La rilevanza IVA del consumo illecito di energia

Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 27 aprile 2023 – Causa C-677/21

Nella sentenza C-677/21 del 27 aprile 2023 la Corte di Giustizia UE, pronunciandosi sulla rilevanza IVA del furto di energia elettrica da parte di un privato ad un soggetto distributore, ha stabilito che:

l’erogazione di energia elettrica da parte di un gestore di un sistema di distribuzione, ancorché involontaria e frutto della condotta illecita di un terzo, costituisce

  • una cessione di beni effettuata a titolo oneroso comportante il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale; (…)

  • un’attività economica effettuata da tale gestore in quanto traduce un rischio inerente alla sua attività di gestore di un sistema di distribuzione di energia elettrica”.

In particolare, il caso sottoposto all’esame dei Giudici europei traeva origine dai seguenti accadimenti: l’operatore belga della rete di distribuzione di energia elettrica e gas Fluvius Antwerpen aveva avviato un’azione giudiziaria nei confronti di un cittadino privato che aveva beneficiato illecitamente di una fornitura di energia, senza avere un valido contratto col soggetto distributore. Concretamente, la Fluvius pretendeva dal signor MX il pagamento dei consumi di energia avvenuti nel periodo intercorrente tra il maggio 2017 e l’agosto 2019, in misura pari all’indebito vantaggio ricevuto più la corrispondente quota di IVA. A fronte di questa richiesta, il Tribunale adito dalla Fluvius aveva deciso di rimettere la causa alla Corte di Giustizia per accertare la debenza dell’imposta.

Per rispondere all’interrogativo posto, la Corte europea ha innanzitutto precisato che il principio di neutralità fiscale osta, nell’ambito del funzionamento dell’IVA, ad una distinzione tra operazioni lecite e operazioni illecite [1]; ciò perché il sistema dell’IVA mira a gravare sul consumatore finale di tutti i beni o servizi ceduti o forniti nell’ambito di operazioni imponibili. Inoltre, anche nel caso di consumo illecito può sussistere un nesso diretto tra la fornitura del bene o del servizio e il compenso richiesto, quale suo controvalore effettivo [2].

Muovendo da questi presupposti, con specifico riferimento al caso analizzato e anche in assenza di uno specifico rapporto contrattuale, la Corte ha ravvisato un nesso diretto tra l’energia elettrica illegalmente consumata dal sig. MX e la somma richiesta come corrispettivo dalla Fluvius. A sostegno di tale conclusione sono state evidenziate due concorrenti circostanze: da un lato, il fatto che l’eventualità del prelievo illegale fosse espressamente disciplinata dalle leggi domestiche, le quali stabiliscono come determinare l’indennità a favore dell’ente erogatore dell’energia in caso di sottrazione illecita; dall’altro, il fatto che il sig. MX aveva prelevato l’energia elettrica dal suo indirizzo di residenza e la Fluvius aveva potuto stabilire con precisione la quantità così prelevata effettuando una misurazione del consumo effettuato mediante lettura del contatore situato a tale indirizzo.

Per tali ragioni, la Corte ha stabilito che anche in caso di prelievo illegale si può ravvisare un’operazione a titolo oneroso che costituisce una cessione di beni rilevante ai fini IVA. In particolare, i Giudici hanno precisato che il prelievo illegale di energia costituisce una “cessione di beni a titolo oneroso”, ai sensi dell’art. 2 della Direttiva IVA, in quanto comporta il trasferimento al privato del potere di disporre del bene come proprietario, ai sensi dell’art. 14, par. 1, della Direttiva IVA [3], e, di conseguenza, deve essere soggetto all’IVA [4].

Benché tale conclusione poggi sul principio di neutralità e sulla necessità di garantire un trattamento analogo alle attività lecite e a quelle illecite, è appena il caso di rilevare – come pure ha fatto l’Avvocato Generale nelle sue conclusioni [5] – che

la giurisprudenza ha riguardato finora soltanto le attività illegali del prestatore. Tuttavia, anche i destinatari della prestazione possono svolgere un’attività imprenditoriale, ed essere dunque concorrenti. Qualora essi non abbiano diritto alla detrazione integrale dell’IVA, la non imposizione delle loro attività illegali rappresenterebbe per gli stessi un vantaggio concorrenziale e violerebbe pertanto il principio della neutralità fiscale. Di conseguenza, l’acquisizione illegale di un bene di consumo da parte del destinatario della prestazione deve essere trattata allo stesso modo della sua acquisizione legale”.

A dire il vero, la differenza tra il caso in commento e tutti quelli oggetto delle precedenti pronunce della Corte di Giustizia europea è significativa: a quanto consta, infatti, la giurisprudenza unionale sulla rilevanza IVA delle attività illecite [6] aveva sempre affrontato (prima del caso Fluvius) fattispecie in cui il prestatore del servizio decideva volontariamente di svolgere un’attività illegale, a differenza della situazione oggetto della sentenza in esame, in cui l’ente distributore dell’energia, al momento della sottrazione dell’energia stessa, non era consapevole di essere coinvolto nell’attività illecita posta in essere dalla sua controparte.

Questa considerazione rileva ai fini della corretta interpretazione della nozione di cessione di bene rilevante ai fini IVA, quale trasferimento del diritto di disporre di un bene come proprietario: chi sottrae furtivamente un bene, in effetti, non può dirsi titolato a disporne come se ne fosse proprietario, né si può ritenere, nel caso in parola, che il cedente fosse intenzionato a trasferire alcun diritto al ladro. Pertanto, l’equiparazione tra la sottrazione furtiva di energia elettrica ad una cessione di beni a titolo oneroso rinvenibile nella sentenza della Corte di Giustizia – per quanto condivisibile in linea di principio, essendoci stato di fatto un consumo del bene (ancorché illecito) – appare discutibile per come è stata argomentata e, oltretutto, si pone in contrasto con un precedente della stessa Corte. Il riferimento è alla pronuncia del 14 luglio 2005, resa nella causa C-435/03, British American Tobacco, ove era stato chiarito che

il furto di merci fa di colui che lo commette il semplice detentore di queste. Esso non ha per effetto di autorizzare il suo autore a disporre delle merci alle stesse condizioni del loro proprietario. Il furto non può dunque essere considerato come operante un trasferimento tra la parte che ne è stata vittima e l’autore dell’infrazione, ai sensi della disposizione citata della direttiva”.

Inoltre, osservava la Corte,

se il furto fosse considerato, in nome del principio di neutralità fiscale, come un fatto generatore dell’imposta, indipendentemente da ogni importazione o cessione e, quindi, in mancanza di un corrispettivo individuabile, la base imponibile dell’imposta sarebbe puramente fittizia”.

Probabilmente, come osservato in dottrina [7], per spiegare i diversi esiti dell’analisi condotta dai Giudici europei, rispettivamente, nel caso Fluvius e nel caso British American Tobacco, andrebbe sottolineato come, nella fattispecie da ultimo esaminata, la Fluvius fosse tenuta per legge a fornire energia ad ogni consumatore e come, in virtù della medesima legge, ogni consumatore fosse chiamato a pagare per tale fornitura [8].

La recente decisione della Corte di Giustizia, quindi, più che sul principio di neutralità e sull’esigenza di evitare discriminazioni tra attività lecite ed illecite [9], potrebbe ritenersi fondata sull’esistenza di un obbligo del distributore di fornire energia e, conseguentemente, sull’esistenza di un diritto di ogni consumatore a riceverla, anche a prescindere da uno specifico rapporto negoziale. Solo in questo modo, infatti, si riesce ad individuare un rapporto giuridico, di fonte non contrattuale, che legittima il trasferimento della proprietà e a ricondurre il furto alla nozione di cessione di beni a titolo oneroso, con la conseguente affermazione della rilevanza ai fini IVA dell’operazione sottostante.

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[1] Cfr. sentenza del 10 novembre 2011, The Rank Group, C‑259/10 e C‑260/10; sentenza del 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling, C‑439/04 e C‑440/04; sentenza del 29 giugno 1999, Coffeeshop «Siberië», C‑158/98. Una differenziazione è consentita, secondo la Corte, solo nei casi in cui, date le particolari caratteristiche di alcune merci, è esclusa qualsiasi concorrenza tra un settore economico lecito ed uno illecito. Ciò varrebbe, ad esempio, per stupefacenti e denaro falso, come evidenziato, ex multis, nella sentenza del 29 giugno 1999, cit.; sentenza dell’11 giugno 1998, Fischer, C‑283/95; sentenza del 28 maggio 1998, Goodwin e Unstead, C‑3/97.

[2] Cfr. sentenza del 15 aprile 2021, Administration de l’Enregistrement, des Domaines et de la TVA, C‑846/19.

[3] Si legge al par. 37 che: “Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che la Fluvius, nel periodo compreso tra il 7 maggio 2017 e il 7 agosto 2019, ossia durante più di due anni, ha erogato energia elettrica a MX. Essa ha quindi necessariamente supposto che rifornisse un cliente e, contemporaneamente, MX si è comportato come tale nei confronti della Fluvius e ha agito «come se ne fosse il proprietario», vale a dire che ha consumato l’energia elettrica erogata dalla Fluvius. Come ha giustamente osservato il governo belga, le proprietà dell’energia elettrica fanno sì che il prelievo sul sistema di distribuzione coincida con il consumo del bene e che quest’ultimo corrisponda non solo all’uso di tale bene, ma anche alla sua alienazione. Orbene, quest’ultima è l’attributo ultimo del diritto di proprietà. Una cessione di beni avvenuta in circostanze come quelle di cui al procedimento principale deve, quindi, essere considerata come il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2006/112”.

[4] Infine, la Corte ha precisato che la fornitura di energia elettrica rientra comunque nell’esercizio di un’attività economica e soddisfa il presupposto soggettivo di cui all’art. 9, par. 1, della direttiva n. 2006/112/CE, in quanto la sottrazione illecita di energia è riconducibile al rischio discendente dall’esercizio dell’attività d’impresa. In quest’ottica, peraltro, non rileva la circostanza per cui la fornitura di energia elettrica è posta in essere da un ente di diritto pubblico che agisce in quanto pubblica amministrazione: la natura pubblica dell’ente erogatore, infatti, potrebbe escludere la rilevanza IVA dell’operazione solo nel caso in cui essa fosse di trascurabile rilevanza, tale essendo l’attività che abbia una portata minima, nello spazio o nel tempo e, di conseguenza, un impatto economico talmente lieve che le distorsioni della concorrenza che potrebbero derivarne sarebbero, se non nulle, quanto meno insignificanti.

[5] Cfr. Conclusioni dell’Avvocato Generale del 12 gennaio 2023, causa C-677/21, par. 35.

[6] Richiamata nella precedente nota 1.

[7] Krzysztof Lasinski-Sulecki, Fluvius Antwerpen: Supplies Hidden in a Theft?, in International VAT Monitor, 2023, p. 174.

[8] Si legge, infatti, al par. 45 della sentenza in commento che “dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta, in primo luogo, che la Fluvius è tenuta, nella circoscrizione dei comuni che partecipano alla struttura di cooperazione intercomunale che essa costituisce, a erogare a chiunque non disponga più di un contratto presso un distributore commerciale e che si sia previamente segnalato presso un ente quale la Fluvius”. Nel successivo par. 46, la Corte continua precisando che: “sia la Regione fiamminga, ai sensi dell’articolo 1.1.3, 40°/1, e dell’articolo 5.1.2 della legge regionale sull’energia, sia ai sensi dell’articolo 4.1.2 del decreto sull’energia, la Fluvius stessa, attraverso il regolamento di allacciamento applicabile ai fatti di cui trattasi, hanno previsto la possibilità del prelievo illegale di energia, in particolare di energia elettrica, e ne hanno disciplinato le conseguenze sia amministrative che pecuniarie”.

[9] O su tutti gli altri argomenti utilizzati ad abundantiam dall’Avvocato Generale che, in sede di conclusioni (par.fi 47 e 48), si è preoccupato di specificare che: “Qualora il proprietario dell’energia elettrica (la Fluvius) non possa impedire il trasferimento di proprietà effettuato tramite il prelievo illegale, ma riceva tuttavia a norma di legge una remunerazione in funzione del consumo, ciò depone nel senso di una cessione (forzata) a titolo oneroso, la quale è soggetta ad IVA. Ciò vale in particolare laddove l’operazione sarebbe soggetta ad IVA nel caso in cui il proprietario energia elettrica dovesse avere ceduto quest’ultima volontariamente (ossia per contratto). Infatti, se già un trasferimento della proprietà che avviene contro la volontà, perché la legge lo prescrive, costituisce una cessione, ciò vale a maggior ragione per un trasferimento della proprietà che avviene parimenti contro la volontà, ma la legge prescriva non il medesimo bensì un obbligo di remunerazione. In entrambi i casi il proprietario è obbligato ad accettare la perdita della proprietà ed ottiene in cambio una remunerazione ovvero un’indennità da parte del destinatario della prestazione (consumatore)”.

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