% rispetto ai livelli del 2005.

Complessivamente, l’ETS Unionale, in tutta l’Unione Europea, interessa oltre 11.000 impianti industriali e circa 600 operatori aerei. In Italia sono assoggettati alla disciplina ETS più di 1200 grandi emettitori, le cui emissioni di gas serra coprono circa il 40% del totale nazionale.

Il vigente sistema di scambio di quote di emissione di gas serra, nonostante sia il principale strumento economico-finanziario su scala globale di contrasto al cambiamento climatico, presenta tuttavia diverse criticità: in primo luogo, sotto il profilo della ridotta estensione del suo campo di applicazione; in secondo luogo, il sistema ETS ha generato negli scorsi anni una forte volatilità dei prezzi delle quote di emissione, strettamente connessa all’eccesso strutturale delle quote. Per ovviare a quest’ultima criticità, il Regno Unito ha fissato un prezzo minimo (o floor price) delle quote, per garantire stabilità e prevedibilità alle imprese coinvolte, orientando le scelte di investimento verso infrastrutture energetiche low-carbon.

 

Il sistema ETS finora descritto verrà completamente rinnovato nei prossimi anni. Il 14 luglio 2021, la Commissione Europea ha presentato un “pacchetto climatico”, il c.d. “Fit for 55”, contenente proposte legislative finalizzate al conseguimento degli obiettivi intermedi dell’European Green Deal[4] e degli obiettivi di neutralità̀ climatica definiti dal Regolamento UE 2021/1119, ossia il raggiungimento al 2030 di una riduzione del 55% delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990. Tale pacchetto consta di 12 strumenti legislativi volti ad imprimere l’accelerazione necessaria alla riduzione delle emissioni di gas serra nei prossimi decenni, che trovano applicazione in diversi settori, da quello energetico e climatico all’uso del suolo, dai trasporti alla fiscalità̀.

Tra gli strumenti principali del “Fit for 55” assume particolare rilievo la revisione del sistema di scambio di quote di emissione dell’Unione Europea. L’obiettivo della riforma è duplice: fissare un prezzo per il carbonio e ridurre ogni anno il limite massimo applicabile alle emissioni di determinati settori economici. Le proposte più significative formulate dalla Commissione sono le seguenti: aumentare il tasso annuo di riduzione delle emissioni; eliminare, anche gradualmente, le quote a titolo gratuito per il trasporto aereo; includere nel sistema ETS anche il trasposto marittimo.

All’interno del pacchetto “Fit for 55”, inoltre, avrà un ruolo chiave il meccanismo di aggiustamento alle frontiere del carbonio (c.d. Carbon Border Asjustment Mechanism – CBAM), finalizzato a prevenire il rischio di carbon leakage. In base alla proposta della Commissione, il CBAM fisserà un prezzo del carbonio per le importazioni di determinati prodotti al fine di assicurare che l’obiettivo di neutralità climatica europeo non porti alla delocalizzazione delle emissioni di carbonio.

Anche l’Italia si sta muovendo nel verso giusto ai fini della decarbonizzazione del Paese. Oltre alle numerose misure[5] rientranti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) volte a dare avvio alla transizione ecologica, è attualmente alle Camere un atto del governo sottoposto a parere parlamentare intitolato “Proposta di piano per la transizione ecologica  ”, predisposto su iniziativa del Ministero della Transizione Ecologica. Già dalle prime pagine del documento, il Ministero ha voluto puntualizzare che “il successo della transizione ecologica dipenderà da un lato dalla capacità della pubblica amministrazione, delle imprese e del no-profit di lavorare in sintonia di intenti secondo norme più semplici, spedite ed efficienti, e dall’altro da un generale aumento di consapevolezza e di partecipazione da parte di tutta la popolazione anche attraverso un inedito sforzo di comunicazione ed educazione nazionale verso la realizzazione di un pieno sviluppo sostenibile.

Come si è già detto sopra, il meccanismo unionale di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra è stato ritenuto, dai leader mondiali presenti alla COP 26, uno strumento finanziario fondamentale per bilanciare/compensare le emissioni in un’ottica di cooperazione tra Stati. L’auspicio di cui si è fatta portavoce la COP26 è quello di estendere tale meccanismo a livello globale: ciò pare ancor più necessario ove si consideri che l’Europa, sul totale mondiale delle emissioni di CO2 da combustibili fossili, contribuisce solamente per l’8,8\ per cento[6].

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[1] L’accordo di Parigi è entrato ufficialmente in vigore quasi un anno dopo la data di sottoscrizione, il 4 novembre 2016, in seguito all’adempimento della condizione di ratifica da parte di almeno 55 paesi che rappresentassero quanto meno il 55% delle emissioni globali di gas a effetto serra.

[2] Con il termine “mercato del carbonio” (c.d. carbon market) si fa riferimento a un mercato creato dalla commercializzazione di permessi-quote di emissione di CO2, in base al quale viene fissato un massimale alla quantità totale di gas a effetto serra che possono essere emessi dagli impianti produttivi che rientrano all’interno di tale mercato.

[3]  Una tonnellata di CO2  corrisponde a una quota.

[4] Cfr. S. Supino Il ruolo della fiscalità nel Green Deal europeo e la Carbon Border Tax: tra nuove imposte e vecchi temi, interni (coesione tra Stati) e esterni (rispetto degli obblighi internazionali) ai confini dell’UE.

[5] Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si articolerà in sei parti, definite “missioni”: digitalizzazione-innovazione-competitività-cultura e turismo, rivoluzione verde e transizione ecologica, infrastrutture per una mobilità sostenibile, istruzione e ricerca, inclusione e coesione, salute. Le risorse messe in campo dall’Europa per finanziare il Piano ammontano a 235,12 miliardi di euro. Alla “Missione 2”, dedicata alla rivoluzione verde e alla transizione ecologica, sono stati destinati 59,47 miliardi di euro. Di questi, 23,78 miliardi saranno impiegati per sostenere la produzione di energia da fonti rinnovabili e 15,36 miliardi per promuovere il risparmio di energia.

[6] Le emissioni calcolate sui consumi, ovvero su prodotti realizzati altrove ma consumati in Europa, salgono a circa il 10% (https://www.globalcarbonproject.org/carbonbudget/ ).

 

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