Non è possibile riversare il credito già parzialmente utilizzato in compensazione ai fini di sua successiva cessione
Risposta ad interpello n. 358 del 1° luglio 2022
Con la risposta a interpello n. 358 dell’1 luglio 2022, l’Agenzia delle Entrate ha sottolineato che il riversamento del credito ottenuto a fronte dell’effettuazione di interventi di recupero del patrimonio edilizio è consentito solo se il credito è stato fruito irregolarmente e non anche in caso di ripensamento, per mere ragioni di opportunità, delle scelte operate spontaneamente dal contribuente.
Questi i fatti da cui ha preso le mosse il chiarimento dell’A.F.: a seguito dell’esercizio dell’opzione prevista dall’art. 121 del d.l. n. 34/2020 – nell’interpello non è chiarito se per lo sconto in fattura o per la cessione del credito –, il beneficiario dell’agevolazione fiscale aveva trasferito il credito d’imposta ad esso spettante ad un altro soggetto (fornitore/cessionario) che, a sua volta, lo aveva utilizzato – ancorché solo parzialmente – in compensazione. Successivamente, quest’ultimo aveva deciso di cedere nuovamente ad una banca la quota non ancora utilizzata del suddetto credito, ma si era trovato di fronte al rifiuto, da parte di diversi potenziali cessionari, di acquistare un credito già in parte compensato.
Di qui la richiesta di interpello all’Agenzia delle Entrate per sapere se potesse ovviare al problema ripristinando il valore originario del credito d’imposta attraverso il riversamento spontaneo della quota compensata mediante modello F24 ed il ricorso allo stesso codice tributo (6921) utilizzato all’atto della compensazione originaria.
La soluzione dell’A.F., rinvenibile nella risposta n. 358 del 1° luglio 2022, è stata, però, negativa.
Ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, che ha preliminarmente ripercorso le alternative messe a disposizione dei contribuenti dall’art. 121, d.l. n. 34/20202 (e cioè, l’utilizzo in compensazione del credito ripartito in rate annuali oppure l’opzione per la cessione dello stesso o per lo sconto in fattura), il ripristino dell’ammontare del credito già fruito tramite riversamento all’Erario non è contemplata da alcuna disposizione di legge, con la conseguenza che il riversamento può essere consentito solo quando il credito risulti fruito in modo non corretto.
Inoltre, come ricorda l’A.F., nel caso di specie, non opera il divieto di cessione parziale del credito contenuto al comma 1-quater del citato articolo 121 (introdotto dall’art. 28 del d.l. n. 4 del 27 gennaio 2022 e secondo cui
“I crediti derivanti dall’esercizio delle opzioni di cui al comma 1, lettere a) e b), non possono formare oggetto di cessioni parziali successivamente alla prima comunicazione dell’opzione all’Agenzia delle entrate effettuata con le modalità previste dal provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate di cui al comma 7 […]”.
Detta disposizione, infatti, per espressa previsione dell’ultimo periodo dello stesso comma 1-quater cit.,
“si applica alle comunicazioni della prima cessione o dello sconto in fattura inviate all’Agenzia delle entrate a partire dal 1° maggio 2022”.
Per tali ragioni, tenuto conto che sarebbe comunque percorribile la strada della cessione parziale del credito, ad avviso dell’Agenzia non si può ritenere ammissibile un ripensamento, per meri motivi di opportunità, delle scelte già operate spontaneamente dagli stessi contribuenti.
Si tratta, a ben vedere, di un orientamento già espresso in passato dall’A.F., ancorché con riguardo ad istituti e con finalità diverse da quelle in commento. Il riferimento, tra gli altri, è alla , in cui sono stati forniti chiarimenti sul funzionamento della cd. remissione in bonis, ossia quella particolare forma di ravvedimento operoso prevista dall’art. 2, comma 1, del decreto n. 16/2012, volto ad evitare che mere dimenticanze relative a comunicazioni o, in generale, ad adempimenti formali non eseguiti tempestivamente precludano al contribuente, in possesso dei requisiti sostanziali richiesti dalla norma, la possibilità di fruire di benefici fiscali o di regimi opzionali di favore. Secondo la citata disposizione, al verificarsi di determinate condizioni è consentita la fruizione dei suddetti benefici o l’accesso a regimi fiscali opzionali anche “fuori termine”, al fine di salvaguardare la buona fede del contribuente. Come chiarito dalla circolare 38/E – che, sul punto, richiama la relazione illustrativa della norma –
“nel precisare che la suddetta previsione “intende salvaguardare il contribuente in buona fede”, si esclude che il beneficio possa essere fruito o il regime applicato nelle ipotesi in cui il tardivo assolvimento dell’obbligo di comunicazione ovvero dell’adempimento di natura formale rappresenti un mero ripensamento, ovvero una scelta a posteriori basata su ragioni di opportunità. L’esistenza della buona fede, in altri termini, presuppone che il contribuente abbia tenuto un comportamento coerente … con il beneficio fiscale di cui intende usufruire (c.d. comportamento concludente), ed abbia soltanto omesso l’adempimento formale normativamente richiesto, che viene posto in essere successivamente”.
Nella circolare citata si forniscono chiarimenti su un istituto finalizzato ad ovviare ad un comportamento negligente del contribuente, consentendogli di fruire di agevolazioni che, pur spettanti nella sostanza, non hanno trovato un’adeguata formalizzazione nella dichiarazione; si circoscrive perciò la possibilità di beneficiare della rimessione in termini ai soli soggetti che abbiano adottato un comportamento “concludente”, coerente con la volontà di accedere al regime o godere del beneficio.
L’orientamento dell’A.F., inoltre, si inserisce nel dibattito mai sopito sull’emendabilità delle opzioni contenute in dichiarazione. La giurisprudenza di legittimità, basandosi sulla distinzione tra emendabilità delle dichiarazioni di scienza e irretrattabilità delle manifestazioni di volontà, ha invero escluso la possibilità di modificare le predette opzioni quando
“la richiesta del contribuente … non sia altro che una richiesta di esercitare nuovamente l’opzione offerta dal legislatore, ma “a posteriori” cioè quando la precedente opzione si sia … rivelata meno favorevole”
(così Cass., sent. n. 19410 del 30 settembre 2015. Più recentemente, cfr. ord. n. 2230/2021; ord. n. 1149/2019 e ord. n. 610/2018). In altri termini, in coerenza con quanto affermato dalla S.C., anche l’A.F. esclude che si possano rivedere scelte già definite per mere ragioni di convenienza.
Tanto premesso, nell’assenza di altre indicazioni utili (ormai da più parti richieste e sempre più indifferibili) sulla possibilità, nel caso di erronea fruizione delle agevolazioni fiscali per interventi edili, di far ricorso al ravvedimento operoso – e soprattutto sulle relative modalità di utilizzo –, dalla risposta ad interpello in commento sembra potersi desumere innanzitutto che il ravvedimento è in linea di principio ammesso. Tuttavia, come già affermato in passato dall’A.F. e dalla giurisprudenza in ordine a diverse fattispecie, detto istituto non può essere utilizzato per modificare scelte precise, precedentemente operate dal contribuente, in ordine alle modalità di fruizione del superbonus (se in compensazione oppure mediante esercizio dell’opzione per lo sconto o la cessione); scelte che sembrano perciò essere assimilate a manifestazioni di volontà, come tali irretrattabili.
Questa rigidità legata al momento di scelta del criterio di utilizzo dell’agevolazione può essere certamente giustificata dalla necessità di tutelare le esigenze di controllo del Fisco, ma sembra forse troppo rigorosa se si considera che, nel caso di specie, il riversamento del credito mediante F24, derivante dall’impossibilità per il contribuente di cedere altrimenti il credito in questione a causa del rifiuto oppostogli dai potenziali cessionari, avrebbe comunque consentito all’A.F. di avere piena contezza dell’operazione e non avrebbe comportato alcun danno per l’Erario.