Lo scorso 15 settembre 2023 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’UE il Regolamento di esecuzione n. 2023/1773, approvato il 17 agosto 2023 dalla Commissione UE e relativo al funzionamento del meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere disposto dal precedente Regolamento UE n. 2023/956, pubblicato il 16 maggio 2023 (c.d. Regolamento CBAM).

L’occasione dell’approvazione del menzionato regolamento d’esecuzione è opportuna per provare a fare il punto sulla disciplina del “Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere” (Carbon Border Adjustment Mechanism), quale nuovo strumento dell’UE per combattere la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio [1] e di cui si è già detto su questo sito [2].

Detto strumento, infatti, costituisce uno dei pilastri centrali dell’ambiziosa agenda “Fit for 55[3] che, come noto, mira a ridurre, entro il 2030, le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990 e di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Il CBAM, in particolare, serve a stabilire un prezzo equo sul carbonio emesso durante la produzione di beni ad alta intensità di carbonio che entrano nell’UE e per incoraggiare una produzione industriale più pulita nei Paesi terzi. Esso si basa sull’acquisto di certificati da parte degli importatori. Il prezzo dei certificati, proporzionale al contenuto delle emissioni del prodotto importato, sarà calcolato in base al prezzo medio settimanale d’asta delle quote EU ETS [4] espresso in €/tonnellata di CO2 emessa e interesserà inizialmente solo un numero selezionato di beni ad alta intensità di carbonio (cemento, ferro e acciaio, alluminio, fertilizzanti) che oggi beneficiano delle quote gratuite ETS. Confermando che è stato pagato un prezzo per le emissioni di carbonio incorporate generate nella produzione di determinate merci importate nell’UE, il CBAM garantisce che il prezzo del carbonio delle importazioni sia equivalente al prezzo del carbonio della produzione interna e che gli obiettivi climatici dell’UE non siano compromessi.

Benché detto meccanismo di correzione del prezzo del carbonio sia stato ampiamente criticato a livello internazionale in quanto configurante, secondo i detrattori, un’indebita restrizione del commercio internazionale mascherata da politica ambientale [5], va osservato che esso non sembra configurare un trattamento discriminatorio nei confronti dei prodotti di importazione, limitando la sua azione alla mera parificazione delle condizioni tra prodotti interni e di importazione all’interno del mercato dell’UE.

Passando ad un piano più squisitamente operativo, il Regolamento prevede due fasi d’implementazione:

  • la fase “transitoria”, che ha avuto inizio con la data di entrata in vigore del Regolamento (1° ottobre 2023) e terminerà il 31 dicembre 2025. In tale periodo transitorio il prelievo non sarà applicato alle merci importate, ma saranno solo acquisite informazioni sulle quantità dei prodotti in entrata soggetti al CBAM, compresa la valutazione delle emissioni incorporate. In tale fase inizierà l’attività di autorizzazione dei soggetti obbligati da parte delle autorità competenti nazionali (in Italia ha sede presso il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica);
  • la fase “definitiva”, dal 1° gennaio 2026, quando il meccanismo entrerà in funzione in maniera effettiva. In base a quanto previsto dal Regolamento, la prima dichiarazione CBAM, relativa alle merci importate nell’anno 2026, dovrebbe essere presentata entro il 31 maggio 2027.

Nel periodo iniziale tali previsioni si applicheranno ad un numero ristretto di merci la cui produzione è caratterizzata da un’alta intensità di carbonio: cemento, prodotti siderurgici, alluminio, fertilizzanti, energia elettrica e idrogeno. Durante la prima fase transitoria che, come detto, è iniziata lo scorso 1° ottobre 2023, gli operatori individuati nell’articolo 2 del Regolamento di Esecuzione, (l’importatore o il rappresentante), saranno tenuti a raccogliere i dati su base trimestrale e a trasmetterli alla Commissione: il primo rapporto, con dati riferiti al quarto trimestre 2023, dovrà essere inviato entro la fine del mese di gennaio 2024 [6]. In caso di irregolarità, il dichiarante potrà incorrere in sanzioni per un importo fino a 50 euro per ogni tonnellata di emissioni non dichiarata, a seconda di quanto previsto dal singolo Stato membro.

Successivamente, cioè dal 1° gennaio 2026, tali soggetti dovranno, una volta autorizzati, dichiarare ogni anno la quantità di merci soggette a CBAM importate nell’anno precedente e i dati delle emissioni di anidride carbonica incorporate. Quindi, dovranno restituire un numero di certificati CBAM corrispondente a quanto dichiarato il cui prezzo sarà calcolato in base al prezzo medio delle quote EU ETS espresso in €/tonnellata. Lo status di “dichiarante CBAM autorizzato” potrà essere richiesto, attraverso il registro CBAM, a partire dal 31 dicembre 2024 e in assenza di autorizzazione non sarà possibile importare merci CBAM nell’Unione.

In altri termini, la prima fase comporta soltanto obblighi formali (la trasmissione della relazione trimestrale CBAM), mentre gli obblighi sostanziali che determinano un esborso finanziario sorgeranno a partire dal 1° gennaio 2026. Ciò nonostante, si tratta di una misura che merita fin da ora la massima attenzione da parte delle imprese che a brevissimo si troveranno a doverci “fare i conti”; e ciò non solo perché, come detto, anche i soli adempimenti formali sono comunque suscettibili di essere sanzionati, ma anche perché, in una prospettiva più generale, tale nuovo prelievo è destinato ad incidere nell’ambito della pianificazione strategica dell’impresa, in considerazione di tutte le sue possibili correlazioni con altri elementi attinenti alla gestione della catena del valore, quali l’allocazione degli investimenti produttivi, la strategia degli approvvigionamenti ed i flussi intercompany dei gruppi multinazionali [7]. È invero evidente che il concetto alla base del CBAM è quello di imporre una sorta di dazio basato sul principio di destinazione, secondo il quale le merci sono tassate dove vengono consumate e non dove vengono prodotte [8].

Detto diritto compensativo alla frontiera ha peraltro il vantaggio di essere stato introdotto secondo la procedura legislativa europea ordinaria ed il suo gettito rappresenta una risorsa propria attribuita direttamente al bilancio dell’Unione. Si tratta, quindi, di un sistema che dovrebbe dar luogo all’emersione di un “carbon dividend”, che potrebbe essere utilizzato per una riforma fiscale europea destinata a spostare l’onere dell’imposizione sui consumi e sulle produzioni che utilizzano combustibili fossili, agevolando e promuovendo in tal modo il processo di transizione ecologica attualmente in atto [9].

In questa prospettiva pare dunque interessante rilevare come l’Unione Europea stia utilizzando le risorse proprie quale leva per orientare i comportamenti delle imprese, promuovendoli o disincentivandoli, per perseguire gli obiettivi di sostenibilità che ambiziosamente si è prefissata di raggiungere entro un orizzonte temporale non troppo lontano. Altrettanto interessante, però, è anche sottolineare come il ricorso a queste misure, oltre a scongiurare gli evidenti effetti nefasti del climate change, incide inevitabilmente sulla competizione tra le economie mondiali, già profondamente toccata dalle sfide, dai costi e dai rischi connessi alla transizione energetica, i cui effetti in concreto potranno quindi essere apprezzati e valutati solo in un contesto globale che tenga conto dei comportamenti non solo dell’UE, ma anche di tutti gli altri Paesi del mondo.

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[1] La rilocalizzazione delle emissioni di carbonio avviene quando le imprese con sede nell’UE trasferiscono una produzione ad alta intensità di carbonio in Paesi in cui sono in vigore politiche climatiche meno rigorose rispetto all’UE o quando i prodotti dell’UE vengono sostituiti da importazioni ad alta intensità di carbonio. L’introduzione del CBAM intende assicurare che il prezzo delle importazioni rifletta il loro tenore di carbonio, evitando che gli sforzi per il conseguimento degli obiettivi climatici dell’Unione siano compromessi dalla delocalizzazione della produzione in Paesi con politiche ambientali meno stringenti.

[2] Per ulteriori approfondimenti, si veda B. Ferroni, CBAM: il nuovo tributo ambientale per la riduzione dei gas serra, in il Fisco, n. 42/2023, p. 3965.

[3] Si tratta di un pacchetto di proposte articolato su 12 strumenti legislativi, che troveranno applicazione in diversi settori e saranno orientati a imprimere l’accelerazione necessaria alla riduzione delle emissioni di gas serra nei prossimi decenni.

[4] Il regime ETS dell’UE, attivo dal 2005, prevede un tetto al volume totale di gas a effetto serra permessi a specifici settori particolarmente inquinanti all’interno dell’UE come quello della produzione di energia elettrica, del trasporto aereo, e della produzione manifatturiera, nonché la riduzione del tetto alle emissioni secondo fasi temporali predeterminate. Al volume totale di gas a effetto serra corrisponde una quantità di quote di emissione: sebbene, normalmente, queste siano attribuite tramite asta tra i produttori, in alcuni settori considerati esposti a un elevato rischio di delocalizzazione della CO2 le quote sono emesse a titolo gratuito per il 100% delle emissioni, per salvaguardarne la competitività. La riduzione già programmata del volume totale di emissioni, e conseguentemente delle quote di emissione (incluse quelle a titolo gratuito), è stata modificata dalla Direttiva 2018/410/UE, la quale ha previsto un’ulteriore diminuzione netta delle quote nel decennio 2021-2030 per raggiungere l’obiettivo della riduzione del 55% rispetto ai livelli del 1990. Tutte le informazioni sul sistema ETS sono reperibili sul sito https://ec.europa.eu/clima/eu-action/eu-emissions-trading-system-eu-ets_it.

[5] In questo senso, cfr. N. Zugliani, La proposta di un meccanismo europeo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM). Tra il raggiungimento degli obbiettivi prefigurati nell’accordo di Parigi e presunte violazioni degli obblighi OMC, in Diritto del Commercio Internazionale, fasc.1, 2022, pag. 165.

[6] All’interno di tali dichiarazioni, gli importatori dovranno riportare: il tipo di merci identificato dal relativo codice di Nomenclatura Combinata; la quantità di beni importati, le emissioni dirette e indirette in essi contenute, calcolate secondo specifiche modalità; qualsiasi “prezzo del carbonio” già pagato all’estero per le emissioni; qualsiasi materiale precursore incorporato nel prodotto finale; il Paese in cui è dovuto il prezzo del carbonio; il Paese di origine delle merci importate; l’identità e l’ubicazione degli impianti in cui i beni sono stati prodotti e i percorsi di produzione utilizzati per la fabbricazione dei beni (e parametri di produzione associati) come definiti nel Regolamento di attuazione.

[7] Cfr. B. Ferroni, CBAM: il nuovo tributo ambientale per la riduzione dei gas serra, cit..

[8] Come osservano B. Santacroce-E.Sbandi, Imposte di produzione e di consumo nella delega fiscale e nuovo quadro UE sulla tassazione dei prodotti energetici, in il Fisco, n. 41/2021, si tratta di una misura di politica commerciale che tuttavia è anche risorsa propria dell’UE e, come tale, destinata direttamente al bilancio della stessa, ancorché riscossa dagli Stati membri. Sulla natura di risorsa propria dell’UE, cfr. altresì F. Gallo, Un possibile Fisco europeo, in Europa. Tra presente e futuro, Treccani, di prossima pubblicazione. L’Autore, peraltro, evidenzia la differenza tra il meccanismo di aggiustamento del prezzo del carbonio e il sistema ETS, osservando come solo al primo si possa attribuire natura tributaria; il secondo, invece, pur essendo una risorsa propria dell’Unione, “non avrebbe natura tributaria perché colpisce una manifestazione di ricchezza in funzione del dovere di solidarietà del soggetto obbligato, ma remunera solo l’attribuzione della titolarità di un diritto suscettibile di essere collocato sul mercato”.

[9] Cfr. A. Majocchi, Carbon pricing e la politica climatica dell’Unione Europea, in Rivista di Diritto Finanziario e Scienza delle Finanze,1/2022, pag. 3.

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