Bonus edilizi, sanzioni e ravvedimento: troppi dubbi ancora irrisolti

(*) Questo articolo costituisce la rielaborazione ed ampliamento di quello pubblicato sul Sole24Ore del 26 marzo 2022.

Si rendono sempre più opportuni dei chiarimenti delle Entrate sulle sanzioni applicabili alle violazioni in materia di “bonus edilizi” e sulle procedure a disposizione dei contribuenti per correggere eventuali irregolarità.

Non di rado, dopo l’esercizio dell’opzione per la cessione del credito o per lo sconto in fattura, possono presentarsi evenienze per le quali il credito, ancorché venuto formalmente in esistenza, risulti a posteriori non spettante. Si pensi, ad esempio, alle ipotesi nelle quali, a fine lavori, ci si avveda che gli interventi non hanno consentito il “doppio salto” di classe, pur avendo i contribuenti già ceduto i propri crediti ovvero optato per lo sconto in fattura al raggiungimento dei SAL intermedi.

V’è allora da chiedersi se il contribuente diligente, che voglia ravvedere l’errore commesso, abbia gli strumenti idonei per procedere alla regolarizzazione della propria posizione. Ad oggi, non constano tuttavia indicazioni di prassi, né sulla precisa individuazione delle violazioni (e, quindi, delle sanzioni) da regolarizzare, né sulle modalità di effettuazione della regolarizzazione spontanea né tantomeno sui soggetti che possono accedervi.

Con riferimento alle sanzioni, è opportuno ricordare che le violazioni relative alla cessione di crediti derivanti da bonus edilizi sono punite con modalità diverse a seconda che si tratti di crediti non spettanti (sanzione pari al 30% dell’importo del credito) o inesistenti (sanzione pari ad un minimo del 100% dell’importo del credito). Non è tuttavia chiaro il perimetro delle due fattispecie sanzionatorie. Fuori dai contesti di frode aventi ad oggetto lavori non effettuati (quindi non esistenti in rerum natura), non è infatti agevole comprendere quali irregolarità diano luogo ad un credito inesistente e quali ad un credito non spettante. Se, ad esempio, durante l’esecuzione dell’intervento, per la peculiarità delle lavorazioni eseguite o dell’immobile sul quale esse insistono, non sia constatato l’effettivo superamento delle due classi energetiche, come dovrebbe considerarsi tale fattispecie? Il credito sarebbe semplicemente non spettante, oppure, venendo meno uno dei requisiti di legge per il suo riconoscimento, addirittura inesistente?

Sul punto, i recenti arresti della Corte di Cassazione (per tutte, Cass. Civ., sez. V, n. 34443 del 16 novembre 2021) offrono utili spunti al fine di distinguere i crediti non spettanti da quelli inesistenti; tuttavia, le argomentazioni che si leggono nelle pronunce si riferiscono unicamente ai crediti esposti in dichiarazione, tant’è che la Corte afferma che è inesistente il credito “in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (il credito che non è, cioè, “reale”)” e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante le procedure di liquidazione e controllo formale delle dichiarazioni. Gli argomenti delle pronunce, pur offrendo un utile appiglio interpretativo, non sono quindi perfettamente aderenti alla fattispecie dei crediti oggetto di opzione per la cessione o lo sconto in fattura, i quali per definizione non transitano per le dichiarazioni fiscali.

Sul tema, sarebbe quindi opportuno un chiarimento da parte dell’Agenzia delle Entrate, al fine di chiarire, nella specifica materia dei bonus edilizi, la differenza tra i crediti inesistenti e quelli non spettanti; ciò anche per consentire ai contribuenti che vogliano spontaneamente regolarizzare la propria posizione di non incorrere in errori che potrebbero compromettere il buon esito delle procedure di regolarizzazione.

Altra questione problematica che meriterebbe attenzione riguarda la possibilità di regolarizzare le violazioni relative a crediti inesistenti. In particolare, secondo una tradizionale impostazione dell’Agenzia delle Entrate, i crediti inesistenti derivanti da condotte fraudolente dei contribuenti non possono essere oggetto di ravvedimento. Nondimeno, la stessa Agenzia ha espressamente ritenuto che la diversa ipotesi di utilizzo di crediti per ricerca e sviluppo inesistenti, anch’essa sanzionata ai sensi dell’art. 13 comma 5 del d.lgs. n. 471/1997 (richiamata anche dall’art. 121 del d.l. n. 34/2020 per le violazioni in materia di bonus edilizi), è una violazione ravvedibile ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 472/1997, a ciò non ostando la “inesistenza” del credito.

Da quanto sopra, sembra allora possibile concludere che ciò che osta alla ravvedibilità del credito non sia la sua inesistenza (qualificata come tale sotto il profilo giuridico dal citato art. 13), ma piuttosto la circostanza che esso discenda da un comportamento fraudolento del contribuente.

Sulla base di questo presupposto, dovrebbero quindi considerarsi ravvedibili le violazioni relative ai crediti edilizi anche quando danno luogo a crediti inesistenti, purché non derivanti da condotte fraudolente, ma sarebbe opportuno un apposito chiarimento sul tema da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Con riferimento al procedimento di regolarizzazione, in particolare nelle ipotesi di credito già utilizzato sia dal contribuente che dal cessionario/fornitore, lo strumento più idoneo a tal fine è certamente il ravvedimento operoso, disciplinato dall’art. 13 del d.lgs. n. 472/1997. Nulla osta alla possibilità di ravvedere, ai sensi di tale disposizione, le violazioni in materia di cessione dei crediti derivanti da bonus edilizi, mediante riversamento dell’importo del credito ceduto, oltre interessi e sanzioni ridotte, considerando come termine iniziale cui far riferimento per calcolare la riduzione sanzionatoria quello di presentazione della comunicazione di opzione. Tale assunzione risulta di recente corroborata dalla ris. n. 12/E del 14 marzo 2022, con cui l’Agenzia delle Entrate, nell’istituire i nuovi codici tributo  per identificare i crediti derivanti dalle opzioni per la prima cessione o per lo sconto comunicate a decorrere dal 17 febbraio 2022, aggiunge che si può utilizzare lo stesso codice tributo anche per il “riversamento” del credito “compensato”.

Sarebbe tuttavia opportuno che l’Agenzia si occupasse espressamente della questione, soprattutto disciplinando l’ipotesi di ravvedimento in capo al beneficiario anche nel caso di crediti ceduti, con istituzione di apposito codice tributo per detta evenienza e, soprattutto, che chiarisse che il riversamento effettuato dal beneficiario rende in ogni caso – ed anzi, a maggior ragione – il cessionario/fornitore libero di utilizzare il credito in questione, ormai trasferito sul suo cassetto fiscale.

Sotto quest’ultimo profilo, permane infine un ulteriore dubbio sui soggetti titolati ad effettuare il ravvedimento, soprattutto nei casi in cui sia stata esercitata l’opzione per lo sconto in fattura. In linea di principio, il primo soggetto titolato ad eseguire la regolarizzazione è senz’altro il beneficiario della detrazione, in quanto il combinato disposto dei commi 5 e 6 dell’art. 121 del d.l. n. 34/2020 ascrive espressamente a quest’ultimo la violazione che si intende regolarizzare, appuntandogli il “recupero”, in caso di “mancata integrazione, anche parziale, dei requisiti che danno diritto alla detrazione d’imposta”.

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