29/03/2022

      1. – L’art. 37 del d.l. n. 21/2022 introduce un “contributo straordinario contro il caro bollette”, applicato “a carico dei soggetti che esercitano nel territorio dello Stato, per la successiva vendita dei beni, l’attivita’ di produzione di energia elettrica, dei soggetti che esercitano l’attivita’ di produzione di gas metano o di estrazione di gas naturale, dei soggetti rivenditori di energia elettrica di gas metano e di gas naturale e dei soggetti che esercitano l’attivita’ produzione, distribuzione e commercio di prodotti petroliferi”. Il d.l. n. 21/2022 reca un’articolata serie di interventi finanziari diretti a contrastare il fenomeno del rincaro del costo dell’energia[1], già manifestatosi ma ulteriormente aggravato dalla crisi internazionale in atto che ha comportato una eccezionale instabilità del funzionamento del sistema nazionale del gas naturale, nonché a fare fronte alle conseguenze economiche – anche in ordine allo svolgimento delle attività produttive – ed umanitarie della crisi. Gli interventi previsti si concentrano essenzialmente nel corso del 2022 e, per tale anno, è prevista una spesa di quasi 4 miliardi di euro, interamente finanziata dal contributo in esame (art. 38 d.l.).

Queste eccezionali misure si inseriscono in un quadro europeo. Con il documento COM(2022) 108 final la Commissione UE ha comunicato al Parlamento UE di essere “pronta a elaborare, entro l’estate e in cooperazione con gli Stati membri, un piano REPowerEU per sostenere la diversificazione dell’approvvigionamento energetico, dare impulso alla transizione verso le fonti rinnovabili e migliorare l’efficienza energetica” per fare fronte alla crisi e per affrancarsi dalle forniture di gas proveniente dalla Russia. In tale documento si afferma che per finanziare le misure di emergenza in favore di imprese e privati consumatori di energia “gli Stati membri possono prendere in considerazione misure temporanee di carattere fiscale sui proventi straordinari. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia tali misure fiscali sui profitti elevati potrebbero rendere disponibili fino a 200 miliardi di EUR nel 2022 per compensare parzialmente l’aumento delle bollette energetiche. Tali misure non dovrebbero essere retroattive ma dovrebbero essere tecnologicamente neutrali e consentire ai produttori di energia elettrica di coprire i costi e proteggere i segnali di mercato a lungo termine e quelli dei prezzi del carbonio. Nell’allegato 2 del documento della Commissione UE sono indicate in dettaglio le caratteristiche che dette misure temporanee sugli “utili inframarginali” dovrebbero avere[2].

      2. – Il “contributo contro il caro bollette”, nella sua finalità e nella individuazione dei soggetti obbligati, richiama evidentemente la c.d. Robin Hood Tax (RHT) prevista dall’art. 81 d.l. n. 112/2008. Ed infatti, le norme che hanno istituito l’odierno contributo e la RHT condividono anche letteralmente la definizione socio-economica del contesto che ne giustifica l’emanazione (“In dipendenza dell’andamento dell’economia e dell’impatto sociale dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico”)[3] e sono previsti in ambedue le discipline meccanismi di controllo per evitare che l’onere del prelievo si trasferisca sul consumatore[4].

Il contributo in esame non è espressamente denominato come tributo: è tuttavia pacifico che il nomen di un prelievo non è un fattore decisivo per affermare ovvero escludere la sua natura tributaria. Nel caso di specie, che il contributo sia un tributo è plasticamente dimostrato, a tacer d’altro, dal rinvio alle regole sostanziali e procedimentali in materia di IVA, da cui deriva la sua applicazione in relazione ad un presupposto avente rilevanza economica, con attribuzione all’Amministrazione finanziaria di poteri per l’accertamento e la riscossione coattiva. Da ciò discende la sua almeno astratta sindacabilità costituzionale ai sensi dell’art. 53 Cost., oltreché dell’art. 3 Cost. Si tratta, in particolare, di un’imposta di scopo, stante l’indicata destinazione specifica del gettito alle misure di contrasto della crisi. Probabilmente la sua denominazione atecnica riflette da una parte la volontà del legislatore di configurarlo come un prelievo di carattere più spiccatamente solidaristico rispetto ad un normale tributo[5] e dall’altra una certa difficoltà ad inquadrarlo in forme già note di prelievo fiscale.

Nonostante le dichiarate comuni finalità, il contributo si discosta nettamente dal modello della RHT per molte rilevanti caratteristiche. Conviene subito sottolinearle poiché, come è noto, la RHT è stata dichiarata illegittima, per violazione degli art. 3 e 53 Cost., dalla Corte Costituzionale con la sent. n. 10/2015 e i principi affermati in quella occasione dalla Corte costituiscono un ineliminabile punto di riferimento per valutare la legittimità costituzionale del tributo qui in esame. E dunque:

  • la RHT era un’imposta di carattere permanente, mentre il contributo è una tantum;
  • la RHT era un’addizionale IRES, mentre il contributo, come si vedrà, è un’imposta sul valore aggiunto sui generis;
  • la RHT colpiva tutto il reddito, al verificarsi di determinati presupposti in termini di volume di ricavi e di reddito del soggetto passivo, mentre il contributo colpisce (o meglio, sembra voler colpire) il sovraprofitto congiunturale.

Come si è già detto, invece, la RHT ed il contributo hanno in comune la caratteristica di colpire le sole imprese operanti nel settore energetico e anche sotto questo profilo, rilevante ex art. 3 Cost., la Corte Costituzionale, nella ricordata sentenza, ha preso una precisa posizione. Secondo la Corte un trattamento formalmente discriminatorio delle imprese in questione può essere giustificato sotto il profilo sostanziale dallo “stampo oligopolistico del settore” e dalla relativa anelasticità della domanda, che fanno ritenere non implausibile una redditività “sensibilmente maggiore” rispetto ad altri settori commerciali e legittimano il fatto che tali imprese siano chiamate a contribuire maggiormente, rispetto a quelle operanti in altri settori, alle misure necessarie per fare fronte alla crisi energetica. E’ tuttavia necessario – ammonisce la Corte – che lo specifico prelievo fiscale risponda a criteri di ragionevolezza e proporzionalità rispetto al fine perseguito.

Per stabilire se il contributo effettivamente risponda a questi criteri bisogna scendere più nel dettaglio ad esaminare le sue caratteristiche salienti, come definite dall’art. 37 cit., commi 2, 3 e 5.

      3. – Il contributo è dovuto una tantum, e deve essere liquidato e versato entro il 30 giugno 2022. L’imponibile è calcolato su base periodica[6], ed è costituito “dall’incremento del saldo tra le operazioni attive e le operazioni passive, riferito al periodo dal 1° ottobre 2021 al 31 marzo 2022, rispetto al saldo del periodo dal 1° ottobre 2020 al 31marzo 2021[7].

Sotto questo profilo è evidente una fondamentale differenza tra il contributo e la RHT: mentre quest’ultima era una semplice addizionale all’IRES che, al verificarsi di determinati presupposti, colpiva l’intera base imponibile in modo permanente, il contributo si applica una tantum e colpisce (o meglio, intenderebbe colpire) i soli sovraprofitti congiunturali. Il contributo sembra quindi soddisfare, perlomeno di primo acchito, il principio fissato dalla Corte Costituzionale, la cui violazione portò alla declaratoria di incostituzionalità della RHT: vale a dire il fatto che ex art. 53 Cost. è necessario che il tributo sia dotato di un meccanismo che consente di tassare (o di tassare in misura più elevata) solo l’eventuale maggiore ricchezza “connessa alla posizione privilegiata dell’attività esercitata dal contribuente al permanere di una determinata congiuntura”. Temporaneità – o meglio connessione temporale tra l’applicazione del tributo e le circostanze eccezionali che lo giustificano – e determinazione della base imponibile in modo tale da colpire i soli sovraprofitti, secondo il modello della windfall tax, sono le caratteristiche che secondo la Corte consentono alla luce degli art. 3 e 53 Cost. una maggiore tassazione dei soggetti operanti nel settore economico “privilegiato”. Ed il contributo in esame sembra effettivamente possedere queste caratteristiche.

      4. – Se però si va nel dettaglio ad esaminare come si determina la base imponibile, emergono alcuni elementi meritevoli di attenta considerazione.

Il primo è costituito dal riferimento alla disciplina sostanziale (e procedimentale) dell’IVA: infatti, il saldo tra le operazioni attive e quelle passive, rispetto al quale deve determinarsi l’incremento tra il periodo I ottobre 2021-31 marzo 2022 e quello dello stesso periodo riferito agli anni 2020-2021 – incremento che alle condizioni date costituisce la base imponibile del contributo -, è quello risultante dai dati delle liquidazioni periodiche IVA. L’abbandono della struttura dell’addizionale IRES proprio della RHT sembra non solo e non tanto dettato dal tentativo necessitato di misurare l’extraprofitto (cosa che probabilmente si può fare, e meglio, utilizzando in modo appropriato i dati IRES) e di non prevedere una semplice maggiorazione di un tributo esistente, quanto dall’esigenza di pronto calcolo e liquidazione del contributo dovuto: prevedere una sua determinazione e versamento entro il 30 giugno prossimo è possibile solo “appoggiandosi” ad un’imposta, quale è l’IVA, che prevede liquidazioni su base mensile.

A differenza dell’IVA, tuttavia, il contributo non deve essere calcolato sull’ammontare delle operazioni attive, bensì sul saldo tra quelle attive e quelle passive, costituendo quindi a tutti gli effetti una maggiorazione dell’IVA dovuta, come definita dall’art. 17 d.p.r. n. 633/1972. Si tratta quindi di un’imposta che colpisce un “sovraprofitto” sui generis misurato sul valore aggiunto della produzione, somigliante sotto quest’ultimo profilo senz’altro più all’IRAP che all’IVA[8].

Il secondo, importante elemento da considerare è che tale modalità di determinazione dell’imponibile non sembra idonea a misurare – o almeno a misurare in tutti i casi – un effettivo incremento di ricchezza da assoggettare a tassazione nella logica del contributo. E ciò sotto diversi aspetti.

Si consideri innanzitutto che l’incremento è misurato rispetto al periodo I ottobre 2020-30 marzo 2021, pesantemente interessato dagli effetti economici depressivi della pandemia e quindi ex se inidoneo a costituire un parametro di riferimento ordinario e “normale”, adatto a misurare per differenza l’extraprofitto. Rispetto a questo parametro, almeno una parte dell’incremento del saldo attivo IVA può essere dovuto alla normale ripresa degli affari, anziché costituire un extraprofitto.

Si consideri poi che ai fini IVA l’esigibilità dell’imposta, così come la nascita del diritto di detrazione, sono temporalmente fissati dalla data dell’emissione della fattura, se anteriore rispetto al momento di effettuazione dell’operazione ordinariamente determinato e che, per le prestazioni di servizi, l’IVA adotta un puro criterio di cassa[9]. Sotto questo punto di vista, essendo per di più il contributo dovuto una tantum, la determinazione dell’incremento imponibile può risentire di circostanze del tutto casuali, specie con riferimento alle operazioni economiche che si verificano a ridosso del 31 marzo.

Vi è poi una serie di possibili distorsioni rispetto al calcolo idealmente corretto sotto il profilo economico di un effettivo sovraprofitto congiunturale, derivanti dal fatto che alcune sue componenti non rilevano ai fini dell’IVA e quindi non possono essere considerate nel calcolo del contributo, mentre altre componenti che sono a stretto rigor di termini estranee al sovraprofitto rientrano nel calcolo in quanto operazioni soggette ad IVA.

Si pensi al caso in cui l’incremento sia determinato da operazioni “straordinarie” come le cessioni di partecipazioni (com’è noto, anche le operazioni esenti debbono essere indicate nella liquidazione periodica IVA, a meno che il contribuente non abbia richiesto l’esonero da adempimenti ai sensi dell’art. 36 bis d.p.r. n. 633/1972); ovvero al caso, frequente nel settore, in cui i costi, anch’essi aumentati data la contingenza economica, siano rappresentati da differenziali negativi realizzati su contratti derivati (qualora essi siano considerati[10]) non soggetti ad IVA e quindi non computabili ai fini del contributo. Si consideri poi che il meccanismo di applicazione dell’IVA non conosce il processo di ammortamento (potendosi e dovendosi detrarre l’imposta sull’acquisto di beni strumentali interamente nell’anno in cui l’acquisto è stato effettuato) e quindi trascura di tenere conto, in diminuzione dell’incremento tassabile, di una componente economica del sovraprofitto[11].

Ed ancora, appare assolutamente rilevante l’effetto distorsivo che può derivare dall’applicazione delle accise per le (numerose) imprese del settore che vi sono soggette. Poiché le accise sono una componente del corrispettivo esposto nelle fatture attive, ma non compaiono ovviamente nelle fatture di acquisto[12], è ben possibile che – ove si sia verificato rispetto al periodo di riferimento un incremento dei volumi venduti – l’imponibile del contributo sia dovuto, anche in parte rilevante, proprio ad un margine positivo costituito dalla maggiore accisa incassata, che non può evidentemente in alcun modo essere considerato un extraprofitto per l’impresa.

      5. – Sulla base di queste considerazioni (e di altre di analogo tenore che potrebbero farsi) si può ritenere che il metodo di determinazione della base imponibile del contributo non soddisfi, neanche in base all’id quod plerumque accidit, quella misurazione dell’incremento (“speculativo”) di ricchezza secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità richiesti dalla Corte Costituzionale.

Tuttavia, si deve realisticamente prendere atto di alcune circostanze.

La prima è che – pur essendo il giudizio sulla rispondenza di una norma all’art. 3 Cost. di carattere anche tecnico – è certo di maggiore immediata evidenza per la Corte il fatto che una semplice addizionale permanente all’IRES come la RHT non soddisfi gli indicati parametri di costituzionalità; certamente più complesso sarebbe invece entrare nel merito dei meccanismi di determinazione del contributo in esame, una volta che la Corte abbia accertato che esso, almeno tendenzialmente e nelle dichiarate intenzioni del legislatore, colpisce l’incremento del margine di profitto ed è una tantum e quindi di primo acchito soddisfa i requisiti di un’imposta sui sovraprofitti congiunturali. Tuttavia, alcune delle indicate distorsioni appaiono particolarmente rilevanti, tali da poter risultare comunque immediatamente evidenti, nella loro illogicità, all’esame della Corte.

In secondo luogo va rilevato che, quando si tratta di decidere sulla rispondenza agli artt. 3 e 53 Cost. di tributi di carattere straordinario e/o una tantum, la Corte Costituzionale è di norma più “indulgente”. La stessa Corte ricorda, nella sentenza sulla RHT, che sono “numerosi i casi di temporaneo inasprimento dell’imposizione – applicabili a determinati settori produttivi o a determinate tipologie di redditi e cespiti – ritenuti non illegittimi da questa Corte proprio in forza della loro limitata durata”, casi come quelli dell’ISI (imposta straordinaria sugli immobili), del famigerato contributo del sei per mille sui depositi bancari, del contributo straordinario per l’Europa. E ciò anche in applicazione di una nozione astratta di capacità contributiva, intesa come mero criterio di riparto delle spese pubbliche da attuare (solo) sulla base di una ragionevole differenziazione della platea dei contribuenti. D’altra parte, la stessa Corte (v. anche oltre) ricorda però che la temporaneità di un’imposta non vale come sua assoluta giustificazione, in presenza di palesi violazioni degli artt. 3 e 53 Cost.

Va anche considerato che, nella sentenza sulla RHT, la Corte Costituzionale adottò un inedito ed assai discusso principio di bilanciamento tra gli artt. 3 e 53, che risultavano violati dalla istituzione dell’addizionale, ed il principio di equilibrio di bilancio recato dall’art. 81 Cost., stabilendo l’irretroattività della declaratoria di incostituzionalità, con conseguente consolidamento del diritto dell’Erario di trattenere la RHT già versata dai contribuenti. Tale decisione è rimasta assolutamente isolata ed anzi, decidendo poco tempo dopo (sent. n. 83/2015) per l’integrale incostituzionalità di un altro tributo[13], la Corte non fece alcun riferimento al suo recentissimo precedente, né fece applicazione della tecnica del bilanciamento con l’art. 81 Cost. Non può tuttavia non rilevarsi che, con riferimento al contributo qui in esame, anche in misura più netta rispetto alla RHT si manifesta un collegamento con il finanziamento di specifiche misure di ristoro per fronteggiare le conseguenze della crisi ucraina, tra le quali il rincaro delle fonti energetiche, tale da farlo considerare un tributo di scopo e da rendere immediatamente evidente agli occhi della Corte l’impatto sul bilancio statale di una eventuale declaratoria di incostituzionalità.

Il tentativo di pronosticare quale potrebbero essere l’approccio e la soluzione della Corte Costituzionale alla questione di costituzionalità ex artt. 3 e 53 Cost. del contributo in esame deve dunque tenere conto di luci ed ombre che non consentono di sciogliere i dubbi con ragionevole certezza.

      6. – Invece, per quanto attiene la prevista (art. 37 cit., comma 7) indeducibilità del contributo ai fini IRES e IRAP, l’analisi della giurisprudenza costituzionale fa emergere con evidenza la sua illegittimità ex artt. 3 e 53 Cost.

Va detto subito che ben si comprende l’intento che molto probabilmente ha ispirato il legislatore: attraverso la deducibilità ai fini del reddito del contributo, si determinerebbe una cripto-contribuzione della fiscalità generale alle misure finanziarie approntate dal decreto, ovvero un decremento delle risorse complessivamente disponibili per il finanziamento di tali misure. D’altra parte, appare invece singolare che nello stesso contesto in cui si istituisce un “contributo” che formalmente non è un’imposta e che dunque appare un normale costo ricollegato all’esercizio dell’attività, si possa prevedere una così importante deroga al principio di inerenza ed alle regole di determinazione dell’IRES, in violazione del principio di capacità contributiva.

Ma anche considerando il contributo, più propriamente, come un’imposta, le conclusioni non cambiano. La recente sentenza della Corte Costituzionale n. 262/2020 in materia di indeducibilità dell’IMU da IRES e IRAP appare particolarmente significativa, anche perché ha ad oggetto una norma (art. 14, comma 1, d. lgs. n. 23/2011) che aveva in origine previsto l’integrale indeducibilità (poi mitigata) per ragioni asseritamente “eccezionali”, vale a dire in considerazione di una delle tante crisi finanziarie che hanno caratterizzato gli anni recenti.

In primo luogo, in questa occasione la Corte ha ribadito che non rientra nella discrezionalità legislativa escludere o limitare, ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, la deducibilità di costi inerenti, perché la deduzione non è un’agevolazione, ma va valutata alla luce del presupposto e della struttura del tributo in cui tale deducibilità è (o non è) consentita. In particolare, “il principio di inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito di impresa ed esprime una correlazione tra costi ed attività di impresa in concreto esercitata, traducendosi in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in sé, da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo … Da tale principio il legislatore non può arbitrariamente prescindere: questo infatti costituisce il presidio della verifica della ragionevolezza delle deroghe rispetto all’individuazione di quel reddito netto complessivo che il legislatore stesso ha assunto a presupposto dell’IRES. Tale principio si riflette anche sui costi fiscali.” Non è quindi consentito al legislatore, per effetto degli artt. 3 e 53 Cost., escludere la deducibilità di un costo inerente, quale è l’IMU assolta dall’impresa proprietaria dell’immobile.

Come si è anticipato, la norma ritenuta incostituzionale per violazione degli artt. 3 e 53 Cost. vietava integralmente la deduzione dell’IMU dall’IRES e dall’IRAP in via “eccezionale e temporanea” per il solo anno 2012 ed era giustificata dalla “grave crisi economica che il Paese sta attraversando”. Lampante è, sotto questo profilo, l’analogia col contributo in esame. Ebbene, tale circostanza non è valsa a giustificare l’indeducibilità, perché, come si è già ricordato e come la Corte torna a ribadire in questa occasione, la temporaneità di una misura fiscale non è di per sé sufficiente a giustificare un’imposizione che palesemente non sia conforme ai principi costituzionali.

È appena il caso di rilevare, da ultimo, che l’indeducibilità non potrebbe essere giustificata dal fatto che il contributo è un’imposta sul reddito o, meglio, è del “tipo” delle imposte sul reddito; non potrebbe in particolare essere giustificata in virtù del generale principio di indeducibilità delle imposte sul reddito dalla base imponibile delle medesime imposte. Ed infatti, come si è detto, il contributo è un prelievo che, determinato sulla base della differenza tra le operazioni attive e quelle passive soggette ad IVA, costituisce un’imposta sui generis sul valore aggiunto della produzione[14]. Non essendone consentita – ed essendo anzi espressamente vietata – la rivalsa, essa dovrebbe essere ordinariamente deducibile ex art. 99 TUIR nel periodo d’imposta 2022. Con la conseguenza che è illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 53 Cost., l’art. 37, comma 7, cit., che vieta la deduzione.

      7. – In conclusione, non si può certo negare che nell’attuale situazione possano esistere i presupposti per l’applicazione di un’imposta sull’extraprofitto congiunturale delle società del settore energetico, specie quando essa – come accade per il contributo – è integralmente e in modo trasparente destinata a finanziare misure prese per fronteggiare le ricadute economiche, specificamente attinenti all’approvvigionamento ed al prezzo delle risorse energetiche, ed umanitarie di eventi del tutto eccezionali.

Tuttavia, la disciplina del contributo in questione testimonia la perdurante difficoltà del legislatore nel costruire un’imposta che intercetti, nel pieno rispetto dei principi costituzionali, i sovraprofitti congiunturali. Tali principi infatti richiedono che le regole per la determinazione dell’extraprofitto siano ragionevoli e rispondano, perlomeno in base all’id quod plerumque accidit, ad una sua corretta misurazione, nell’an e nel quantum.

Sembra illusorio immaginare che nel ridottissimo termine della conversione del decreto la disciplina del contributo possa essere oggetto di rilevanti modifiche, costituzionalmente orientate. Ciò tanto più che esse – si pensi soprattutto all’eliminazione dell’indeducibilità – comporterebbero un’importante diminuzione del gettito previsto (quei 4 miliardi di euro stimati, secondo alcuni in modo molto ottimistico, dalla Relazione tecnica) ed una conseguente necessità di ulteriore copertura.

Non si può tuttavia non indicare, ad ogni buon fine, quali sarebbero le misure “minime” che si dovrebbero adottare per (tentare di) ricondurre il contributo ad equità:

  • prevedere per il calcolo dell’incremento tassabile il riferimento ad un arco temporale, da raffrontare con quello corrente, non interessato dal negativo impatto della pandemia da Covid-19, anche mediante opportune indicizzazioni;
  • prevedere l’esclusione dell’accisa riscossa dal calcolo della base imponibile del contributo;
  • prevedere la deducibilità del contributo dall’IRES e dall’IRAP.

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(*) Questo articolo costituisce la rielaborazione ed ampliamento di quello pubblicato sul Sole24Ore del 23 marzo 2022.

[1] Per un commento al d.l. n. 21/2022, si rinvia al contributo Le misure per il contrasto ai prezzi del gas e dell’energia nel decreto Ucraina Bis.

[2] Nel rinviare alla lettura dell’allegato per le specifiche tecniche, soprattutto per quanto concerne le interazioni tra l’imposta straordinaria e il funzionamento del mercato dell’energia, si può rilevare che il contributo qui in esame non appare avere nessuna delle caratteristiche indicate nel documento, se non quella di avere una durata limitata nel tempo, non oltre il 30 giugno 2022. È comunque appena il caso di rilevare che le indicazioni della Commissione non sono in alcun modo vincolanti per gli Stati membri.

[3] Come si è accennato, il contributo in esame non è in realtà destinato solo a contrastare il “caro bollette”: il gettito finanzierà per il 2022 in modo integrale le misure prese per contrastare gli effetti economici ed umanitari della crisi ucraina, tra le quali, naturalmente, spiccano quelle adottate per la riduzione del costo dell’energia. La RHT, invece, nonostante la sua dichiarata finalità, da cui deriva la pittoresca denominazione data dal Ministro Tremonti e ripresa dai media, non era in realtà destinata al finanziamento della social card contemporaneamente istituita; una parte del gettito era tuttavia destinata ad un Fondo per interventi strutturali di politica economica.

[4] Il tema dall’efficacia in concreto di tali meccanismi, che pure potrebbe avere un impatto sulla legittimità costituzionale della misura, esula dall’ambito di questo articolo.

[5] La denominazione richiama tra l’altro il contributo di solidarietà a carico dei soggetti passivi IRPEF con redditi elevati istituito dal d.l. n. 38/2011. Anche in quel caso era evidente la sua natura tributaria, consistendo esso in una maggiorazione dell’aliquota marginale IRPEF.

[6] L’imposta in esame sembra essere impropriamente retroattiva: essa infatti è dovuta pro futuro, ma la sua base imponibile è costituita da un “sovraprofitto” già ampiamente maturato nel momento in cui la norma è stata emanata. Com’è noto, l’art. 3, comma 1, dello Statuto del contribuente prevede che le norme tributarie non abbiano effetto retroattivo. E’ noto anche che tale disposizione non ha efficacia normativa sovraordinata e che, pertanto, la legittimità di una norma impositrice retroattiva non può di norma essere revocata in dubbio (se non nei ristrettissimi limiti in cui la illegittimità può essere direttamente invocata sulla base del principio di effettività della capacità contributiva, limiti che qui non appaiono valicati). Tuttavia, di solito, il legislatore ha la buona creanza formale, quando introduce un prelievo fiscale retroattivo, di precisare che ciò viene fatto “in deroga” all’art. 3 comma 1, cit. Qui tale regola consuetudinaria non è stata rispettata, probabilmente perché farlo avrebbe chiaramente denunciato la natura fiscale del prelievo. Si noti anche, al riguardo, che la Commissione UE, nel documento sopra citato, ha raccomandato che le misure fiscali sui proventi straordinari non siano retroattive. Altra disposizione statutaria ignorata nel caso in esame è l’art. 4, per il quale non si può disporre con decreto legge l’istituzione di nuovi tributi. Anche qui si tratta però di una disposizione non cogente; l’unico vincolo di carattere generale per il legislatore nell’utilizzare lo strumento del decreto legge è quello della necessità ed urgenza richieste dall’art. 77 Cost., ed in questo caso evidentemente tali requisiti non mancano.

[7] L’insorgenza dell’obbligazione tributaria è vincolata al superamento di una duplice soglia (sembra di dover interpretare in questo modo il non chiarissimo disposto normativo): l’incremento deve essere superiore a 5 milioni in valore assoluto e al 10% in termini relativi (cfr. G. ESPOSITO, Aziende energetiche, prelievo straordinario sugli extraprofitti, in Il Sole24Ore, 25 marzo 2022). Il contributo è dovuto nella misura del 10% dell’incremento.

[8] Non si dovrebbe però porre, con riferimento al contributo, il noto tema della possibile contrarietà alla Direttiva IVA che si è posto per l’IRAP, in quanto, a tacer d’altro, il contributo non ha carattere di generalità, ma colpisce solo determinate imprese. Né dovrebbe ritenersi il contributo contrario all’art. 98 Direttiva n. 112/2006 che preclude agli Stati membri l’adozione di un’aliquota IVA maggiorata rispetto a quella ordinaria, appunto perché il contributo si applica all’incremento del saldo tra operazioni attive e passive e non all’ammontare delle operazioni attive.

[9] In sostanza, l’IVA è un’imposta la cui esigibilità dipende da fattori “misti” di cassa e competenza, anziché dal principio di competenza che governa il bilancio e la determinazione del reddito di impresa. Ciò si rifletta anche nella irrilevanza, ai fini IVA, del processo di ammortamento, su cui v. oltre nel testo.

[10] Sul punto l’A.F. è di recente intervenuta con la ris. n. 1/2022 in cui ha sostenuto – in contrasto con la prassi invalsa degli operatori, fondata su una risoluzione del 1998 – che i contratti derivati danno luogo ad operazioni soggette ad IVA, esenti, la cui base imponibile è costituita dal differenziale.

[11] Con specifico riferimento al settore del downstream petrolifero, v. l’intervista al Presidente UNEM su Il Sole24Ore del 26 marzo 2022. Più in generale, si può rilevare che l’adozione di un criterio unico per calcolare l’aumento del margine tassabile per tutte le tipologie di attività esercitate fa sì che non rilevino le caratteristiche di ciascuna. Anche ciò potrebbe far dubitare della ragionevolezza delle scelte legislative. Per non considerare, poi, la possibile sovrapposizione di misure a carico del settore della produzione di energia rinnovabile, già assoggettato al “meccanismo di compensazione a due vie” previsto dal Decreto Sostegni ter (d.l. 4/2022, art. 16) che comporta il riversamento al GSE degli extraprofitti.

[12] Al contrario di quanto accade nelle imposte sul reddito, in cui il versamento all’erario delle accise è un onere fiscale deducibile, il versamento non rileva ovviamente ai fini IVA.

[13] Si trattava dell’imposta di consumo sulle sigarette elettroniche e sui prodotti sostitutivi dei tabacchi lavorati.

[14] Si potrebbero richiamare qui anche le note vicende che hanno portato il legislatore, sotto “minaccia” di declaratoria di incostituzionalità, a consentire gradualmente la deducibilità dell’IRAP dall’IRES. D’altra parte, la circostanza che veniva addotta per giustificare la indeducibilità dell’IRAP, e cioè il fatto che essa sia un tributo spettante ad un livello di governo locale e non statale e che sia manovrabile dalle Regioni con conseguenti effetti sul gettito delle imposte sul reddito spettante allo Stato, evidentemente non varrebbe nel caso del contributo in esame.

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